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Giovedì, 28 Marzo 2024
Verso la riforma

Pensioni, l'ipotesi per tutti: via dal lavoro a 64 anni (ma assegno con mini-taglio)

Il tavolo avviato per la riforma da governo e sindacati è ormai fermo da settimane e la situazione geopolitica internazionale impone altre urgenze. Ma qualcosa continua a muoversi e le ipotesi sulle pensioni dal 1º gennaio 2023 ci sono

La riforma delle pensioni è in stand-by. Inevitabilmente il tema del superamento della legge Fornero è stato congelato. Il tavolo avviato nei mesi scorsi da governo e sindacati è ormai fermo da settimane e la situazione geopolitica internazionale impone altre urgenze. Ma qualcosa continua a muoversi e le ipotesi sulle pensioni che verranno possono essere avanzate. "In vista della riforma delle pensioni vanno previsti interventi in favore delle donne - dice oggi Tiziana Ciprini, deputata del M5S componente della commissione Lavoro. -  Con l’ultima legge di Bilancio abbiamo prorogato Opzione Donna, ma a nostro avviso andrebbero previsti, ad esempio, percorsi agevolati per l’uscita anticipata delle lavoratrici madri. In XI commissione è depositata una mia proposta di legge che prevede la riduzione dei requisiti di anzianità contributiva necessari a questa categoria per la maturazione del diritto alla pensione: un anno per ciascun figlio fino a un massimo di 36 mesi. Riduzione che si applica anche alle lavoratrici madri adottive. Ci auguriamo che l’esecutivo voglia prenderla in considerazione". Ipotesi, al momento. Vediamo come possono cambiare le pensioni a partire dal 1 gennaio 2023.

Come cambieranno le pensioni

La quasi-certezza è che dal 31 dicembre Quota 102 non sarà rinnovata. La riforma delle pensioni darà il là a un nuovo "sistema" per lasciare il posto di lavoro superando definitivamente la legge Fornero in maniera sistemica, organica. Il governo potrebbe proporre secondo un'ipotesi molto credibile una piccola penale, un mini-taglio sull'assegno in cambio di uno sconto sull'età pensionabile. Il problema è duplice: capire come quantificare il "taglio" e fissare un'età limite uguale per la maggior parte dei lavoratori.

I sindacati per ora nicchiano: sin dal 2021 hanno messo nero su bianco le loro richieste: vorrebbero l'estensione della flessibilità a partire dai 62 anni o con 41 di contributi a prescindere dall'età, permettendo ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione senza penalizzazioni per chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tra le ipotesi anche la modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. Cgil, Cisl e Uil puntano su condizioni più favorevoli e strutturali per l'accesso alla pensione delle categorie più deboli, ad esempio gli usuranti che rientrano nell'Ape sociale, che potrebbe essere ampliata, diventando quasi strutturale. Le indiscrezioni portano dunque a una riforma con i "64 anni" anagrafici al centro. Ma procediamo con ordine.

Si poitrà lasciare senza difficoltà il lavoro ben prima dei 67 anni (il limite anagrafico che tornerebbe in vigore con la Fornero "senza quote"): è una certezza. Ma se il punto fermo dei sindacati è sempre lo stesso dal 1º gennaio 2023, ovvero pensioni già a partire dai 62 anni per tutti (impossibile) o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (i tecnici non la reputano sostenibile), il governo dal canto suo va in contropiede e sembra intenzionato a mettere sul tavolo una nuova proposta forte, che le parti sociali vaglieranno con molta attenzione. Il governo sembra intenzionato a non allontanarsi dalla soglia anagrafica minima dei 64 anni fissata dalla legge Fornero per i lavoratori totalmente contributivi. Il piano è accelerare nelle prossime settimane e trovare la quadra in tempo utile per il Def di aprile. 

Come si può fare in concreto

Lo ripetiamo: siamo nel campo delle ipotesi. Ma da qualche parte si deve partite. Uno dei piani sul tavolo di governo e parti sociali è quello che prevede di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero, ma ricalcolando l’assegno col metodo contributivo perché la flessibilità in uscita sia sostenibile, in modo che non abbia cioè un impatto sui conti pubblici. Il governo ha già parlato di questa opzione ieri ai sindacati in uno dei confronti tecnici di febbraio. Ma Cgil, Cisl e Uil non potrebbero mai dire di sì se ciò comportasse un taglio del 30%, come accade esempio con Opzione Donna (che è confermatissima per il 2022, e potrebbe vedere una riduzione dei requisiti di anzianità contributiva in futuro, come ha spiegato la deputata Ciprini).

