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Sabato, 23 Settembre 2023
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Pensioni: tutti via dal lavoro a 63 anni?

La misura dell’Ape sociale è stata prorogata per tutto il 2022. Dal 2023 potrebbe essere estesa a molti più lavoratori, diventando la base vera della riforma: ma occhio al requisito contributivo. Domani incontro tecnico tra governo e sindacati sulla flessibilità in uscita

Il confronto entra nel vivo. E' fissato per martedì 15 alle 18 a via Flavia l'incontro tecnico tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni per quanto riguarda la flessibilità in uscita. Secondo quanto si apprende l'incontro politico dovrebbe tenersi nei giorni successivi, probabilmente entro la fine della settimana prossima. L'incontro politico previsto per il 7 era slittato dopo che si era evidenziata la necessità di un ulteriore passaggio tecnico. 

La flessibilità in uscita resta fino al 31 dicembre ancorata a sistemi e schemi vecchi, sperimentali e soprattutto provvisori. La revisione della legge Fornero è affidata alle trattative sulla riforma. Senza modifiche, tra un anno i canali di uscita rimarrebbero solo quelli ordinari, mai venuti meno dal 2012: 67 anni di età per la vecchiaia o 42 anni e 10 mesi di contributi per l’anticipata (uno in meno per le donne). Non accadrà, l'età sarà senz'altro più bassa. La strada della riforma appare però in salita. Ecco perché.

Riforma pensioni: i sindacati chiedono flessibilità in uscita dai 62 anni

I sindacati chiedono un passo in avanti nella flessibilità in uscita per tutti a partire dai 62 anni di età o 41 anni di contributi. I paletti di Draghi sono anticipi pensionistici in cambio del ricalcolo contributivo: pensione in base a quanto si è versato dunque. Il problema è che con il ricalcolo contributivo l'assegno per molti lavoratori con carriere discontinue, periodi di cassa integrazione, precariato, basso salario è destinato a essere al limite della soglia di povertà. I sindacati chiedono anche una pensione di garanzia che permetta ai giovani con importanti buchi contributivi di avere pensioni dignitose, equità per i lavori gravosi e le donne. Tanta carne al fuoco: il tempo per organizzare una riforma vera che superi la Fornero c'è. Si preannunciano mesi di duro confronto.

Il punto fermo è che tutti gli eventuali correttivi rimarranno solo e soltanto nel solco del sistema contributivo: si intende con metodo retributivo il calcolo dell’assegno pensionistico sulla base delle ultime retribuzioni, mentre con metodo contributivo si tiene in considerazione l’ammontare dei contributi effettivamente versati. Le stime più pessimistiche riportano che per il 60% di chi è entrato nel mondo del lavoro a metà degli anni ‘90, l’importo sarà sotto la soglia di povertà considerando anche che non è prevista un’integrazione al minimo. La riforma Fornero del 2011-2012 ha già predisposto numerose modifiche al sistema previdenziale italiano, segnando il passaggio definitivo dal metodo retributivo a quello contributivo.

Il modello resta l'Ape Sociale

Per il 2023 sono nulle le chance di successo per l’ipotesi di pensionamenti anticipati con 62 anni, svincolati dal ricalcolo contributivo dell’assegno, che è contenuta nella piattaforma unitaria sulla previdenza consegnata dai sindacati a Palazzo Chigi. Invece ci sarà una condivisione di partenza sull'approccio che ipotizza dal 2023 uscite anticipate totalmente contributive e sull’allargamento del bacino dell’Ape sociale a molti più lavoratori rispetto a oggi. E, in questo senso, un segnale è già arrivato con l’ok del governo all'emendamento alla manovra che fa scendere da 36 a 32 anni la soglia contributiva per l’accesso all’Ape sociale dei lavoratori edili e inserisce i ceramisti tra le mansioni usuranti per le quali è possibile utilizzare l’Anticipo pensionistico.

L'anticipo pensionistice "Ape Sociale" può essere la trave portante della riforma: oggi consente il prepensionamento, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto una certa età anagrafica (più altri requisiti).  L'Ape sociale, dove Ape sta per anticipo pensionistico, è un’indennità erogata dallo Stato destinata a soggetti - al momento basata su 63 o più anni di età in particolari condizioni di difficoltà, per esempio perché hanno svolto per anni lavori gravosi o perché assistono un coniuge con una disabilità o ancora perché si sono ritrovati disoccupati senza la possibilità di diventare a tutti gli effetti pensionati per motivi di età  - che hanno necessità di un aiuto economico prima di poter accedere alla pensione di anzianità. 

La misura dell’Ape sociale, introdotta nel 2017, con la manovra è stata prorogata anche al 2022. Dal 2023 potrebbe essere estesa a molti più lavoratori rispetto al passato, diventando la base vera della riforma. Perché allora non proseguire su questa strada consentendo a un sempre maggiore numero di categorie di lavoratori di andare in pensione a 63 anni? Non è semplice, perché comunque non si potrebbe mai arrivare ad includere tutti i lavoratori. L'impatto sulle casse dello Stato rischia di essere eccessivo. Ma ci si può ragionare, è quel che si sta tentando di fare. Agendo con chiarezza sul requisito contributivo, si potrebbe permettere una uscita scaglionata dal lavoro in base alle mansioni svolte. Quindi, dato che a un lavoratore edile bastano 32 anni di lavoro per andare in pensione a 63 anni, a un autotrasportatore ne potrebbero servire 36 e a un docente di scuola media 38. Insomma, una sorta di scala di valori che tenga conto del grado di usura del lavoro svolto e non uguale per tutti. 

Pensioni: chi lascerà il lavoro l'anno prossimo?

Per la riforma previdenziale il presidente dell'Inps Pasquale Tridico continua dal canto suo a proporre una soluzione di compromesso che si basa sullo scambio tra flessibilità e ricalcolo contributivo dell'assegno. Non è di certo una novità, è da tempo che il presidente dell'istituto sostiene questa proposta senza tuttavia trovare troppi consensi. Si potrebbe in tal caso anticipare l'uscita a 64 anni ottenendo solo la quota contributiva dell'assegno. Poi dai 67 anni si riceverebbe anche la parte retributiva: una soluzione per ora passata sottotraccia ma che diventerebbe forse accettabile anche per i sindacati se quel "64 anni" diventasse "62 o 63 anni".

Altrimenti, c'è sul tavolo l'ipotesi, partendo da una età minima (che non viene indicata, potrebbe forse essere 63 anni) di garantire l’uscita anticipata subendo una riduzione della quota retributiva della pensione (ad esempio, intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età legale) che compensi, in modo equo, il vantaggio della percezione della pensione per un numero maggiore di anni. Sarebbe una svolta vera, nel solco - inevitabile - del passaggio verso lo schema di calcolo contributivo. Sarebbe una modifica radicale perché di fatto permetterebbe a tutti, indipendentemente dalla loro carriera pregressa e senza impatto eccessivamente forte  per i conti pubblici nel lungo periodo, di lasciare il lavoro prima della soglia stabilita dalla Fornero. Una proposta nella forma e nella sostanza diversa da quella di Pasquale Tridico, che suggeriva di consentire l’anticipo della sola quota contributiva dell’assegno rimandando alla soglia di vecchiaia l’erogazione della fetta retributiva.

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