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Mercoledì, 24 Aprile 2024
La nuova previdenza

Perché le pensioni aumentano (di poco) nei prossimi due anni e cosa c'entra il covid

I coefficienti di trasformazione del montante contributivo, utili per stabilire l'assegno mensile, sono stati modificati: vanno bilanciati con l'aspettativa di vita, diminuita a causa dell'aumento della mortalità portato dalla pandemia. Cosa significa in termini pratici

Le discussioni sulla manovra vanno avanti in questi giorni, anche sull'aspetto previdenziale. Forza Italia, per esempio, insiste sull'innalzamento delle pensioni minime a 600 euro. Una misura sulla quale, però, si registrano le resistenze della Lega per i costi che comporterebbe. La norma potrebbe comunque rientrare in un successivo e più ampio provvedimento di riforma delle pensioni, come abbiamo spiegato qui. Non si passerà subito da 574 a 600 euro, a quanto pare. Al netto delle modifiche al testo della legge di bilancio che il Parlamento può ancora apportare, una cosa è certa: i lavoratori che nel corso del prossimo biennio si ritireranno dal posto di lavoro con le attuali condizioni previdenziali avranno pensioni un po' più alte - a parità di contributi - rispetto a chi è andato in pensione nel biennio 2021-2022. Ciò avviene perché vengono modificati i cosiddetti coefficienti di trasformazione del montante contributivo, che risulteranno più favorevoli. Ma andiamo con ordine, cercando di fare chiarezza.

Perché le pensioni aumentano (di poco) nel biennio 2023-2024

I coefficienti in questione servono per stabilire la quota contributiva della pensione. Riguardano gli anni dal 2012 in poi per chi conta almeno 18 anni di contributi versati al 1995. La quota contributiva parte dal 1996 per chi invece ha iniziato a versare i contributi dal 1996, oppure nel 1995 aveva meno 18 anni di contribuzione. A partire dal 2019, questi valori sono aggiornati ogni due anni in base alla variazione della speranza di vita dei cittadini sessantacinquenni. L'aggiornamento viene compiuto bilanciando il montante contributivo accumulato e la vita residua stimata: dato che quest'ultima si è allungata, i coefficienti vengono di norma posti al ribasso. In parole povere, se si vive più a lungo, si avrà un assegno mensile più contenuto (perché dovrà coprire un periodo di vita più esteso). Tuttavia, i coefficienti del 2023-2024, ufficializzati dal decreto interministeriale lavoro-economia del 1° dicembre 2022, saranno più alti.

"L'aumento dei coefficienti è interamente da attribuire all'aumento della mortalità e dunque alla riduzione della speranza di vita - dati Istat - che si può sicuramente attribuire al covid", ha spiegato il ministero del lavoro al Sole24ore. Nel dettaglio, i coefficienti risultano favorevoli rispetto ai precedenti tra il 2,01 e il 2,92% nella fascia di età 57-71 anni rispetto alla quale sono calcolati. In termini pratici - prosegue Il Sole24ore - si considerino due cittadini di 67 anni con lo stesso montante contributivo di 150mila euro: se il primo andrà in pensione nel 2022 avrà una quota contributiva di circa 643,27 euro lordi per 13 mensilità, se il secondo ci andrà nel 2023 avrà invece un importo pari a 660,35.

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Come spiega l'Inps, il montante contributivo è il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni lavorativi. Per determinare il montante contributivo dei contributi bisogna:

  • individuare la base imponibile annua (retribuzione annua per gli iscritti alle gestioni pensionistiche dei lavoratori dipendenti oppure reddito annuo per gli iscritti alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi) corrispondente ai periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria, figurativa, da riscatto o da ricongiunzione fatti valere dall'assicurato in ciascun anno;
  • calcolare l'ammontare dei contributi di ciascun anno moltiplicando la base imponibile annua per l'aliquota di computo del 33% in caso di lavoratore dipendente oppure per l'aliquota di computo del 20% in caso di lavoratore autonomo. Per i parasubordinati l'aliquota varia dal 17% al 27%;
  • determinare il montante individuale dei contributi sommando l'ammontare dei contributi di ciascun anno, rivalutato annualmente sulla base del tasso annuo di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (Pil), calcolata dall'Istat con riferimento al quinquennio precedente.

