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Pensioni con due quote: chi lascerà il lavoro dal 1º gennaio 2022 e a chi conviene l'assegno "a rate"

Chi potrà davvero lasciare il lavoro quando Quota 100 sarà definitivamente messa in soffitta tra 70 giorni? L'ipotesi dell'uscita in 2 fasi prende piede. Ma è davvero una buona idea? Ecco come stanno le cose e a chi potrebbe realmente convenire. Tutte le ipotesi

Chi potrà andare in pensione nel 2022, quando Quota 100 sarà definitivamente messa in soffitta, tra 70 giorni? Ormai il quadro va chiarendosi, nonostante sia presto per avere certezze. Qualche punto fermo sembra esserci, come la conferma di misure come Ape Sociale e Opzione Donna, ma la verà novità dovrebbe essere un'altra. Siamo nel campo delle ipotesi, ma tutto sembra andare in una direzione. Il tempo stringe e dopo mesi di indiscrezioni, è arrivato il momento di tirare le fila e trarre le conclusioni.

Pensioni in alto mare: cosa "non va" in Quota 102 e Quota 104 e chi potrà lasciare il lavoro dal 1º gennaio 2022

Pensioni: chi lascerà il lavoro nel 2022

Chi non ha i requisiti per fare domanda di Quota 100 entro dicembre, dal primo gennaio 2022 potrà contare solo sui requisiti ordinari definiti dalla vecchia legge Fornero, che tornerebbe protagonista dopo essere stata "schermata" per tre anni da Quota 100: 67 anni e almeno 20 di contributi per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi per quella anticipata (un anno meno per le donne), a qualsiasi età.

Ci sono casi limite, come il seguente ipotizzato oggi da Repubblica: un nato nel 1959 che ha iniziato a lavorare nel 1984 non può fare domanda ora per Quota 100 perché ha 62 anni, ma solo 37 di contributi. Il suo compagno di banco - nato come lui nel 1959, ma che ha iniziato a lavorare nel 1983 - ha invece due mesi e mezzo di tempo per aggrapparsi a Quota 100. Mentre lui da gennaio diventerà "scalonato" e dovrà lavorare 5 anni in più, fino ai 67. Problema simile per i nati nel 1958 e 1957, ma con "scalini" di soli 3 e 4 anni.

Altro esempio che qui su Today vi facciamo da tempo quando si parla di pensioni: Mario e Giovanni hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Mario andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giovanni dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Tale scalone andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008.

Pensioni: cosa succede con la doppia quota e chi lascia il lavoro

Con la legge di Bilancio verranno stanziati circa 5 miliardi per il capitolo previdenza. Il piano dell'Inps per superare Quota 100 dal 31 dicembre in avanti c'è e non è nuovo. Da mesi (ne abbiamo scritto ad aprile per la prima volta) per affrontare la fine di Quota 100 si ipotizza di potrebbe prevedere per i lavoratori appartenenti al sistema misto la possibilità di accedere intorno ai 63/64 anni a una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta per poi avere la pensione completa al raggiungimento dell'età di vecchiaia.

Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ha fatto sapere che questa ipotesi sarebbe "sostenibile" dal punto di vista finanziario con un aggravio di circa 2,5 miliardi per i primi tre anni e risparmi a partire dal 2028. Al contrario, una Quota 41 per tutti (lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall'età, ipotesi che piace anche ai sindacati) costerebbe nel 2022 4,3 miliardi per poi crescere e toccare nel 2029 oltre 9 miliardi l'anno. Nel 2022 potrebbero accedere alla forma di pensionamento suggerita dall'Inps almeno 50mila persone per una spesa di 453 milioni mentre nel 2023 potrebbero accedere 66mila persone per 935 milioni. Diverso il discorso per il 2024 e 2025, quando l'impatto sulle casse dello Stato sarebbe più rilevante: oltre 1,1 miliardi l'anno e 160mila uscite nel biennio.

A questa ipotesi guarderebbe con rinnovata attenzione il governo Draghi. L'ipotesi dell'uscita in 2 fasi prende piede. I requisiti sono almeno 63/64 anni di età (requisito da adeguare alla speranza di vita); essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione; aver maturato, alla data di accesso alla prestazione, una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale. La prestazione completa spetta fino al raggiungimento del diritto per la pensione di vecchiaia. In quanti saranno interessati a prendere la pensione (a patto che sia 1,2 volte sopra il minimo, cioè almeno 618 euro al mese) in due tempi? Un pezzo subito (quota contributiva) e un altro (quota retributiva, parametrata agli ultimi stipendi) dopo 3-4 anni al compimento dell’età di vecchiaia (67 anni)?

In attesa della pensione intera, si potrebbe parzialmente integrare l’assegno con un reddito da lavoro ma non con Reddito di cittadinanza, Ape Sociale o altri sostegni.

Cosa converrà "scegliere" per andare in pensione?

