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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Ipotesi

Pensioni da 62 anni o Quota 41: a chi converrà lasciare il lavoro dal 1º gennaio

La Cisl ribadisce espressamente l'obiettivo di permettere a ogni lavoratore di uscire liberamente dopo 41 anni di contributi o raggiunti i 62 anni di età: "Non accetteremo supinamente uno scalone di 5 anni". Cosa può succedere nel 2023

Le pensioni tornano a fare capolino nel dibattito politico. Sulle pensioni "è stato fatto un lavoro al ministero orientato alla flessibilità all'interno del modello contributivo, nel cercare delle soluzioni che potessero coniugare da una parte la flessibilità per andare in pensione anticipata e dall'altra salvaguardando i pilastri della sostenibilità finanziaria", ha detto il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, a margine del congresso della Cisl. "L'agenda politica è stata occupata in questo periodo da eventi drammatici come la guerra - ha aggiunto - mi sembra che ci siano però le intenzioni da parte del Governo per proporre soluzioni. Le analisi, i conti sono stati fatti, i sindacati sono stati più volte ascoltati. Si potrebbe fare, bisogna fare una sintesi".

Pensioni: "Non accetteremo supinamente uno scalone di 5 anni"

Il punto di partenza è lo stesso da mesi: 62 anni. E' necessario realizzare una riforma del sistema previdenziale che dia alle pensioni "maggiore consistenza, sostenibilità sociale e inclusività, soprattutto per giovani e donne". Per le pensioni in essere "va sbloccato l'adeguamento ed estesa la platea delle quattordicesime". Il Governo ora deve andare "oltre le istruttorie tecniche: faccia ripartire subito il confronto in sede politica sulle nuove pensioni, individuando risposte concrete e coerenti con la nostra piattaforma". Così il leader della Cisl, Luigi Sbarra, nella relazione al XIX congresso confederale.

"Vuol dire pensioni di garanzia per i giovani e forti sconti contributivi per le donne e le madri - dice - vuol dire Ape sociale strutturale e allargamento della platea dei lavori usuranti e pesanti. Vuol dire valorizzazione dei fondi pensione, come colonna aggiuntiva indispensabile per garantire dignità alla terza età. E poi vuol dire maggiore flessibilità in uscita, permettendo ad ogni persona di uscire liberamente dopo 41 anni di contributi o raggiunti i 62 anni di età. Anche questa, soprattutto questa, è sostenibilità". Sbarra, sollecita il Governo a modificare la legge Fornero sulle pensioni e lancia un avvertimento al premier Mario Draghi: "Non accetteremo supinamente uno scalone di 5 anni".

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Il problema è proprio lo scalone che incombe. Dal primo gennaio 2023, senza interventi sulla previdenza, si tornerà infatti alla riforma Fornero, che prevede un'uscita dal lavoro a 67 anni. "Non ci vengano a dire che c'è un problema di costo economico - ha detto in un passaggio fuori sacco della sua relazione - in dieci anni la riforma Fornero ha generato 117 miliardi di risparmi. Una parte di queste risorse deve essere reinvestita nel sistema". La pensione di vecchiaia (Legge Fornero) prevede il ritiro dal lavoro a 67 anni e un'anzianità contributiva minima di anni 20. Di colpo senza interventi il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età (con pensioni dai 62 anni di età solo per le mansioni logoranti).

Ma davvero la pensione a 62 anni è uno scenario realistico per gran parte dei lavoratori? In concreto si tratterebbe di introdurre un sistema disincentivante per ogni anno di anticipo alla pensione rispetto ai 67 di età, ma senza il vincolo dei 38 anni di contributi come era ad esempio per quota 100. Quindi, alla fine, ognuno dovrebbe fare i propri conti e valuterà se restare ancora al lavoro oppure no dopo i 62 anni. Tenuto conto anche che mediamente in Europa si va in pensione a 63 anni. Quindi dare a tutti la possibilità di lasciare il lavoro a partire dai 62 anni. Nel settore privato già avviene per la maggior parte dei dipendenti grazie ai contratti di espansione e agli scivoli. Ma nella pubblica amministrazione e fra gli autonomi, è ancora impossibile.

Quota 41 è sempre sul tavolo

Sull'unità sindacale il leader della Cisl, Luigi Sbarra, "ha ragione: non è un feticcio. Deve essere uno strumento per raggiungere obiettivi". Così il segretario generale dell'Ugl, Paolo Capone, ha commentato la relazione congressuale di Sbarra. Sulle pensioni "si ripropone il problema - ha aggiunto - ritornare alla legge Fornero è socialmente insostenibile. Quota 41 potrebbe essere una soluzione. Se non si interviene rischiamo di avere non solo lavoratori più poveri, ma anche meno tutelati sul fronte della sicurezza".

