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Giovedì, 28 Marzo 2024
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In pensione a 62 anni (ma con meno soldi)

Dopo un raffreddamento del confronto, si entra finalmente nel vivo e si cerca il punto d'incontro. Draghi ha convocato i sindacati per lunedì 20 dicembre. Tante le ipotesi per il futuro: dalla "doppia quota" di Tridico alle uscite flessibili a 62, 63 o 64 anni

Il governo ha convocato i sindacati, Uil, Cisl e Cgil, per lunedì 20 dicembre, alle 15.30, per discutere espressamente di pensioni. Dopo un raffreddamento del confronto, si entra finalmente nel vivo. Sul tavolo verranno messi a fuoco anche altri nodi della Manovra: il taglio delle tasse, considerato dalle parti sociali insufficiente per i ceti medio-bassi, gli ammortizzatori e le delocalizzazioni. Il 16 dicembre, intanto, è stato confermato lo sciopero generale. "E' importante che il governo tenga aperto il confrtonto con il sindacato" ed il tavolo sulle pensioni convocato per lunedì prossimo "è il segno che ci siamo" ha detto la viceministra all'economia, Maria Cecilia Guerra (Leu), lunedì pomeriggio. Per le pensioni sul tavolo c'è solo la riforma "a lungo termine", per il 2022 è tutto già deciso. Tante le ipotesi per il futuro: dalla "doppia quota" di Pasquale Tridico alle uscite a 62, 63 o 64 anni.

In pensione prima solo con la quota contributiva

Ieri è stata Alessandra Todde, viceministra dello Sviluppo economico e vicepresidente del Movimento 5 stelle, ad affrontare il nodo pensioni per il futuro: "Servono scelte sostenibili, ma il M5S ha sempre avuto posizioni distantissime da quelle della riforma Fornero. Ho visto invece la proposta del presidente dell'Inps Tridico, di una pensione prima contributiva e poi integrata dopo alcuni anni dalla parte retributiva: mi sembra un buon punto di partenza per la discussione", conclude. Per la riforma delle pensioni che dovrà portare al superamento nel 2023 della Legge Fornero, si torna a ragionare sull'ipotesi di prevedere per i lavoratori appartenenti al sistema misto la possibilità di accedere intorno ai 62/63/64 anni a una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta per poi avere la pensione completa al raggiungimento dell'età di vecchiaia (andrebbe introdotto un minimo di anni di contributi versati, 20 secondo alcune interpretazioni). Il presidente dell'Inps da mesi ha fatto sapere che questa ipotesi sarebbe "sostenibile" dal punto di vista finanziario con un aggravio di circa 2,5 miliardi per i primi tre anni e risparmi a partire dal 2028. Al contrario, una Quota 41 per tutti (lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall'età, ipotesi che piace anche ai sindacati) costerebbe dai 4-5 miliardi all'anno a salire fino ai 9 del 2029: improponibile.

A questa ipotesi guarderebbe con rinnovata attenzione il governo Draghi. I requisiti sono almeno 62/63/64 anni di età (requisito da adeguare alla speranza di vita); essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione; aver maturato, alla data di accesso alla prestazione, una quota contributiva di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale. La prestazione completa spetta fino al raggiungimento del diritto per la pensione di vecchiaia. In quanti sarebbero interessati a prendere la pensione (a patto che sia 1,2 volte sopra il minimo, cioè almeno 618 euro al mese) in due tempi? Un pezzo subito (quota contributiva) e un altro (quota retributiva, parametrata agli ultimi stipendi) dopo 3-4 anni al compimento dell’età di vecchiaia (67 anni)? In attesa della pensione intera, si potrebbe parzialmente integrare l’assegno con un reddito da lavoro ma non con Reddito di cittadinanza, Ape Sociale o altri sostegni.

In pensione a 64, 63 e 62 anni dal 2023

Il nuovo assetto previdenziale potrebbe essere modellato sulla legge Fornero ma con l’aggiunta di un meccanismo di uscite anticipate a 64, 63 e 62 anni.

Prima ipotesi è la pensione anticipata, ricalcolata in configurazione contributiva, con almeno 64 anni d’età e 20 di contribuzione al raggiungimento di un ammontare mensile pari a 1,5-2,5 l’importo mensile dell’assegno sociale. Con la legge Fornero è già farttibile ma solo per i soggetti totalmente "contributivi" (chi ha cominciato a lavorare dal 1 gennaio 1996). Nel 2023 questa modalità potrebbe essere introdotta in forma totalmente contributiva anche per i lavoratori ancora in parte nel "retributivo".

Altra ipotesi per le pensioni del futurio è la soglia anagrafica minima a 62 anni, accompagnata magari da un requisito contributivo leggermente più elevato, per esempio 25 anni. I sindacati da mesi hanno indicato la necessità di introdurre forme di flessibilità in uscita dai 62 anni d’età, anche se in questo caso l'assegno sarebbe tutto ricalcolato con il "contributivo".

In ballo c'è anche una possibilità di uscita con 63 anni d’età e un’anzianità contributiva di 41 anni, ma appare la meno favorevole tra le varie ipotesi dal punto di vista dei lavoratori.

Pensioni: chi ci andrà nel 2022

Intanto c'è Quota 102 nel 2022. Da gennaio a dicembre potrà fare domanda per andare in pensione in anticipo chi ha almeno 64 anni e 38 di contributi. In legge di Bilancio (l'approvazione definitiva in parlamento deve avvenire entro il 31 dicembre) non si cita mai l’espressione "Quota 102", ma solo la combinazione di età e contributi. C'è anche la proroga di un anno per Ape sociale e Opzione Donna, oltre al fondo chiesto e ottenuto dalla Lega e che sarà gestito dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (200 milioni all’anno per il triennio 2022-2024) per garantire uscita anticipata ai lavoratori delle piccole e medie imprese in crisi dai 62 anni.

Nel 2023 il ritorno alla legge Fornero in versione integrale diventerebbe automatico se, nel frattempo, non saranno state congegnate nuove forme di flessibilità in uscita. Il confronto tra governo e sindacati in tema pensioni finora è stato un fallimento su tutti i livelli.

Qual è il vero problema delle pensioni in Italia

Il problema principale per il sistema pensionistico in Italia è che sono troppo poche le persone che lavorano, solo 23 milioni a fronte dei 34 in Francia con un numero di abitanti simile. Lo raccontava qualche giorno fa il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, in una intervista a Unomattina a proposito dell’inadeguatezza degli assegni pensionistici. "Bisognerebbe cominciare da un numero macro - ha detto - siamo un Paese di 60 milioni di abitanti con solo 23 milioni di lavoratori, in Francia con poco più di 60 milioni di abitanti sono 34 milioni le persone che lavorano, 11 milioni in più formalmente. Da noi ci sono, lo sappiamo, 3,5 milioni di lavoratori in nero. Arriviamo a 26,5 milioni di persone che lavorano. Ne mancano all’appello comunque 6-7 milioni. Questo è il dato più importante e più fragile per il sistema economico italiano e quindi anche per quello pensionistico". Per Tridico, ci sono "poche persone che lavorano rispetto alla platea dei pensionati che deve sostenere il nostro sistema a ripartizione".

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