rotate-mobile
Giovedì, 18 Aprile 2024
Ipotesi e scenari

In pensione a 64 anni o Quota 41 (ma con mini-taglio): il piano dal 1º gennaio 2023

Il dibattito tra esecutivo e parti sociali sulla riforma tarda a entrare nel vivo, ma il piano del governo prevedrebbe una piccola riduzione dell'assegno per ogni anno di anticipo, solo sulla parte retributiva: tutte le ipotesi sul tavolo e chi lascerà il lavoro

Chi lascerà il lavoro dal 1 gennaio 2023 in avanti? Le ipotesi e le indicazioni non mancano. "Andrebbe considerata l'ipotesi di convergere gradualmente, ma in tempi rapidi, verso una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro" da attuare con una correzione 'attuariale' anche sulla componente retributiva dell'assegno (ovvero sulla base delle ultime buste paga, ndr), in analogia a quanto avviene per la componente contributiva (ovvero su quanto effettivamente versato, ndr) ". Così il presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino ha parlato qualche giorno fa in un'audizione sul Def presso le Commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato ribadisce la proposta della magistratura contabile su come garantire una maggiore flessibilità in uscita preservando le caratteristiche proprie del sistema contributivo che allinea le prestazioni ai contributi e determina l'importo in funzione della speranza di vita. Di fatto si vuole andare verso un'età "fissa", per tutti, in cui lasciare il lavoro.

Pensioni: l'uscita dal lavoro a 64 anni per tutti

Che la riforma delle pensioni permetterà di lasciare senza difficoltà il lavoro ben prima dei 67 anni è una delle poche certezze a oggi. Ma se il punto fermo dei sindacati è sempre lo stesso dal 1º gennaio 2023, ovvero pensioni già a partire dai 62 anni per tutti (impossibile) o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (i tecnici non la reputano sostenibile), il governo dal canto suo va in contropiede e sembra intenzionato a mettere sul tavolo una nuova proposta forte, che le parti sociali vaglieranno con molta attenzione. L'esecutivo in questi mesi di "riscaldamento" prima dell'inizio della partita-riforma non è mai apparso propenso a discostarsi troppo dalla soglia anagrafica minima dei 64 anni fissata dalla legge Fornero per i lavoratori totalmente contributivi. Il piano è accelerare nelle prossime settimane e trovare la quadra con i 64 anni "al centro".

Il governo sarebbe intenzionato a proporre un riforma che permetterà di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero, ma ricalcolando l’assegno col metodo contributivo perché la flessibilità in uscita sia sostenibile, in modo che non abbia cioè un impatto sui conti pubblici. Cgil, Cisl e Uil non potrebbero mai dire di sì se ciò comportasse un taglio del 30%, come accade esempio con Opzione Donna (che è stata confermatissima per tutto il 2022). 

Il punto di mediazione che si intravede all'orizzonte sarebbe il seguente: via dal lavoro da 64 anni con almeno 20 di contributi e una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo. A patto che la pensione spettante non sia troppo bassa, ma superiore all’assegno sociale di un certo numero di volte. La formula di quel tipo è già realtà per i contributivi puri, quelli che lavorano dal 1996, con un multiplo di 2,8 volte: si esce a 64 anni solo con pensioni di almeno 1.311 euro. Limite eccessivo, per i sindacati. Il governo potrebbe abbassarlo, se decidesse di estendere questa formula a chi è nel sistema misto (retributivo e contributivo).

Tutte le altre importanti notizie di oggi

La strada potrebbe essere davvero quello corretta. L’Europa non si opporrebbe in alcun modo a scenari simili, perché in Italia così si estende il contributivo a tutti, di fatto. I numeri dicono inoltre che il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull’assegno. Un mini-taglio della parte retributiva non sarebbe traumatica. I sindacati tentennano, ma aprono. "Dipende come si fa il ricalcolo, noi siamo contrari in ogni caso, troppo penalizzante", avverte qualcuno.

