Davvero rimarremo senza pasta?
Una "tempesta perfetta" per la filiera italiana della pasta a causa della forte dipendenza dalle importazioni di grano duro
L'Italia rischia di restare senza pasta a causa di una carenza di scorte di grano duro. La notizia è davvero sconvolgente, considerando che siamo il primo produttore ed esportatore mondiale di pasta e che ne consumiamo circa 23 chilogrammi a testa in un anno. La produzione è notevolmente aumentata negli ultimi tempi, raggiungendo livelli record, allora perché sulle nostre tavole il consumo di pasta potrebbe ridursi vertiginosamente negli anni a venire? Cosa sta succedendo?
In Italia solo un piatto di pasta su quattro è prodotto con grano duro italiano
Negli ultimi dieci anni (2010-2020) la produzione di pasta nel mondo è aumentata da 9 a 17 milioni di tonnellate l'anno: l'Italia da sola ne ha prodotti 3,9 milioni di tonnellate, confermandosi un punto di riferimento per il settore. Peccato che solo un piatto su quattro è totalmente italiano, ossia è prodotto con materia prima Made in Italy. Ciò vuol dire che per le farine dipendiamo dai produttori esteri e che nella nostra penisola sono sempre meno i terreni agricoli coltivati a grano duro: abbiamo perso 75 mila ettari negli ultimi cinque anni, secondo CAI - Consorzi Agrari d’Italia.
I numeri sulla pasta, diffusi dall’Unione italiana food in occasione del World Pasta Day di ottobre, parlano chiaro: per evitare problemi nella nostra filiera dobbiamo valorizzare il prodotto italiano altrimenti si rischiano problemi seri, come quello che ci stiamo trovando ad affrontare proprio ora. A causa del raccolto disastroso di quest'estate del principale esportatore mondiale di grano duro, ossia il Canada che normalmente rappresenta circa due terzi del commercio globale, l'intera filiera italiana della pasta potrebbe trovarsi alle prese con una sostanziale contrazione dell'offerta di grano duro. Una scarsità delle scorte porterà inevitabilmente ad una riduzione nella produzione di pasta in Italia e ad un incremento dei prezzi.
Prezzi grano duro ai massimi da 13 anni
Ad impattare negativamente sulla produzione di grano duro non sono solo i disastrosi effetti dei cambiamenti climatici. Da considerare che la contrazione di produzione di grano canadese, dovuta alla siccità e al caldo eccessivo di quest'anno, arriva dopo la pandemia Covid che aveva già portato i livelli di scorte sui minimi degli ultimi sei anni. Notizie poco confortanti arrivano anche dall'Italia: secondo la Commissione europea il raccolto di grano duro nel 2021 sarà pari a 3,7 milioni di tonnellate a fronte dei 4,3 milioni stimati in precedenza. Sembra proprio che siamo in quella che viene definita come una "tempesta perfetta", ossia una concomitanza di eventi che si traduce in qualcosa di catastrofico.
Sempre più preoccupati i produttori di pasta italiani, che vedono le quotazioni di grano duro salire di giorno in giorno, arrivando a toccare i massimi degli ultimi 13 anni. Secondo alcuni esperti, però, il peggio deve ancora venire.
La soluzione più logica sembrerebbe quella di tornare a coltivare grano in Italia, anche perché i consumatori del Belpaese stanno iniziando ad interessarsi sempre più alle confezioni 100% grano italiano, non solo per puro spirito nazionalistico ma anche per via delle incertezze legate al glifosato, il contestato erbicida utilizzato nelle coltivazioni intensive di grano duro in America potenzialmente cancerogeno.