Il punto di mediazione potrebbe essere questo: "tutti" in pensione al compimento dei 64 anni ma con almeno 20 di contributi e soprattutto con una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo. A patto che la pensione spettante non sia troppo bassa, ma superiore all’assegno sociale di un certo numero di volte. Una formula simile, a ben vedere, è già realtà per i contributivi puri, quelli che lavorano dal 1996, con un multiplo di 2,8 volte: si esce a 64 anni solo con pensioni di almeno 1.311 euro. Limite eccessivo, per i sindacati. Il governo potrebbe abbassarlo se decidesse di estendere questa formula a chi è nel sistema misto (retributivo e contributivo). Una via percorribile. In salita, ma che non incontrerebbe ostacoli reali.

Ad esempio, l'Europa non si opporrebbe in alcun modo a scenari simili, perché in Italia così si estende il contributivo a tutti, di fatto. Dai dati in mano agli economisti emerge chiaramente come il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull’assegno. Un mini-taglio della parte retributiva non sarebbe così traumatico. Dipende tutto però da come si farebbe il ricalcolo.

Pensioni, l'ipotesi: 3% all’anno di taglio, 9% in tre anni sulla parte retributiva

La strategia rielaborata dall’economista Michele Raitano, di cui si parla da tempo, potrebbe essere accettabile tanto per il governo quanto per i sindacati. Nessun ricalcolo come in Opzione Donna, bensì un’attualizzazione del pezzetto retributivo. In pratica un adeguamento, a cui si arriva applicando la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati nel corso degli anni (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (ce n’è uno per ogni età di uscita). La parte retributiva sarebbe decurtata della differenza tra i coefficienti corrispondenti a 64 e 67 anni, l’età di anticipo e quella legale. Tecnicismi a parte, vuol dire che al massimo si arriverebbe al 3% all’anno di taglio, 9% in tre anni, e solo per la parte retributiva, non a tutta la pensione. Resta però da capire quale sarebbe il reale impatto di un'ipotesi del genere per le casse dell'Inps. 

Altra ipotesi, però più debole e meno esplorata secondo le ultime indiscrezioni, per le pensioni del futuro è la soglia anagrafica minima a 62 anni, accompagnata magari da un requisito contributivo leggermente più elevato, per esempio 25 anni. I sindacati da mesi hanno indicato la necessità di introdurre forme di flessibilità in uscita dai 62 anni d’età, anche se in questo caso l'assegno sarebbe tutto ricalcolato con il "contributivo".

Il problema principale per il sistema pensionistico in Italia

Il problema principale per la sostenibilità del sistema pensionistico in Italia è che sono troppo poche le persone che lavorano, solo 23 milioni a fronte dei 34 in Francia con un numero di abitanti simile: siamo un Paese di 60 milioni di abitanti con solo 23 milioni di lavoratori, in Francia con poco più di 60 milioni di abitanti sono 34 milioni le persone che lavorano, 11 milioni in più formalmente. Certo, in Italia si stimano almeno 3,5 milioni di lavoratori in nero. Arriviamo così a 26,5 milioni di persone che lavorano. Ne mancano all’appello comunque 6-7 milioni: "Questo è il dato più importante e più fragile per il sistema economico italiano e quindi anche per quello pensionistico", evidenziava tempo fa il presidente dell'Inps Pasquale Tridico. Ma per questo problema, probabilmente, non c'è riforma che tenga.

In tema di pensioni i diritti acquisiti non vanno toccati, ragionava di recente il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, valutando positivamente il dialogo avviato con il Governo per cambiare la legge Fornero, ma ribadisce la sua contrarietà al ricalcolo con il contributivo. "L'esecutivo - dice - ha condiviso l'esigenza di parlare di flessibilità in uscita. Riconoscerla è un primo punto, come costruire la riforma è un altro discorso. Ipotizzare un passaggio a un sistema tutto contributivo sarebbe un'ulteriore penalizzazione per chi deve andare in pensione e l'ennesimo ritocco dei diritti acquisiti. Fare il calcolo con il contributivo abbassa l'assegno. Cambiare le regole adesso significa cambiare le carte in tavola. Ci aspettiamo che il confronto continui".

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