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Martedì, 19 Marzo 2024
Economia Italia

L'oro degli italiani appartiene agli italiani? Come stanno davvero le cose

La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo eppure i 90 miliardi di euro in lingotti sono sempre stati visti come un tabù. Ora il Governo ne torna a parlare, ecco perché

L'oro della Banca d'Italia, le cosiddette riserve auree, è tornato da qualche giorno prepotentemente nell'agenda politica e ancor più ha fatto parlare la proposta di legge a prima firma di Claudio Borghi - deputato della Lega e presidente della Commissione Bilancio della Camera - in cui si chiede al parlamento di definire in maniera univoca che "la proprietà delle riserve auree sia dello Stato italiano".

Oro bankitalia, le ultime notizie

Molte speculazioni sono nate attorno all'idea che le riserve auree di Palazzo Koch possano essere una possibile soluzione di emergenza ai problemi dei conti pubblici vendendo i ligotti per evitare una manovra correttiva e l'attivazione dell'aumento dell'Iva. Va ricordato tuttavia che come previsto dall’articolo 123 del Trattato Ue le riserve auree sono sottoposte al divieto di finanziamento monetario poiché vengono considerate dai trattati un baluardo a difesa delle crisi valutarie e contro il rischio sovrano. Insomma l'oro dello Stato serve per rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e del sistema euro.

Ma andiamo per gradi. "In Italia ci sono leggi anche per regolamentare la vendita dei panini in salumeria, però manca una norma che dica chiaramente di chi sono le riserve auree" spiega Claudio Borghi in un'intervista a 'La Stampa', in cui chiarisce come l'intervento legislativo voglia ovviare alla "anomalia dell'oro detenuto e gestito ma non posseduto dalla Banca d'Italia". Ma è davvero così? 

borghi oro bankitalia-2

Il deputato leghista rispondendo ad una domanda di Alan Friedman spiega che non vi sia alcuna volontà da parte del Govero di fare cassa con le riserve auree vendendo i lingotti, ma che anzi la proposta di legge nasca per impedire che altri ci mettano le mani sopra.

L'oro degli italiani appartiene agli italiani?

La discussione attorno alle riserve auree nasce dall'assenza di una dicitura in cui si definisca che la proprietà dell'oro è dello Stato. E ancor prima dalla natura di Banca d'Italia e della sua governance. Se infatti l'istituto di via Nazionale è un istituto di diritto pubblico, gli azionisti sono le banche, ovvero soggetti privati che - anche se non nominano il governatore - decidono la governance dell'istituto.

Ma quindi se l'oro degli italiani è gestito da banche private, chi è il proprietario? Quello che appare scontato non lo è dal momento che non c’è scritto da nessuna parte che non sia di proprietà degli istituti bancari. Inoltre secondo l’attuale direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, solo la Bce può derime la questione su chi sia il titolare del diritto di possesso dell'oro della banca d'Italia

Come spiegano da Francoforte l'articolo 127 del trattato Ue attribuisce alla Banca centrale europea il compito di "detenere e gestire le riserve ufficiali" dei paesi aderenti all'Eurozona". Dall'Eurotower è in arrivo una risposta a una interrogazione presentata dagli europarlamentari Marco Valli (ex M5S) e Marco Zanni (Lega) che hanno chiesto alla Bce proprio "di chiarire a chi debba essere attribuita la proprietà legale delle riserve auree degli Stati membri" e "di far sapere in che modo essa possa disporre di tali riserve".

Ma quanto valgono le riserve auree? La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Il quantitativo totale di oro detenuto dall’istituto, a seguito del conferimento di 141 tonnellate alla Banca centrale europea (BCE), è pari a 2.452 tonnellate ed è costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e, per una parte minore, da monete. L’oro dell’istituto è custodito prevalentemente nei caveaux della Banca d’Italia e in parte all’estero, presso alcune banche centrali.

proposta legge riserve auree-2

Molte delle polemiche che stanno montando sul caso nascono da due fatti: il primo è il rallentamento economico che influirà sulle capacità del Governo di rispettare le stime di crescita/deficit e le promesse sulla tenuta dei conti pubblici. Non solo: in questi giorni il governo ha più volte delegittimato la governance di via Nazionale parlando del caso della mancanta sorveglianza sui crac bancari degli ultimi anni. 

E se il governo vendesse l'oro? Le riserve come abbiamo visto valgono 90 miliardi di euro ma più volte il primo firmatario della proposta di legge ha spiegato come non vi sia l'intenzio di far ricorso alle riserve auree per ripianare i conti. 

E non sarebbe la prima volta: anche i governi Prodi e Berlusconi hanno mostrato interesse per l'oro di Bankitalia. Fu l’allora ministro dell’Economia del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa a dire per primo che "l’uso delle riserve auree non può essere un tabù". Nel 2009, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, tentò invece di tassare le plusvalenze sull’oro della Bankitalia, ma fu bloccato dalla Bce, all'epoca guidata da Jean-Claude Trichet. Poi nel pieno della crisi dei debiti sovrani, a metà del 2011, Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio proposero la costituzione di un Fondo finanziario europeo, con capitale costituito da riserve auree degli Stati membri, per abbattere il debito pubblico. Anche in questo caso il tentativo del governo italiano è stato stoppato dalla Banca centrale europea. 

