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Pensioni: chi lascia il lavoro prima del 31 dicembre 2022 e chi spera di farlo dal 1º gennaio 2023

La riforma per ora è in alto mare. Senza modifiche, tra un anno i canali di uscita rimarrebbero solo quelli ordinari, mai venuti meno dal 2012: 67 anni di età per la vecchiaia o 42 anni e 10 mesi di contributi per l’anticipata (uno in meno per le donne)

Sul fronte pensioni, la flessibilità in uscita resta nel 2022 appesa a sistemi e schemi vecchi, sperimentali e soprattutto provvisori. Qualcosa dovrà cambiare, per forza. Altrimenti,  senza modifiche di ampio respiro, tra un anno i canali di uscita rimarrebbero solo quelli ordinari, mai venuti meno dal 2012: 67 anni di età per la vecchiaia o 42 anni e 10 mesi di contributi per l’anticipata (uno in meno per le donne). Non accadrà, l'età sarà senz'altro più bassa. La strada verso la riforma delle pensioni è appena iniziata.  Dopo l'incontro del 20 gennaio scorso, in cui si è parlato di giovani e donne, si guarda alle prossime riunioni convocate come di consueto al ministero del lavoro, con un calendario fitto di appuntamenti. Dai prossimi incontri tra governo e sindacati arriveranno indicazioni precise. Si tornerà a discutere di pensioni il 27 gennaio prossimo, concentrandosi soprattutto sulla pensione di garanzia per i giovani e sulla previdenza complementare. Il 3 febbraio prossimo, invece, la riunione tra Cgil, Cisl e Uil e i ministri Orlando e Franco si focalizzerà sulla flessibilità in uscita (per le parti sociali è essenziale flessibilità dai 62-63 anni). Ma procediamo con ordine

Chi può lasciare il lavoro nel 2022

Il 31 dicembre è finita dopo tre anni di sperimentazione Quota 100 dopo tre anni, si passa a Quota 102 per chi somma 64 anni di età e 38 di contributi. Ma Quota 102 è roba "per pochi". Al massimo 16.800 lavoratori. Le prime uscite per Quota 102 saranno a maggio ed agosto, per via delle finestre di legge di tre e sei mesi previste per dipendenti privati e pubblici che raggiungono i requisiti.

Opzione Donna è stata super confermata. Si tratta di una opzione che permette l'uscita anticipata alle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno compiuto 58 o 59 anni, rispettivamente, nel 2021 e possono contare su 35 anni di contributi. Le finestre sono molto lunghe, 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e ben 18 mesi per le autonome: le donne, nate entro il 1963 o 1962, lasceranno il lavoro tra la fine di quest’anno e il prossimo. La platea interessata è di 17 mila donne.

L'Ape sociale è stata confermata per il 2022 e allargata a più mansioni gravose: da 15 a 23 categorie. Poco pià di 20mila gli "apisti" quest'anno. Calano da 36 a 32 anni i contributi richiesti a edili e ceramisti per poter richiedere l’Ape e uscire così dal lavoro a 63 anni.

Per chi invece accede al pensionamento con la legge Fornero nessun cambiamento è atteso per il 2022, né nelle modalità di accesso né nel sistema di calcolo applicato per l’assegno previdenziale. Quest'anno tra Quota 102, Opzione Donna e Ape sociale allargata, i lavoratori in potenziale uscita anticipata nel 2022 saranno 55mila circa.

Chi potrà lasciare il lavoro nel 2023

I sindacati per la riforma delle pensioni chiedono tanta flessibilità in uscita per tutti a partire dai 62 anni di età o 41 anni di contributi. I paletti di Draghi (ma presumibilmente di chiunque sarà premier) sono anticipi pensionistici in cambio del ricalcolo contributivo: pensione in base a quanto si è versato dunque. Il problema è che con il ricalcolo contributivo l'assegno per molti lavoratori con carriere discontinue, periodi di cassa integrazione, precariato, basso salario è destinato a essere al limite della soglia di povertà. I sindacati chiedono anche una pensione di garanzia che permetta ai giovani con importanti buchi contributivi di avere pensioni dignitose, equità per i lavori gravosi e le donne. Tanta carne al fuoco: il tempo per organizzare una riforma vera che superi la Fornero c'è. Si preannunciano mesi di duro confronto.

Va chiarito un punto: qualsiasi riforma sarà solo e soltanto nel solco del sistema contributivo: si intende con metodo retributivo il calcolo dell’assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni, mentre con metodo contributivo si tiene in considerazione l’ammontare dei contributi effettivamente versati. Le stime più pessimistiche riportano che per il 60% di chi è entrato nel mondo del lavoro a metà degli anni ‘90, l’importo sarà sotto la soglia di povertà considerando anche che non è prevista un’integrazione al minimo. La riforma delle pensioni Fornero del 2011-2012 ha già predisposto numerose modifiche al sistema previdenziale italiano, segnando il passaggio definitivo dal metodo retributivo a quello contributivo.