L'importo così ottenuto costituisce quindi il montante contributivo per i periodi maturati dopo il 31 dicembre 1995. La rivalutazione del montante contributivo su base composta deve essere effettuata al 31 dicembre di ciascun anno, escludendo i contributi dell'ultimo anno lavorato, e ha effetto per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio dell'anno immediatamente successivo.

Pensioni, gli aumenti dal 2023 non sono uguali per tutti

Le pensioni aumenteranno di poco l'anno prossimo anche per effetto dell'adeguamento dei trattamenti pensionistici all'inflazione. In questo caso, gli aumenti dal 2023 non saranno uguali per tutti. La legge di bilancio varata dal governo di Giorgia Meloni, infatti, prevede un nuovo sistema basato su sei fasce di reddito per l'indicizzazione delle pensioni all'inflazione. In sintesi, questo meccanismo fornirà un aumento "maggiorato" per le pensioni minime e una rivalutazione piena per i trattamenti pensionistici fino a 2.100 euro lordi. Per chi riceve un assegno più sostanzioso è in arrivo invece una "stretta".

Lo scorso 9 novembre, il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti ha firmato il decreto che dispone, a partire dal 1° gennaio del 2023, l'adeguamento del 7,3% dei trattamenti pensionistici. L'importo della misura è stato quantificato sulla base dell'inflazione calcolata dall'Istat. Poi il governo con la manovra ha deciso di archiviare il sistema attualmente in vigore basato su tre fasce di reddito: rivalutazione del 100% per i trattamenti fino a 4 volte il minimo Inps (circa 538 euro), 90% per gli assegni compresi tra 4 e 5 volte il minimo e 75% per tutte le pensioni superiori a 5 volte il minimo. Il nuovo sistema è invece composto da sei fasce di reddito che ricevono una diversa indicizzazione: a beneficiare maggiormente della novità sono le pensioni minime, che nel 2023 riceveranno una rivalutazione maggiorata all'8,8%, che salirà poi al 10% l'anno successivo.

I nuovi importi delle pensioni dal 1° gennaio 2023

Il sistema di calcolo non è progressivo, non è per scaglioni come con l'Irpef, ma a fascia: dunque un'aliquota unica applicata a tutto l'importo. La rivalutazione maggiorata porterà così le pensioni minime ad avere un bonus più alto rispetto agli altri trattamenti, in percentuale: nel 2023 saliranno di 46 euro netti, andando a superare i 570 euro. Nel 2024 poi la cifra dovrebbe superare i 580 euro. Per quanto riguarda invece le altre fasce di reddito, i trattamenti pensionistici fino a 4 volte il minimo dell'Inps (circa 2.100 euro lordi) avranno una rivalutazione al 100%, cioè il 7,3% della cifra totale stabilito dal decreto del ministero dell'economia. Significa che gli assegni da mille euro lordi cresceranno così di 73 euro lordi, per una cifra totale di quasi 950 euro l'anno: al netto la rivalutazione è intorno ai 52 euro. Le pensioni da 1.500 euro avranno invece un aumento di 75 euro netti, e le pensioni da 2mila euro di 100 euro netti.

Per le pensioni che superano la soglia di 4 volte il minimo Inps, arriva invece una stretta nella rivalutazione: l'adeguamento al costo della vita scende infatti all'80% per chi è titolare di un trattamento compreso tra 4 e 5 volte il minimo, e al 55% per chi ha una pensione tra 5 e 6 volte il minimo. La "stretta" è ancora più forte per chi ha una pensione alta: la rivalutazione sulla base dell'inflazione sarà infatti del 50% per chi è titolare di un trattamento pensionistico tra 6 e 8 volte il minimo, del 40% tra 8 e 10 volte il minimo e del 35% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo. I trattamenti da 2.500 euro lordi al mese saranno ad esempio rivalutati del 5,8%, con un amento lordo di 140 euro (90 netti) e una perdita di circa 40 euro al mese rispetto allo schema in vigore nel 2022.

La stretta diventa ancora più evidente guardando alle pensioni più alte: un trattamento lordo da 3.500 euro al mese salirà di 128 euro lordi, rinunciando a 108 euro lordi. Per una pensione da 4mila euro lordi il taglio sarà di 118 euro mensili, che diventano circa 206 lordi per gli assegni da 5.500 euro. A seimila euro la rivalutazione sarà soltanto del 2,6%, per un incremento nel cedolino di 87 euro al mese.
 

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