Andrea Carbone, economista e fondatore di smileconomy , laboratorio indipendente di consulenza finanziaria e previdenziale, fa i conti in tasca ai pensionandi per Repubblica. "Il quotista classe 1959 - che ha iniziato a lavorare nel 1983 e ha i 38 anni di contributi richiesti - se vuole può andare in pensione subito, nell’ultimo scorcio del 2021, con Quota 100 a 62 anni e prendere 1.265 euro netti al mese. Il suo compagno di banco che ha iniziato a lavorare un anno dopo, nel 1984 - lo "scalonato" - aspetterà invece altri 5 anni, ma poi incasserà 1.430 euro (ipotizzando uno stipendio attuale per entrambi di 1.800 euro netti)".

E con l’opzione Tridico? "Da subito incassano solo 650 euro (la parte contributiva della pensione maturata) e 1.320 euro quando compiono 67 anni, quasi 150 euro in meno di quanto avrebbero intascato se avessero lavorato quattro anni in più. Meno si lavora, meno contributi si accumulano, minore sarà la pensione".

I lavoratori si troverebbe davanti a una scelta chiara: vivere con meno di 700 euro al mese di pensione per 3-4 anni, per passare a 1.300 euro dai 67 anni. Oppure proseguire a lavorare per avere ai 67 anni un assegno più alto di 100-150 euro. "Vista così, l’ipotesi Tridico sembra più attrattiva per chi è a rischio disoccupazione o per chi, per motivi personali o di salute, non desidera più lavorare", dice l'economista.

Elsa Fornero: "No a Quota 102 o Quota 41"

Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro, dice la sua in una lunga intervista alla Stampa. Cosa fare dopo Quota 100? "Come prima cosa va detto che Quota 100 non è una riforma pensionistica ma semmai una controriforma, parziale, limitata nel tempo. Di fatto una specie di trappola a scapito di quelli che maturano i requisiti poco dopo la sua scadenza. E' chiaro che serviva uno scivolo prima, forse bisognava intervenire già l'anno scorso".

"A me era piaciuto molto - continua Fornero -  quello che era scritto nella prima versione del Pnrr, ovvero che "si troveranno, nell'ambito del sistema pensionistico attuale, correttivi per evitare che ci sia un brusco innalzamento dell'età della pensione col termine di Quota 100". Un messaggio importante, perché significa far leva sugli strumenti che ci sono come Opzione donna, l'Ape sociale, l'Ape volontaria, la Rita, le misure per precoci e lavori usuranti. Tutto questo se fossimo onesti soprattutto con le generazioni future, potrebbe essere oggetto di una discussione pacata. Purtroppo quello delle pensioni è un terreno dove tutti alzano la loro bandierina".

Secco no a Quota 102 o Quota 41 da parte di Fornero: "Riprodurrebbero quella ingiustizia nei confronti delle nuove generazioni rispetto alle quali noi stiamo sempre a piangere salvo poi non essere mai conseguenti. Non solo non sarebbe saggio, ma sarebbe ripetere politiche del passato che non mi pare abbiamo fatto bene al Paese", ragiona l'economista.

L'altra ipotesi Boeri-Perotti per andare in pensione a 63 anni

Altro spunto concreto non troppo dissimile dall'ipotesi Tridico è quello che arriva dagli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, in vista del superamento di Quota 100. Esiste "un modo per riconciliare una maggiore flessibilità nell'età di pensionamento con la sostenibilità del sistema: si può andare in pensione quando si vuole, a partire da 63 anni, ma accettando una riduzione attuariale, che oggi si applica alla sola quota contributiva, sull'intero importo della pensione, cosi come proposto dall'Inps 6 anni fa", ragionavano qualche tempoi fa i due esperti. Oggi questo "significherebbe - spiegano gli economisti - una riduzione media di un punto e mezzo per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione offerta da quota 100; in futuro ancora meno dato che le generazioni che andranno in pensione nei prossimi anni avranno una quota contributiva più alta su cui la riduzione è già comunque applicata in caso di pensione anticipata".

"Non è mai una buona idea - spiegano Boeri e Perotti - cambiare radicalmente le regole del sistema pensionistico all'ultimo momento, perché chi è vicino alla pensione si vede stravolgere i programmi di una vita e non ha tempo per porvi rimedio. Eppure anche questa volta si arriva all'ultimo minuto a decidere che fare di 'Quota 100', cioè i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d'età e 38 di contributi". Il piano di Boeri e Perotti punterebbe a "ridurre le disparità di trattamento fra le pensioni contributive e le pensioni 'miste', perché permetterebbe anche ai titolari di quest'ultime di andare in pensione prima, purché abbiano almeno 20 anni di contributi e una pensione superiore ad una soglia minima (attualmente circa 1.450 euro al mese) per non rischiare di finire in condizioni di indigenza, soprattutto quando incoraggiati fortemente dall'impresa a lasciare". La soglia a 1.450 euro "è nettamente al di sopra della soglia di povertà Istat. Si potrebbe abbassarla a mille euro, circa 2 volte la pensione minima, rendendo più ampia la platea potenzialmente interessata alla pensione anticipata". Il piano Boeri-Perotti è sensato perché non aumenterebbe il cammino del debito pubblico e i costi aggiuntivi dal 2022 in poi sarebbero pressoché interamente compensati da importi pensionistici leggermente più bassi. In sintesi: non ci sarebbero esodati dato che la possibilità di andare in pensione anticipatamente rimane, bensì con una leggera riduzione degli importi.

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