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Martedì, 16 Aprile 2024
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Pensioni, cosa cambia: nuove date per i pagamenti e come si lascerà prima il lavoro

Da aprile cambia il calendario. Un nuovo report informa che quattro pensioni su dieci sono assistenziali. La riforma è in stallo: chi potrà lasciare il lavoro dal 31 dicembre 2022 in avanti? Facciamo il punto della situazione su un tema sempre molto seguito

Pensioni: da aprile cambiano le date dei pagamenti. Un nuovo report informa che quattro pensioni su dieci sono assistenziali. La riforma è in stallo: chi potrà lasciare il lavoro dal 31 dicembre 2022 in avanti? Facciamo il punto della situazione su un tema sempre caldo e molto cercato.

Le date di pagamento di aprile

Dal prossimo mese, da aprile, le pensioni torneranno ad essere pagate a partire dal 1° del mese anche negli uffici postali e non in anticipo come era ormai prassi dall'inizio della pandemia. A seguito della cessazione dal 31 marzo prossimo dello Stato di emergenza per il Covid-19, Poste Italiane comunica infatti che a partire dal mese di aprile sarà ripristinato il normale calendario di pagamento delle pensioni. 

Per i pensionati titolari di un Libretto di Risparmio, di un Conto BancoPosta o di una Postepay Evolution le pensioni torneranno ad essere accreditate regolarmente dal primo giorno del mese. La stessa azienda fa sapere che sempre da venerdì 1 aprile, inoltre, i titolari di carta Postamat, Carta Libretto o di Postepay Evolution potranno prelevare i contanti dagli 8.000 Atm Postamat in Italia, senza bisogno di recarsi allo sportello. Tutti i pensionati che invece intendono ritirare i contanti allo sportello potranno presentarsi in uno dei 12.800 Uffici Postali su tutto il territorio nazionale dall'1 al 6 aprile, secondo la turnazione alfabetica affissa all'esterno di ciascun Ufficio Postale. In pratica con la fine dello Stato di emergenza si torna alla normalità. Anche per il pagamento scaglionato delle pensioni. 

Quattro pensioni su dieci sono assistenziali

Nel 2021 più di quattro assegni pensionistici Inps su dieci aveva una fisionomia assistenziale. E' il dato che emerge dall'Osservatorio sulle pensioni dell’Inps: nel 2021 in pratica rientrava tra le prestazioni assistenziali il 44,2% degli 1.315.171 assegni liquidati. 

Inoltre su un totale di 17,7 milioni di pensioni erogate al 1° gennaio 2022, escluse quelle dei dipendenti pubblici, 4,95 milioni (oltre il 35%) sono attribuite sotto forma di assegni anticipati o di anzianità (circa 236mila nel 2021). In tre casi su quattro a beneficiare della pensione prima del raggiungimento della soglia anagrafica di anzianità sono gli uomini.

Per il 67,9% del complesso delle prestazioni, sempre al netto di quelle degli “statali”, l’importo è inferiore a mille euro mensili, con un punta dell’82% tra le donne. La spesa complessiva annua sostenuta dall’Inps per i trattamenti previdenziali erogati è di 218,6 miliardi: 195,4 miliardi assorbiti dalle gestioni previdenziali e 23,2 miliardi da quelle assistenziali. Il 48,4% di questi trattamenti grava sulle gestioni dei dipendenti privati, a partire dal Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti che gestisce il 45,8% del complesso delle pensioni erogate e il 58,7% degli importi in pagamento. Alle gestioni dei lavoratori autonomi è collegato il 28,2% degli assegni per un importo in pagamento pari al 24,3% del totale, mentre fa capo alle gestioni assistenziali il 22,4% delle prestazioni (con un importo in pagamento pari al 10,6%).

L’età media dei pensionati che viene riportata nel monitoraggio dell’Inps è di 74,1 anni. Con una differenza tra i due generi di 4,7 anni: 71,5 anni per gli uomini e 76,2 anni per le donne.

Chi lascerà il lavoro nel 2023

La riforma delle pensioni è in stand-by. Altre le urgenze per il governo in questa fase. Il superamento organico della legge Fornero è stato congelato. Il tavolo avviato nei mesi scorsi da governo e sindacati è ormai fermo da settimane, anche a causa della situazione geopolitica internazionale che ha cambiato le priorità.

Tuttavia qualcosa continua a muoversi e le ipotesi sulle pensioni che verranno possono essere avanzate. Probabili sono nuovi interventi in favore delle donne. Con l’ultima legge di Bilancio è stata prorogata Opzione Donna, ma si valutano nuovi percorsi agevolati per l’uscita anticipata delle lavoratrici madri. C'è una proposta di legge a firma M5s che prevede la riduzione dei requisiti di anzianità contributiva necessari a questa categoria per la maturazione del diritto alla pensione: un anno per ciascun figlio fino a un massimo di 36 mesi. Riduzione che si applicherebbe anche alle lavoratrici madri adottive. 