Una strategia rielaborata (da tempo) dall’economista Michele Raitano può rappresentare la soluzione. Nessun ricalcolo come in Opzione Donna, bensì un’attualizzazione del pezzetto retributivo. In pratica un adeguamento, a cui si arriva applicando la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati nel corso degli anni (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (ce n’è uno per ogni età di uscita). La parte retributiva sarebbe decurtata della differenza tra i coefficienti corrispondenti a 64 e 67 anni, l’età di anticipo e quella legale. Tecnicismi a parte, vuol dire che al massimo si arriverebbe al 3% all’anno di taglio, 9% in tre anni, e limitato alla parte retributiva, non a tutta la pensione.

Quota 41 è sempre sul tavolo

Le parti sociali, dal canto loro, da tempo hanno messo nero su bianco le richieste: vorrebbero l'estensione della flessibilità a partire dai 62 anni o con 41 di contributi a prescindere dall'età, permettendo ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione senza penalizzazioni per chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tra le ipotesi anche la modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. Cgil, Cisl e Uil puntano su condizioni più favorevoli e strutturali per l'accesso alla pensione delle categorie più deboli, ad esempio gli usuranti che rientrano nell'Ape sociale, che potrebbe essere ampliata, diventando quasi strutturale. 

C'è sempre anche il piano Tridico, che "resiste" sempre in pole position (o quasi) tra le varie opzioni che circolano in vista della riforma. Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ha più volte rilanciato la proposta di erogare a chi lascia il lavoro a 64 anni solo la parte contributiva dell'assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni (il requisito di età fissato dalla Fornero). Il putno forte di questo piano è la sostenibilità per le casse dello stato. Secondo Tridico questo tipo di anticipo costerebbe infatti 400 milioni di euro l'anno. Una spesa molto inferiore rispetto ad esempio ai 10 miliardi di "Quota 41". A livello generale, il piano delle due quote di Tridico introduce un principio di equità sul quale si potrebbe trovare una convergenza, proprio perché non prevede penalizzazioni una volta compiuti i 67 anni, ma una riduzione per i soli primi 2-3 anni di pensione.

A febbraio sembrava possibile trovare un'intesa di massima in modo che la prima bozza di riforma delle pensioni fosse scritta in tempo per il Def di aprile, il primo gradino verso la nuova legge di Bilancio. Non è andata così: il governo potrebbe decidere nel prosieguo del confronto con le parti sociali di abbassare la quota di 2,8 volte l'assegno minimo (1.440 euro) per i lavoratori del contributivo intenzionati a uscire prima dell'età di vecchiaia e ad estendere la norma anche a chi usufruisce del misto. Ma in tal caso si deve contestualmente ragionare anche sulla pensione di garanzia per chi a 67 anni non avrebbe un trattamento pari ad almeno 1,5 volte il minimo (770 euro). E chi lascerà il lavoro a 64 anni avrebbe un taglio dell'assegno leggere, al massimo del 3 per cento per ogni anno di anticipo. Probabilmente meno.

Il segretario della Uil, Pierpaolo Bombardieri, aveva apprezzato l'apertura dell'esecutivo alla flessibilità in uscita, ma avvertiva che "ipotizzare un passaggio a un sistema tutto contributivo sarebbe un'ulteriore penalizzazione per chi deve andare in pensione e l'ennesimo ritocco dei diritti acquisiti. Vorrei far notare che la media di uscita in Europa è di 63 anni, credo che l'Italia dovrebbe allinearsi". Preoccupa il rischio di taglio del 30% dell'assegno. "Fare il calcolo con il sistema contributivo abbassa l'assegno, è chiaro. Nessuno pensa di tornare a un sistema retributivo, però abbiamo un periodo di transizione in cui c'è una percentuale, ormai bassa, di lavoratori col sistema misto. Cambiare le regole adesso significa cambiare le carte in tavola".

