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Venerdì, 29 Marzo 2024
Un bilancio

Non è solo colpa dei navigator

Il governo punta sulle agenzie private e lascia a casa i tutor assunti per affiancare i beneficiari di reddito di cittadinanza. Ma il fallimento delle "politiche attive" nasce da lontano

Era il 4 dicembre 2018 quando a "Porta a Porta" l'allora vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio annunciava l'introduzione del "navigator", una sorta di tutor che avrebbe dovuto seguire chi cerca lavoro. "Una figura che esiste in tutti i Paesi europei", spiegava, "che prenderà in carico chi prende il reddito di cittadinanza per indirizzarlo nel campo della formazione" facendo anche "da controllore".

Tre anni dopo il governo Draghi ha scelto di voltare pagina. Nella bozza della manovra non c'è la proroga del contratto per i navigator chiamati ad affiancare i percettori del rdc. Il loro contratto, scaduto ad aprile, era stato prorogato dal decreto Sostegni fino al termine dell'anno. Nella legge di bilancio non ci sono i fondi per il rinnovo.

La manovra, si legge nella bozza, prevede invece che le agenzie private possano "svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro per i beneficiari" affiancando dunque l'attività dei centri per l'impiego. Un cambio di paradigma. Che lascia a casa circa 2.500 tutor assunti nel luglio 2019. Al concorso avevano partecipato in 19.600. Un contratto precario (co.co.co) da 1.700 euro al mese (senza tredicesima) più un rimborso forfettario di 300 euro lordi per le spese di viaggio.

Da gennaio anche i navigator dovranno reinventarsi. Cosa hanno fatto in questi due anni e rotti? Nel rapporto (pubblicato a settembre) sul funzionamento dei centri per l'impiego, la Corte dei Conti certifica che i tutor hanno "accolto" più di 1 milione di beneficiari di reddito di cittadinanza, ne hanno presi in carico 489.000 per la stipula del "patto per il lavoro" e individuato nel periodo ottobre 2020-marzo 2021 "29.610 opportunità occupazionali" (dati Anpal).

Posizioni individuate dai navigator-2

Le imprese contattate in un anno e mezzo (da settembre 2019 al 28 febbraio 2021) sono state 588.521, i piani personalizzati di accompagnamento al lavoro 248.008. La domanda a cui è difficile avere risposta è quante delle persone seguite dai navigator abbiano poi effettivamente trovato lavoro. Le ultime rilevazioni disponibili parlano di 352.068 beneficiari (1 su 4), ma risalgono a ottobre del 2020. Quasi il 70% dei contratti però aveva una durata inferiore a 6 mesi.

Benché nell'occasione Anpal abbia lodato il ruolo svolto dai navigator ("un elemento fondamentale per il rafforzamento del sistema delle politiche attive in Italia") non si sa quanti percettori di rdc abbiano trovato lavoro grazie ai centri per l'impiego e quanti per conto loro.

I centri per l'impiego e la carenza di personale

La pandemia certamente non ha aiutato, ma che il rdc sia da migliorare dal lato delle "politiche attive" è un refrain ripetuto pressoché da tutti. Per il leader della Cgil Maurizio Landini i navigator stanno espiando colpe non proprie, vittime di "un provvedimento che non funzionava", ma anziché lasciare a casa i nuovi assunti l'esecutivo dovrebbe "investire nei centri per l'impiego" perché rispetto ad altri Paesi "come la Germania abbiamo dei centri per l'impiego in cui la gente è precaria e con pochi occupati".

Anche per i sindacati Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uiltemp la situazione del personale è preoccupante: "Alcune regioni senza i navigator probabilmente non riuscirebbero neppure a offrire i livelli essenziali delle prestazioni previste dalla legge, vista l'esiguità del personale". 

Il rdc, il problema dell'istruzione e le difficoltà dei navigator

Il "fallimento" delle politiche attive (se di fallimento si può parlare) in ogni caso nasce da lontano. Nel report dell'associazione nazionale navigator che fa il punto sui primi due anni di attività, i tutor rivendicano il loro ruolo di cerniera tra lavoratori, imprese, mondo della formazione e servizi sociali, indispensabile in un contesto come quello in cui si trovano ad operare. "Tra i percettori che stipulano il patto per il lavoro", si legge, "ve ne è una considerevole porzione che è difficile considerare collocabile tout court". 

Le difficoltà individuate sono diverse: titoli di studi bassissimi, scarse competenze digitali o capacità linguistiche. Si tratta dunque di utenti che andrebbero "seguiti e accompagnati" in un percorso di riqualificazione "personale e professionale"; allo stesso tempo ci sono altre persone che avrebbero le competenze, ma che si ritrovano impossibilitate ad accettare una proposta di lavoro magari perché non più in grado di svolgere mansioni usuranti o per impegni familiari. Per questo "serve la consapevolezza che le politiche di attivazione" necessitano "di tempi medio-lunghi" per produrre "effetti visibili". 

Del problema dell'istruzione viene fatto cenno anche nel rapporto della Corte dei Conti. Nel complesso, si legge, solo il 26,4% dei beneficiari soggetti al patto per il lavoro ha un diploma di scuola secondaria, mentre i laureati sono appena il 2,6%. Percentuali che descrivono "la presenza di una platea sostanzialmente esclusa dal mercato del lavoro" e confermano la "quasi totale assenza di condizioni di occupabilità". 

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