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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Sette modi per lasciare prima il lavoro e andare in pensione oggi

Le vie e i requisiti richiesti per uscire dal lavoro in anticipo, senza aspettare di aver compiuto 67 anni per ottenere l'assegno mensile di vecchiaia

La riforma delle pensioni sembra essersi arenata e per questo le organizzazioni sindacali sono preoccupate. Dopo i primi due incontri tra governo e sindacati avvenuti nelle scorse settimane, non c'è ancora una data per la terza riunione che dovrebbe essere la più importante perché riguarderebbe proprio le misure di flessibilità da adottare nel 2024, per superare la legge Fornero e permettere di anticipare l'accesso alla pensione rispetto a quanto previsto da quella legge. In origine, il piano tra sindacati e governo Meloni sulle pensioni era di arrivare ad un accordo entro il mese di aprile, quando alle Camere verrà presentato il documento di economia e finanza (Def) con le previsioni di spesa per il 2024. Al momento, però, il raggiungimento di questo obiettivo sembra sempre più difficile. Il rischio concreto è che le novità sul fronte della previdenza possano essere solo altre misure provvisorie e limitate a una platea circoscritta, come abbiamo spiegato qui.

Sta di fatto che i lavoratori che non intendono aspettare i fatidici 67 anni d'età previsti dalla legge Fornero per andare in pensione di vecchiaia "ordinaria" hanno diverse possibilità offerte dalle leggi oggi in vigore per vedersi accordare anzitempo il trattamento previdenziale. Le strade per uscire dal lavoro in anticipo e godersi la pensione nel 2023 sono sette. Ognuna richiede dei requisiti specifici: la platea di possibili beneficiari per ciascuna via per la pensione anticipata è abbastanza ridotta. Vediamole nel dettaglio.

La pensione anticipata ordinaria

Tra le possibilità offerte dalle leggi in vigore per uscire prima dal lavoro va menzionata innanzitutto la pensione anticipata ordinaria. Si tratta di uno strumento in vigore già da molti anni che permette di uscire dal lavoro solo grazie ai requisiti contributivi. Questo trattamento previdenziale può essere conseguito a prescindere dall'età anagrafica dai lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria. È necessario, però, che si sia iniziato a lavorare intorno ai vent'anni e che si siano sempre versati i contributi. Quest'opzione, infatti, richiede (fino al 31 dicembre 2026) 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini (2.227 settimane) e 41 anni e 10 mesi per le donne (2.175 settimane).

Chi può sfruttare quota 103

C'è poi l'opzione della quota 103, che quest'anno sostituisce quota 102. Questa misura transitoria è stata introdotta dall'ultima legge di bilancio per evitare un passaggio troppo brusco dalla scaduta quota 100 ai regimi ordinari. Gli iscritti alla gestione Inps possono andare in pensione con 62 anni d'età e 41 anni di anzianità contributiva. La platea potenziale è stimata in 50mila persone. Fino al raggiungimento della soglia di vecchiaia, il trattamento con quota 103 non sarà cumulabile con un altro reddito da lavoro, ad esclusione di quello autonomo "occasionale" non oltre i 5mila euro. La legge di bilancio prevede che l'importo della pensione non potrà comunque superare il livello pari a 5 volte il minimo Inps. Chi possiede i requisiti per il pensionamento tramite quota 103, può anche scegliere un rinvio beneficiando del cosiddetto "bonus Maroni", un incentivo che corrisponderà al trasferimento della quota di contributi a carico del lavoratore dipendente direttamente nello stipendio (circa il 9,19%).

L'accesso alle due misure quota 100 e quota 102, inoltre, resta possibile anche negli anni seguenti alla maturazione dei requisiti. Che però deve essere avvenuta. In sostanza può usufruire di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) chi aveva già i requisiti richiesti dalla legge al 31 dicembre del 2021, mentre quota 102 (64+38) sarà fruibile per chi aveva già maturato i requisiti al 31 dicembre del 2022.

L'ape sociale per uscire prima dal lavoro

C'è poi l'ape sociale, confermata dalla manovra. Si tratta di una possibilità di uscita anticipata riservata solo ai lavoratori di categorie cosiddette deboli: disoccupati, disabili (almeno al 74%), caregiver, addetti a mansioni gravose. Ci sono però diversi requisiti da soddisfare, sia anagrafici che contributivi. Bisogna aver compiuto 63 anni di età e aver versato, in base alla categoria, tra i 30 e i 36 anni di contributi. È uno scivolo pagato dallo Stato: si riceve un'indennità Inps, pari al massimo a tre volte l'assegno sociale, fino al raggiungimento dell'età per la pensione di vecchiaia (67 anni).

