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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il cantiere previdenziale

"In pensione a 62 anni o con Quota 41"

Per i sindacati si può fare. Ghiselli (Cgil): con il passaggio al contributivo l'età di pensionamento avrà "una incidenza sempre minore sui costi"

Sulla riforma previdenziale l'esecutivo si mantiene ancora vago sebbene la scadenza di Quota 100 sia sempre più vicina. "Il tema delle pensioni è una questione aperta che affronteremo nella legge di bilancio" ha detto oggi il ministro dell'Economia, Daniele Franco, aggiungendo che "abbiamo accennato a un possibile utilizzo delle risorse del gap" derivante dal miglioramento dei conti pubblici, "ma non è una lista propriamente esaustiva".

In pensione a 62-63 anni nel 2022 con il nuovo fondo

Se l'esecutivo è silente a parlare sono i sindacati. Nel corso di un'audizione alla Commissione Lavoro alla Camera, il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli ha sollecitato il governo ad una rivisitazione complessiva del sistema" pensionistico con un nuovo approccio sul tema della flessibilità in uscita. La proposta della Cgil era e resta quella di mandare i lavoratori in pensione a 62 anni o con 41 anni di contributi a prescindere dall'età. In che modo? Secondo Ghiselli tutto ciò sarà possibile perché il passaggio da un sistema retributivo ad uno prevalentemente contributivo sta determinando un "cambio di paradigma" che permetterà di garantire più flessibilità in uscita. Ossia andare in pensione prima. 

Perché secondo la Cgil sarà possibile andare in pensione a 62 anni

"Ormai - ha spiegato il segretario della Cgil - si sono esaurite le coorti interamente retributive fino al 2011 (sono circa 200.000 le persone ancora interamente nel retributivo) e chi andrà in pensione da ora in poi avrà almeno i 2/3 del proprio paniere previdenziale di natura contributiva. Questo determina una sempre minore incidenza sui costi dell'età di pensionamento, considerando l'effetto attuariale determinato dai coefficienti di trasformazione". 

Insomma, grazie al progressivo affermarsi del sistema contributivo sarà possibile secondo la Cgil "un approccio completamente nuovo al tema". E in questo approccio la data del possibile pensionamento non sarà più considerata "come il momento dell'uscita ma come un intervallo di tempo entro il quale le persone sceglieranno il momento dell'uscita dal lavoro, sulla base delle diverse condizioni soggettive, professionali, famigliari, di salute, economiche". 

Il ragionamento sembra essere il seguente: grazie al sistema contributivo, abbassare l'età pensionabile costa oggi meno che in passato. E dunque è possibile garantire più flessibilità senza appesantire troppo i conti. 

Del resto, ha evidenziato Ghiselli, "lo abbiamo già appurato con Quota 100 che ha visto al momento l'adesione di poco più di un terzo gli aventi diritto alla prestazione". Per la Cgil dunque "l'introduzione di un sistema di flessibilità in uscita per la pensione, che noi proponiamo a partire dai 62 anni, o con 41 anni di contributi a prescindere dall'età, di per sé non contrasterebbe con l'obiettivo di un innalzamento tendenziale dell'età media di pensionamento, e quindi con la stabilità prospettica del sistema a fronte delle trasformazioni demografiche in corso e quelle previste". 

Riforma delle pensioni: i sindacati compatti

Sulla stessa linea il segretario della Cisl Ignazio Ganga. "È preoccupante - ha fatto sapere ieri - che nella Nadef non si riscontri alcun riferimento alla necessità di interventi sul tema delle pensioni che interessa milioni di lavoratori e lavoratrici i quali non possono essere lasciati nell'incertezza con la prossima scadenza di quota 100". 

Sulla riforma previdenziale i sindacati sono uniti. "Con la prossima scadenza di quota 100, è indispensabile prevedere la possibilità di andare in pensione a partire dall'età di 62 anni e per chi ha iniziato a lavorare presto con 41 anni di contributi senza vincoli sull'età" ha sottolineato il sindacalista. Inoltre, ha aggiunto, "bisogna prestare particolare attenzione a chi svolge lavori usuranti e gravosi e in questo senso pensiamo che la Commissione di studio abbia fatto un buon lavoro nel cercare di ampliare, sulla base di criteri oggettivi, la platea delle professioni che possono rientrare in queste categorie ma di certo non è sufficiente l'allargamento dell'Ape sociale". 

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