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Martedì, 23 Aprile 2024
Economia

I "conti in tasca" alla manovra: quanto può costare alle imprese italiane

Nel 2019 l’applicazione del disegno di legge di Bilancio comporterà alle aziende italiane un aggravio di gettito di 6,2 miliardi secondo l'Ufficio studi della Cgia di Mestre: "Il malumore che serpeggia tra il mondo delle imprese trova una parte di giustificazione"

Nel corso del prossimo anno l’applicazione del disegno di legge di bilancio (dalla prossima settimana all'esame del parlamento) comporterà alle aziende italiane un aggravio di gettito di 6,2 miliardi: di cui 4,5 miliardi circa in capo alle imprese non finanziarie e quasi 1,8 miliardi a carico di banche e assicurazioni. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che è giunto a questi risultati dopo aver misurato gli effetti fiscali sulle imprese di ogni singolo articolo presente nel disegno di legge di Bilancio.

In pratica, dice l'associazione degli artigiani, tra nuove misure che appesantiranno la tassazione, la rimozione/differimento di altre che avrebbero dovuto essere applicate e l’introduzione di novità che invece alleggeriranno il prelievo, nel 2019 le imprese italiane subiranno un incremento di gettito di 6,2 miliardi di euro. Le cose, invece, andranno meglio nel 2020, quando la crescita del prelievo si ridurrà a soli 374 milioni di euro, per cambiare completamente segno nel 2021, quando il sistema delle imprese, le banche e le assicurazioni beneficeranno di una diminuzione del prelievo fiscale per un importo di circa 1 miliardo di euro.

"Il taglio delle tasse non c'è"

“Il malumore che serpeggia tra il mondo delle imprese - dichiara il coordinatore dell'Ufficio Studi Paolo Zabeo - trova una parte di giustificazione nei risultati che emergono da questa ricerca. In campagna elettorale, in particolar modo al Nord, oltre al tema della sicurezza e allo smantellamento della legge Fornero, Lega e 5 Stelle hanno riscosso un forte consenso tra gli elettori perché si erano impegnati a tagliare pesantemente le tasse. Se con questa manovra e col decreto sicurezza una buona parte di questi impegni è stata mantenuta, sul fronte della riduzione delle imposte, invece, le aspettative, in particolar modo dei piccoli e medi imprenditori, sono state clamorosamente disattese”.

Nel 2019, riferisce la Cgia, la pressione fiscale è destinata ad attestarsi al 41,8 per cento. Tuttavia, questa previsione potrebbe salire in caso di crescita del Pil inferiore al valore programmato. “Certo - segnala il segretario della Cgia Renato Mason - con la legge di Bilancio attualmente in discussione alla Camera è stata introdotta la flat tax a favore dei lavoratori autonomi con ricavi inferiori a 65mila euro all’anno. Nonostante ciò, nel 2019 l’alleggerimento fiscale sarà di soli 331 milioni di euro. Un piccolo passo nella giusta direzione che, comunque, rimane ancora del tutto insufficiente, anche se a regime il risparmio di imposta sarà di 1,3 miliardi di euro”.

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Bloccato l'aumento dell'Iva

Va comunque ricordato che con la manovra 2019 è stato sterilizzato l’aumento dell’Iva per un importo di 12,6 miliardi di euro. Se ciò non fosse avvenuto, l’incremento delle aliquote non avrebbe avuto effetti diretti sulle imprese, anche se, molto probabilmente, i consumi sarebbero diminuiti ulteriormente, condizionando negativamente i ricavi, in particolar modo, dei lavoratori autonomi, degli artigiani e dei piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie.

Dall’analisi dei singoli articoli emerge che nel 2019 la misura più negativa per le imprese è l’abrogazione dell’Iri (nuova imposta sui redditi delle società di persone con aliquota al 24 per cento) che, dopo una serie di slittamenti avvenuti nella scorsa legislatura, doveva entrare in vigore l’anno prossimo. La mancata introduzione di questa nuova imposta non consentirà a queste piccole imprese in contabilità ordinaria di ridurre il carico fiscale per un importo di quasi 2 miliardi di euro (art. 82).

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Rischio stangata su correntisti e investitori

Le grandi imprese, invece, subiranno un aggravio di gettito importante, a seguito del differimento sia della deducibilità delle quote di ammortamento relative al valore dell’avviamento (art. 87), sia della deducibilità delle riduzioni del valore dei crediti e altre attività finanziarie (art. 85). Se la prima misura costerà alle aziende 1,3 miliardi di euro, la seconda, invece, quasi 1,2 miliardi.

Anche le banche e le assicurazioni subiranno una forte stangata che rischia di “riversarsi” su correntisti e investitori. Il differimento dal 2018 al 2026 della deducibilità della quota di perdite su crediti e svalutazioni relative agli anni precedenti comporterà un aggravio di gettito pari a 950 milioni (art. 83). Le assicurazioni, inoltre, vedranno aumentare la misura dell’acconto dell’imposta da versare all’erario per un costo di 832 milioni di euro (art. 84).

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