"L'apertura del Governo alla previsione di meccanismi che incentivino la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro va nella direzione auspicata dall`UGL, tuttavia non siamo favorevoli al ricalcolo interamente contributivo. Quota 102, attualmente in vigore, scadrà a fine anno e, in assenza di una riforma previdenziale, a partire dal 2023 tornerebbe in vigore la Legge Fornero che prevede il pensionamento a 67 anni". Paolo Capone, Segretario Generale dell'Ugl, qualche tempo fa commentava così: "Come rilevano i dati dell'Inps, attualmente il sistema è sostenibile in quanto sono stati risparmiati 1,1 miliardi di euro di assegni previdenziali nel 2020 a causa dell'innalzamento della mortalità per effetto della pandemia. Il clima di incertezza continua ad alimentare i timori dei lavoratori riguardo il proprio futuro. Come sindacato Ugl, pertanto, chiediamo al governo di accelerare la riforma pensionistica ed estendere il tavolo di confronto a tutte le parti sociali. Al contempo - precisa - ci opponiamo fortemente ad un graduale ritorno della Legge Fornero e riteniamo che la soluzione migliore resti Quota 41, che prevede 41 anni di contributi a prescindere dall'età lavorativa. E' fondamentale, dunque, tutelare i diritti acquisiti dei lavoratori, garantendo, al contempo, il turnover generazionale e l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro". Di Quota 41 si parlerà sempre perché nonostante gli ostacoli, quello dei 41 anni di contributi è, comunque sia, un limite più che ragionevole e sostenibile secondo vari economisti.

In Italia si va in pensione troppo presto?

"Ad oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal dopoguerra al 1980, in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità, saranno in pensione". Così  parlava qualche mese fa il presidente del centro studi di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla. "Perché si mantenga la sostenibilità pensionistica - ha detto - sarà però indispensabile intervenire su quattro ambiti fondamentali: le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d'Europa (62 anni l'età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un'aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale; l'invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un'adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un'intensificazione della formazione professionale, anche on the job". Secondo Brambilla serve "un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi".

Pensioni: la situazione fino al 31 dicembre

Quota 102 - 64 anni e 38 di contributi - scade il prossimo 31 dicembre. Dal primo gennaio 2023 si applica in teoria, allo stato attuale delle cose, solo la legge Fornero con uscita a 67 anni. Il 31 dicembre 2021 è finita dopo tre anni di sperimentazione Quota 100 dopo tre anni, si passa a Quota 102 ma è roba per poche migliaia di lavoratori. Le prime uscite per Quota 102 saranno a maggio ed agosto, per via delle finestre di legge di tre e sei mesi previste per dipendenti privati e pubblici che raggiungono i requisiti. Opzione Donna è stata super confermata. Si tratta di una opzione che permette l'uscita anticipata alle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno compiuto 58 o 59 anni, rispettivamente, nel 2021 e possono contare su 35 anni di contributi. Le finestre sono molto lunghe, 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e ben 18 mesi per le autonome: le donne, nate entro il 1963 o 1962, lasceranno il lavoro tra la fine di quest’anno e il prossimo. La platea interessata è di 17 mila donne.

L'ormai famosa Ape sociale è stata confermata per il 2022 e allargata a più mansioni gravose: da 15 a 23 categorie. Poco pià di 20mila gli "apisti" quest'anno. Calano da 36 a 32 anni i contributi richiesti a edili e ceramisti per poter richiedere l’Ape e uscire così dal lavoro a 63 anni. Per chi invece accede al pensionamento con la legge Fornero nessun cambiamento è atteso per il 2022, né nelle modalità di accesso né nel sistema di calcolo applicato per l’assegno previdenziale. Quest'anno tra Quota 102, Opzione Donna e Ape sociale allargata, i lavoratori in potenziale uscita anticipata nel 2022 saranno 55mila circa. Per il 2023 serve un intervento più ampio. E tutto va nella direzione dei 64 anni "generalizzati" per uscire dal lavoro.

Come andare in pensione con i contributi volontari

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

In pensione a 64 anni o Quota 41 (ma con mini-taglio): il piano dal 1º gennaio 2023

Today è in caricamento