Le attività usuranti

Anche i lavoratori addetti a mansioni usuranti o gravose, definite dal decreto legge numero 67 del 2011 e dalla legge di stabilità 2018, possono uscire in anticipo. Servono 35 anni di contributi versati, mentre l'età cambia in base al tipo di lavoro. Si parte da 61 anni e 7 mesi per i dipendenti addetti a mansioni particolarmente usuranti per almeno 78 giorni o notti in un anno, e si arriva a 64 anni e 7 mesi per gli autonomi (o con versamenti in entrambe le gestioni) che sono lavoratori notturni a turni con un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 all'anno.

Opzione donna ridimensionata dal governo

L'ultima manovra del governo ha prorogato per il 2023 anche opzione donna, la misura sperimentale che consente alle lavoratrici di andare in pensione con requisiti ridotti rispetto all'anticipata ordinaria. La legge di bilancio, tuttavia, ha introdotto alcune modifiche rispetto al passato: ha lasciato i contributi a 35 anni, ma ha alzato l'età pensionabile a 60, ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni (59 anni con un figlio, 58 anni con due o più). L'uscita anticipata è possibile solo per tre categorie: caregiver, invalide al 74%, licenziate o dipendenti di aziende in crisi (in quest'ultimo caso l'uscita è possibile con 58 anni di età, indipendentemente dal numero dei figli).

E i lavoratori precoci?

Un'altra via d'uscita anticipata dal lavoro riguarda i lavoratori precoci. In questo caso si può andare in pensione a qualsiasi età, con 41 anni di contributi versati e almeno uno versato prima di compiere 19 anni di età. Servono, però, anche altri requisiti per accedere alla cosiddetta quota 41. Nel dettaglio, bisogna essere in una di queste quattro condizioni:

  • stato di disoccupazione per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale;
  • assistere e convivere da almeno sei mesi con il coniuge o un parente con handicap;
  • riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%;
  • oppure svolgere attività usuranti o gravose.

Che cos'è l'isopensione

L'ultima possibile via d'uscita anticipata è l'isopensione, chiamata anche "assegno di esodo": si tratta di un provvedimento introdotto nel 2012 dalla legge Fornero. È riservata ai lavoratori delle grandi aziende (con più di 15 dipendenti) che hanno personale in eccedenza. Con questo strumento le aziende possono siglare accordi con le organizzazioni sindacali per incentivare l'esodo dei lavoratori più anziani. Ma per poterne usufruire devono mancare pochi anni - non più di 7 - per raggiungere i requisiti minimi per la pensione ordinaria. La misura era in scadenza nel 2023, ma il decreto milleproroghe l'ha estesa fino al 30 novembre 2026. Nel dettaglio, l'isopensione è stata estesa da 4 a 7 anni dalla cessazione del rapporto lavorativo. In questo modo si è andata ad allargare la platea di lavoratori interessati da questo provvedimento.

È un'opzione gravosa per i datori di lavoro: l'isopensione, infatti, prevede che l'azienda versi all'Inps sia le somme per l'assegno sostitutivo della pensione, sia la contribuzione correlata. Durante questo periodo il lavoratore riceve un assegno sostitutivo fino alla maturazione dei requisiti minimi. Si tratta di una forma di prepensionamento che compensa il lavoratore dello stipendio che non riceverà a causa dell'interruzione del rapporto di lavoro, fino al raggiungimento della pensione. L'accordo siglato con i sindacati deve essere validato dall'Inps, che valuta i requisiti contributivi del dipendente e la dimensione dell'azienda. All'impresa viene richiesta anche una fidejussione a garanzia della sua solvibilità.

L'assegno dell'isopensione che riceve il lavoratore è pari all'importo del trattamento che gli spetta secondo le regole vigenti, in base alla contribuzione versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro. L'assegno di esodo non gode della perequazione automatica all'indice Istat e non permette trattenute come nel caso di riscatti e ricongiunzioni o per la cessione del quinto. L'isopensione, infine, non viene trasformata automaticamente in pensione: il lavoratore ha infatti l'onere di presentare in tempo utile la domanda di pensione all'istituto di previdenza.

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