Dal 31 dicembre Quota 102 non sarà rinnovata. Ci sono pochi dubbi. La riforma delle pensioni darà il là a un nuovo "sistema" per lasciare il posto di lavoro superando definitivamente la legge Fornero in maniera sistemica, organica. Il governo potrebbe proporre secondo un'ipotesi molto credibile una piccola penale, un mini-taglio sull'assegno in cambio di uno sconto sull'età pensionabile. Resta però da capire come quantificare il "taglio" e fissare un'età limite uguale per la maggior parte dei lavoratori.

I sindacati da ormai un anno hanno avanzato le loro richieste: vorrebbero l'estensione della flessibilità a partire dai 62 anni o con 41 di contributi a prescindere dall'età, permettendo ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione senza penalizzazioni per chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tra le ipotesi anche la modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. Cgil, Cisl e Uil puntano su condizioni più favorevoli e strutturali per l'accesso alla pensione delle categorie più deboli, ad esempio gli usuranti che rientrano nell'Ape sociale, che potrebbe essere ampliata, diventando quasi strutturale. Le indiscrezioni portano dunque a una riforma con i "64 anni" anagrafici al centro. Ma procediamo con ordine.

Come lasciare il lavoro prima dei 67 anni (il limite anagrafico che tornerebbe in vigore con la Fornero "senza quote")? Se il punto fermo dei sindacati è sempre lo stesso dal 1º gennaio 2023, ovvero pensioni già a partire dai 62 anni per tutti (impossibile) o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica (i tecnici non la reputano sostenibile), il governo dal canto suo va in contropiede e sembra intenzionato a mettere sul tavolo una nuova proposta forte, che le parti sociali vaglieranno con molta attenzione. Il governo sembra intenzionato a non allontanarsi dalla soglia anagrafica minima dei 64 anni fissata dalla legge Fornero per i lavoratori totalmente contributivi. Il piano è accelerare nelle prossime settimane e trovare la quadra in tempo utile per il Def di aprile. 

In pensione prima

Una delle ipotesi più interessanti è quella che prevede di andare in pensione prima dei 67 anni ricalcolando l’assegno col metodo contributivo perché la flessibilità in uscita sia sostenibile, in modo che non abbia cioè un impatto sui conti pubblici. Cgil, Cisl e Uil non potrebbero mai dire di sì se ciò comportasse un taglio del 30%, come accade esempio con Opzione Donna.

Un punto di mediazione potrebbe essere questo: "tutti" in pensione al compimento dei 64 anni ma con almeno 20 di contributi e soprattutto con una penalizzazione del 3% al massimo per ogni anno di anticipo. A patto che la pensione spettante non sia troppo bassa, ma superiore all’assegno sociale di un certo numero di volte. Una formula simile, a ben vedere, è già realtà per i contributivi puri, quelli che lavorano dal 1996, con un multiplo di 2,8 volte: si esce a 64 anni solo con pensioni di almeno 1.311 euro. Limite eccessivo, per i sindacati. Il governo potrebbe abbassarlo se decidesse di estendere questa formula a chi è nel sistema misto (retributivo e contributivo). Una via percorribile. In salita, ma che non incontrerebbe ostacoli reali.

Ad esempio, l'Europa non si opporrebbe in alcun modo a scenari simili, perché in Italia così si estende il contributivo a tutti, di fatto. Dai dati in mano agli economisti emerge chiaramente come il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull’assegno. Un mini-taglio della parte retributiva non sarebbe così traumatico. Dipende tutto però da come si farebbe il ricalcolo. La strategia rielaborata dall’economista Michele Raitano, di cui si parla da tempo, potrebbe essere accettabile tanto per il governo quanto per i sindacati. Nessun ricalcolo come in Opzione Donna, bensì un’attualizzazione del pezzetto retributivo. In pratica un adeguamento, a cui si arriva applicando la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati nel corso degli anni (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (ce n’è uno per ogni età di uscita). La parte retributiva sarebbe decurtata della differenza tra i coefficienti corrispondenti a 64 e 67 anni, l’età di anticipo e quella legale. Tecnicismi a parte, vuol dire che al massimo si arriverebbe al 3% all’anno di taglio, 9% in tre anni, e solo per la parte retributiva, non a tutta la pensione. Staremo a vedere. La strada della riforma delle pensioni sembra di nuovo in salita.

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