Ape Sociale o piano Tridico dal 2023

Per il 2023 sono nulle le chance di successo per l’ipotesi di pensionamenti anticipati con 62 anni, svincolati dal ricalcolo contributivo dell’assegno, che è contenuta nella piattaforma unitaria sulla previdenza consegnata dai sindacati a Palazzo Chigi. Invece ci sarà una condivisione di partenza sull'approccio che ipotizza dal 2023 uscite anticipate totalmente contributive e sull’allargamento del bacino dell’Ape sociale. Un segnale di questo tipo è arrivato con l’ok del governo all'emendamento alla manovra che fa scendere da 36 a 32 anni la soglia contributiva per l’accesso all’Ape sociale dei lavoratori edili e inserisce i ceramisti tra le mansioni usuranti per le quali è possibile utilizzare l’Anticipo pensionistico.

L'anticipo pensionistice "Ape Sociale" è una possibile trave portante della riforma. Non dispiace a nessuno: oggi consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto una certa età anagrafica (più altri requisiti).  L'Ape sociale, dove Ape sta per anticipo pensionistico, è un’indennità erogata da parte dello Stato destinata a soggetti - al momento basata su 63 o più anni di età in particolari condizioni di difficoltà, per esempio perché hanno svolto per anni lavori gravosi o perché assistono un coniuge con una disabilità o ancora perché si sono ritrovati disoccupati senza la possibilità di diventare a tutti gli effetti pensionati per motivi di età  - che hanno necessità di un aiuto economico prima di poter accedere alla pensione di anzianità. 

La misura dell’Ape sociale, introdotta nel 2017, con la manovra è stata prorogata anche al 2022. Dal 2023 potrebbe essere estesa a molti più lavoratori.

Ci sono anche tante altre voci e indiscrezioni. Per la riforma previdenziale il presidente dell'Inps Tridico continua a proporre una soluzione di compromesso che si basa sullo scambio tra flessibilità e ricalcolo contributivo dell'assegno. Non è di certo una novità, è da tempo che il presidente dell'istituto sostiene questa proposta senza tuttavia trovare troppi consensi. Si potrebbe in tal caso anticipare l'uscita a 64 anni ottenendo solo la quota contributiva dell'assegno. Poi dai 67 anni si riceverebbe anche la parte retributiva: una soluzione per ora passata sottotraccia ma che diventerebbe forse accettabile anche per i sindacati se quel "64 anni" diventasse "62 o 63 anni". Satremo a vedere.

Ipotesi mini-taglio dell'assegno per lasciare prima il lavoro

Altra ipotesi, che circola in questi giorni è quella di  permettere, partendo da una età minima (che non viene indicata, potrebbe forse essere 63 anni), l’uscita anticipata subendo una riduzione della quota retributiva della pensione (ad esempio, intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) che compensi, in modo equo, il vantaggio della percezione della pensione per un numero maggiore di anni. Sarebbe una svolta vera, nel solco - inevitabile - del passaggio verso lo schema di calcolo contributivo. Sarebbe una modifica radicale perché di fatto permetterebbe a tutti, indipendentemente dalla loro carriera pregressa e senza impatto eccessivamente forte  per i conti pubblici nel lungo periodo, di lasciare il lavoro prima della soglia stabilita dalla Fornero.

Si tratta, va sottolineato, di una proposta diversa da quella di Pasquale Tridico, che suggeriva di consentire l’anticipo della sola quota contributiva dell’assegno rimandando alla soglia di vecchiaia l’erogazione della fetta retributiva. 

No dell’età della pensione almeno fino al 2025

Nessun aumento dell’età della pensione almeno fino al 31 dicembre 2024. A stabilirlo è il decreto del ministro dell’Economia, Daniele Franco, del 27 ottobre in cui si spiega che le future modifiche all’età pensionabile si legheranno all’aumento della "speranza di vita", che verrà calcolata solo dal 1° gennaio 2023. In sintesi quindi fino al 2024 l’età richiesta sia per la pensione di vecchiaia che per quella dell’assegno sociale è "congelata" a 67 anni. Ma con la riforma si troveranno non una, bensì più strade, per permettere a migliaia di lavoratori di lasciare il lavoro prima, in anticipo, da 62-63 anni, senza tagli troppo pesanti sull'assegno mensile rispetto alla cifra che si otterrebbe a 67 anni.

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