"Stiamo lavorando insieme con tutte le forze sindacali per quota 41 per superare e azzerare la legge Fornero entro il 31 dicembre", commenta il leader della Lega, Matteo Salvini, sempre a margine del XIX congresso della Cisl. "Siamo assolutamente in sintonia - ha aggiunto riferendosi al numero uno della Cisl, Luigi Sbarra - la necessità di tutelare lavoratori e pensionati è un impegno comune".

Sulle pensioni "l'interlocuzione c'è e deve andare avanti, andrà avanti il confronto - ha affermato il ministro del lavoro Andrea Orlando - se poi si porta a casa la riforma dipende da quali sono i livelli delle aspettative e come si incrociano". Il tavolo, comunque, "riparte", ha assicurato Orlando. L'obiettivo è arrivare a trovare una sintesi in autunno, quando dovranno essere poste le basi della prossima legge di bilancio.

Il piano di Tridico

Il presidente dell'Inps Tridico da tempo ha in tasca una "sua" proposta. Uno spunto messo sul tavolo del lungo dibattito che ci si appresta a iniziare. La proposta di Tridico è quella di andare in pensione dai 62-63 anni solo con la quota che si è maturata dal punto di vista contributivo. Il lavoratore uscirebbe dunque con l'assegno calcolato con il contributivo e aspetterebbe i 67 anni per ottenere l'altra quota, che è quella retributiva. Parallelamente sarebbero confermati o introdotti in caso di necessità strumenti ad hoc per tutelare i fragili, come gli oncologici e gli immunodepressi, che nella fase post Covid devono poter andare in pensione prima".

Trovare una convergenza tra governo, Inps e parti sociali non sarà semplicissimo. I sindacati non si smuovono per ora da due numeri: ovvero la possibilità di andare in pensione a 62 anni a prescindere dai contributi. Ma per le sigle sindacali anche quando un lavoratore arriva a 41 anni di contributi, a prescindere dall'età, deve avere la possibilità di andare in pensione. La proposta dei sindacati di fatto è quasi esclusivamente incentrata sulla flessibilità, lasciando i lavoratori liberi di decidere quando è il momento giusto per uscire dal lavoro a partire dai 62 anni di età.

"Se pagassimo subito tutta la pensione, indipendentemente dai contributi, a 62-63 anni, verrebbe meno la sostenibilità finanziaria - avverte Tridico - La mia è una proposta aperta ad altri innesti, che il ministro Orlando sta valutando, come la staffetta generazionale o le uscite parziali con il part-time. Ma non possiamo tornare indietro rispetto al modello contributivo. Il sistema previdenziale italiano è stato scolpito da due grandi riforme: la Dini del '95 e la Fornero nel 2011. È quello il nostro impianto ed è proprio qui dentro che dobbiamo incrementare i livelli di flessibilità, tenendo presente che abbiamo bisogno di equità e sostenibilità".

Anticipi pensionistici in cambio del ricalcolo contributivo

La situazione è complessa, ma qualche certeza c'è. Anticipi pensionistici in cambio del ricalcolo contributivo, non ci si discosterà da questo punto fermo: pensione in base a quanto si è versato dunque. Il problema è che con il ricalcolo contributivo l'assegno per molti lavoratori con carriere discontinue, periodi di cassa integrazione, precariato, basso salario è destinato a essere al limite della soglia di povertà. I sindacati chiedono anche una pensione di garanzia che permetta ai giovani con importanti buchi contributivi di avere pensioni dignitose, equità per i lavori gravosi e le donne. Tanta carne al fuoco: il tempo per organizzare una riforma vera che superi la Fornero c'è. Si preannunciano mesi di duro confronto.

Occhio però: qualsiasi riforma sarà solo e soltanto nel solco del sistema contributivo: si intende con metodo retributivo il calcolo dell’assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni, mentre con metodo contributivo si tiene in considerazione l’ammontare dei contributi effettivamente versati. Le stime più pessimistiche riportano che per il 60% di chi è entrato nel mondo del lavoro a metà degli anni ‘90, l’importo sarà sotto la soglia di povertà considerando anche che non è prevista un’integrazione al minimo. La riforma delle pensioni Fornero del 2011-2012 ha già predisposto numerose modifiche al sistema previdenziale italiano, segnando il passaggio definitivo dal metodo retributivo a quello contributivo.

La legge Fornero, porta con sé  – dal punto di vista del metodo di calcolo – l’estensione del sistema contributivo (che basa l’importo sui contributi versati durante l’intera carriera lavorativa) anche a coloro che, avendo maturato a dicembre 1995 almeno 18 anni di contributi, potevano usufruire del più favorevole regime retributivo (che collega l’importo all’ammontare degli ultimi salari percepiti). Questi cambiamenti strutturali, dal retributivo al contributivo, hanno comportato una consistente diminuzione del rapporto tra l’importo della pensione e l’ultimo reddito da lavoro percepito (il cosiddetto tasso di sostituzione) rispetto a quello fino ad allora corrisposto dal regime retributivo.

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