Da dove viene l'oro di Bankitalia

Come ricorda la nostra banca centrale in un documento di sintesi la Banca d'Italia nasce nel 1893 dalla fusione della Banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito: la dotazione aurea iniziale era di 78 tonnellate di oro fino, di cui l'86 per cento proveniente dalla Banca Nazionale nel Regno. Nel 1926, con l'attribuzione del monopolio esclusivo delle emissioni alla Banca d'Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia cedettero le proprie riserve auree, pari a circa 70 tonnellate provenienti quasi per intero dal Banco di Napoli. Nel 1933 la riserva aurea della Banca d'Italia superava le 561 tonnellate.

La seconda guerra mondiale fu talmente onerosa che le risorse nel 1943 erano scese ad appena 121 tonnellate, ulteriormente usurpate dai tedeschi dopo l'armistizio. Nell'ottobre del 1944 la riserva aurea scese ad un minimo di circa 22 tonnellate.

Nel 1946 la Commissione tripartita per la restituzione dell'oro monetario ai Paesi che avevano subito asportazioni da parte dei nazisti assegnò alla Banca d'Italia 31,7 tonnellate delle 69 richieste e nel 1958 operò una ulteriore attribuzione di 12,7 tonnellate. La quantità ufficialmente persa dalla Banca, in ragione degli eventi bellici, fu di circa 25 tonnellate.

Nel dopoguerra, l'Italia divenne rapidamente un paese esportatore e per tale motivo beneficiò di cospicui afflussi di valuta estera, soprattutto in dollari. Tali flussi, anche per le esigenze connesse al rispetto degli accordi di Bretton Woods, furono anche utilizzati per acquistare negli anni quantitativi di oro, al pari di quanto facevano all'epoca le principali banche centrali europee.

Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, l'oro della Banca d'Italia aumentò progressivamente, fino a raggiungere alla fine del 1958 le 244 tonnellate. In quegli anni gli acquisti di oro venivano effettuati anche dall'Ufficio Italiano Cambi (UIC - un ente, diventato poi strumentale della Banca d'Italia, che aveva l'obiettivo di controllare i movimenti di capitale e gestire le riserve in valuta, tra cui l'oro). Alla chiusura del primo bilancio al 30 giugno 1946, l'UIC deteneva oro per 1,8 tonnellate, ceduto dalla Banca di Francia.

Nel corso degli anni successivi, a partire dal 1951 e fino al 1960, l'UIC acquistò ingenti quantità di oro fino ad accumularne poco meno di 2.000 tonnellate. Nel 1960 e nel 1965 vennero attuati due trasferimenti dalle riserve dell'Ufficio a quelle della Banca d'Italia per complessive 1.890 tonnellate, in base al principio che riconosceva alla Banca la detenzione delle riserve auree e all'UIC la gestione di quelle valutarie, portando in questo modo il quantitativo delle riserve della Banca a 2.136 tonnellate. Negli anni successivi, soprattutto tra il 1966 e il 1970, vi furono altre variazioni in aumento delle quantità detenute che raggiunsero nel 1973 le 2.565 tonnellate.

Nel 1976, nell'ambito di un'operazione di credito effettuata con la Deutsche Bundesbank, per conto dell'UIC, 543 tonnellate di oro furono trasferite dalla Banca all'UIC per consentire a quest'ultimo di costituirsi un adeguato quantitativo di oro da trasferire alla Bundesbank in garanzia del credito ricevuto; le riserve si ridussero pertanto a 2.022 tonnellate.

Nel 1979 furono poi trasferiti al Fondo Europeo di cooperazione monetaria (FECom) il 20 per cento delle riserve ufficiali in euro e in dollari, pari a circa 517 tonnellate di oro; la riserva aurea dell'Istituto raggiunse in questo modo le 1.505 tonnellate, rimanendo sostanzialmente invariata fino al 1996 (nel gennaio del 1980 vi fu un ulteriore trasferimento di oro al FECom per 1,3 tonnellate).

Nel 1997 l'oro di proprietà della Banca salì a 2.074 tonnellate, grazie all'acquisto dell'oro residuo di disponibilità dell'UIC pari a 570 tonnellate (tra il 1977 e il 1979 la Bundesbank aveva restituito all'UIC le 543 tonnellate di oro, cui si aggiungono 27 tonnellate restituito dal FMI sempre nel triennio 1977 - 1979).

Nel 1998 la riserva aurea della Banca aumentò di ulteriori 518 tonnellate grazie alla chiusura definitiva dell'operazione di REPO contro ECU stipulata con la BCE. Le ultime variazioni quantitative, che hanno portato le riserve alle attuali consistenze di 2.452 tonnellate, sono avvenute all'inizio del 1999, in occasione dell'avvio dell'UEM, con il conferimento alla BCE di 141 tonnellate di metallo.

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