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Venerdì, 29 Marzo 2024
Ipotesi forte

Pensioni: tutti via dal lavoro a 64 anni con il mini-taglio

Si accelera e il punto di mediazione non sembra più così lontano. Il piano del governo prevede una piccola riduzione dell'assegno per ogni anno di anticipo, ma solo sulla parte retributiva. E' il primo vero passo in avanti verso la riforma: i sindacati aprono

Che la riforma delle pensioni permetterà di lasciare senza difficoltà il lavoro ben prima dei 67 anni è una certezza. Ma se il punto fermo dei sindacati è sempre lo stesso dal 1º gennaio 2023, ovvero pensioni già a partire dai 62 anni per tutti (impossibile) o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (i tecnici non la reputano sostenibile), il governo dal canto suo va in contropiede e sembra intenzionato a mettere sul tavolo una nuova proposta forte, che le parti sociali vaglieranno con molta attenzione. L'esecutivo in questi mesi di "riscaldamento" prima dell'inizio della partita-riforma non è mai apparso propenso a discostarsi troppo dalla soglia anagrafica minima dei 64 anni fissata dalla legge Fornero per i lavoratori totalmente contributivi. Il piano è accelerare nelle prossime settimane e trovare la quadra in tempo utile per il Def di aprile. Con i 64 anni al centro.

In pensione a 64 anni: cosa succederà dal 1º gennaio

Pensioni da 64 anni nel 2023

Eccoci dunque alla nuova proposta del governo: andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero, ma ricalcolando l’assegno col metodo contributivo perché la flessibilità in uscita sia sostenibile, in modo che non abbia cioè un impatto sui conti pubblici. Il governo ha già parlato di questa opzione ieri ai sindacati nell’ultimo dei confronti tecnici in vista del tavolo politico conclusivo con i ministri Franco e Orlando della prossima settimana. Ma Cgil, Cisl e Uil non potrebbero mai dire di sì se ciò comportasse un taglio del 30%, come accade esempio con Opzione Donna (che è confermatissima per il 2022. 

Il punto di mediazione che si intravede all'orizzonte, e che trova spazio oggi sui quotidiani, è il seguente: via dal lavoro da 64 anni con almeno 20 di contributi e una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo. A patto che la pensione spettante non sia troppo bassa, ma superiore all’assegno sociale di un certo numero di volte. La formula di quel tipo è già realtà per i contributivi puri, quelli che lavorano dal 1996, con un multiplo di 2,8 volte: si esce a 64 anni solo con pensioni di almeno 1.311 euro. Limite eccessivo, per i sindacati. Il governo potrebbe abbassarlo, rivela Repubblica, "se decidesse di estendere questa formula a chi è nel sistema misto (retributivo e contributivo). Si comincia a trattare". E per la prima volta da mesi c'è la sensazione che si sia imboccata una via percorribile. 

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L’Europa non si opporrebbe in alcun modo a scenari simili, perché in Italia così si estende il contributivo a tutti, di fatto. I numeri dicono inoltre che il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull’assegno. Un mini-taglio della parte retributiva non sarebbe traumatica. I sindacati tentennano, ma aprono. "Dipende come si fa il ricalcolo, noi siamo contrari in ogni caso, troppo penalizzante", avverte qualcuno.

Una strategia rielaborata dall’economista Michele Raitano sembra piacere a Palazzo Chigi, continua Repubblica. Nessun ricalcolo come in Opzione Donna, bensì un’attualizzazione del pezzetto retributivo. In pratica un adeguamento, a cui si arriva applicando la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati nel corso degli anni (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (ce n’è uno per ogni età di uscita). La parte retributiva sarebbe decurtata della differenza tra i coefficienti corrispondenti a 64 e 67 anni, l’età di anticipo e quella legale. Tecnicismi a parte, vuol dire che al massimo si arriverebbe al 3% all’anno di taglio, 9% in tre anni, e limitato alla parte retributiva, non a tutta la pensione.

I quattro ambiti su cui si interverrà

"Ad oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal dopoguerra al 1980, in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità, saranno in pensione". Così il presidente del centro studi di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, presentando il non rapporto.

"Perché si mantenga la sostenibilità pensionistica - ha detto - sarà però indispensabile intervenire su quattro ambiti fondamentali: le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d'Europa (62 anni l'età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un'aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale; l'invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un'adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un'intensificazione della formazione professionale, anche on the job".

Secondo Brambilla serve "un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che oggi vede la quasi totalità della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo, quando invece necessiterebbe di una seria revisione della propria organizzazione del lavoro e dei propri modelli produttivi".

Chi lascia il lavoro nel 2022

L’attuale uscita anticipata di Quota 102 - 64 anni e 38 di contributi - scade il 31 dicembre. Dal primo gennaio 2023 si applica in teoria, allo stato attuale delle cose, solo la legge Fornero con uscita a 67 anni. Il premier si è impegnato a rivedere quella legge e inserire il nuovo assetto nel prossimo Def di marzo, il Documento di economia e finanza. Un mese e mezzo fa è finita dopo tre anni di sperimentazione Quota 100 dopo tre anni, si passa a Quota 102 ma è roba per poche migliaia di lavoratori. Le prime uscite per Quota 102 saranno a maggio ed agosto, per via delle finestre di legge di tre e sei mesi previste per dipendenti privati e pubblici che raggiungono i requisiti. Opzione Donna è stata super confermata. Si tratta di una opzione che permette l'uscita anticipata alle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno compiuto 58 o 59 anni, rispettivamente, nel 2021 e possono contare su 35 anni di contributi. Le finestre sono molto lunghe, 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e ben 18 mesi per le autonome: le donne, nate entro il 1963 o 1962, lasceranno il lavoro tra la fine di quest’anno e il prossimo. La platea interessata è di 17 mila donne.

L'ormai famosa Ape sociale è stata confermata per il 2022 e allargata a più mansioni gravose: da 15 a 23 categorie. Poco pià di 20mila gli "apisti" quest'anno. Calano da 36 a 32 anni i contributi richiesti a edili e ceramisti per poter richiedere l’Ape e uscire così dal lavoro a 63 anni. Per chi invece accede al pensionamento con la legge Fornero nessun cambiamento è atteso per il 2022, né nelle modalità di accesso né nel sistema di calcolo applicato per l’assegno previdenziale. Quest'anno tra Quota 102, Opzione Donna e Ape sociale allargata, i lavoratori in potenziale uscita anticipata nel 2022 saranno 55mila circa. Per il 2023 serve un intervento più ampio.

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