Pensioni: perché ci sarà un aumento degli importi
Grazie alla perequazione automatica nel 2023 i pensionati riceveranno aumenti piuttosto cospicui sul loro trattamento. Secondo una stima dell'Inps l'impatto dell'inflazione sulle casse dell'ente sarà di 24 miliardi di euro (solo nel 2023). Il dopo Quota 102? L'ipotesi Tridico è la meno onerosa
"Il tasso di inflazione su base annua del 2022 è stimato a oltre l'8%, un dato che non si registrava dalla metà degli anni '80 e che potrà avere un impatto importante sulla spesa pensionistica a partire dal 2023". Lo ha detto il presidente dell'Inps Pasquale Tridico che ha presentato oggi, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il XXI Rapporto dell'Istituto previdenziale. Secondo i tecnici dell'Inps l'impatto dell'inflazione potrebbe costare all'Inps un aggravio di spesa pensionistica per il 2023 di 24 miliardi di euro. Una tendenza che potrebbe far segnare, sulla base dei dati al primo gennaio 2020 al netto della crisi da pandemia e della guerra, un disavanzo patrimoniale dell'Istituto di 92 miliardi. "Non esiste un problema di sostenibilità quanto piuttosto un alert che segnala come serva crescita economica e produttività per un sistema in equilibrio", spiegano gli economisti Inps.
Ma in che modo la crescita dell'inflazione influirà sui bilanci dell'ente previdenziale? Come avevamo già fatto presente in un altro articolo, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni attualmente in vigore (ossia l'adeguamento delle pensioni all'inflazione) farà sì che il prossimo anno i pensionati riceveranno aumenti piuttosto cospicui sul loro trattamento. "La crescita della spesa pensionistica sconta una perequazione automatica", si legge ad esempio nell'ultimo rapporto dell'Ufficio parlamentare di bilancio, "cioè una rivalutazione dei trattamenti all'inflazione, influenzata sia dalla maggiore crescita dei prezzi prevista rispetto agli anni passati sia dalla modifica del meccanismo di indicizzazione che diviene dal 1° gennaio 2022 più favorevole, con conseguenti aumenti degli assegni".
Gli aumenti previsti nel 2023
In effetti, senza addentrarci troppo in tecnicismi, dal 2022 le regole sono molto più generose per i pensionati rispetto a quelle in vigore anni addietro. Con il ritorno ai così detti tre "scaglioni Prodi" si attua oggi una rivalutazione piena al 100% per le persone fino a 4 volte il minimo, al 90% sulla quota di pensione tra quattro e cinque volte il minimo e del 75% sulle pensioni oltre cinque volte la quota minima. In buona sostanza ciò vuol dire che chi percepisce una pensione fino a 4 volte il minimo recupererà nel 2023 tutto il potere d'acquisto che ha perso a causa dell'aumento dei prezzi. Ma anche per chi ha una pensione di importo superiore gli aumenti saranno significativi.
Di quali cifre parliamo? Ipotizzando un tasso di inflazione al 6,8% chi ha ha una pensione di 1.000 euro godrebbe di un aumento di 68 euro lordi al mese, che diventerebbe di 102 euro per una pensione di 1.500 euro e 136 (sempre lordi) per un assegno di duemila euro. Parliamo ovviamente di stime. Certo è che l'aumento dell'inflazione avrà un impatto non proprio marginale sulle casse dell'Inps come viene sottolineato nel report presentato oggi. Oltre al bonus di 200 euro (che spetta a chi ha un reddito inferiore ai 35mila euro annui) i pensionati avranno anche il "vantaggio" di vedersi ritoccare verso l'alto il proprio assegno.
Pensioni, quale riforma dopo Quota 102? L'ipotesi Tridico è la meno costosa
Nel suo discorso il presidente dell'Inps Tridico ha parlato anche delle possibili ipotesi di riforma per archiviare la legge Fornero e sostituire Quota 102. La proposta più economica in tema di flessibilità in uscita, viene sottolineato nel rapporto, è proprio quella avanzata da Tridico che prevede di erogare la pensione in "due tempi": a 63 anni la quota accumulata con il sistema contributivo e a 67 anni l'intero ammontare maturato a condizione che si sia raggiunta una pensione pari a 1,2 volte l'assegno sociale.
La "pensione in due tempi" peserebbe infatti per 2.497 milioni di euro al 2030, poco meno della metà di quanto costerebbe l'uscita dal lavoro con 64 anni di età e 35 di contribuzione ma con penalizzazione per ogni anno di distanza dalla 'meta' e a condizione di aver maturato una pensione di almeno 2,2 volte l'assegno sociale. Quest'ultima riforma avrebbe un costo di 4.893 milioni di euro. Infine l'opzione che prevede l'uscita dal lavoro a 64anni e 35 di contributi ma con ricalcolo contributivo e con almeno 2,2 volte l'assegno sociale costerebbe 3.365 milioni di euro.
Pensioni: il 40% degli assegni è sotto i mille euro
Nella XXI Relazione dell'Inps presentata oggi in Parlamento viene evidenziato che nel 2021, se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell'imposta personale sul reddito, il 40% dei pensionati ha percepito un assegno pensionistico lordo inferiore ai 12.000 euro annui, meno di 1.000 euro al mese. Una platea che però scende al 32% se si considerano gli importi maggiorati dalle integrazioni al minimo associate alle prestazioni, compresa l'indennità di accompagnamento e la quattordicesima mensilità. Complessivamente Al 31 dicembre 2021 i pensionati ammontano a circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni maschi e 8,3 milioni femmine. Anche in questo caso si fa sentire il gender gap: nonostante le femmine rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), le donne percepiscono il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 137 miliardi di euro contro i 175 miliardi dei maschi. L'importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è superiore a quello delle donne del 37%.
Nel 2021, si legge ancora nel rapporto, le prestazioni liquidate dall'Inps, e cioè il flusso dei nuovi beneficiari di trattamento pensionistico, sono circa 1,5 milioni, con una crescita del 9% rispetto al 2020 riconducibile in gran parte alle prestazioni assistenziali. Nel 2021 sono infatti aumentati del 15% gli assegni sociali. In crescita significativamente anche le prestazioni agli invalidi civili del 21%. Le prestazioni agli invalidi civili continuano ad essere la categoria numericamente prevalente, al 36% del totale delle nuove prestazioni, seguite dalle anticipate, il 22%, e dalle pensioni ai superstiti con quasi il 19%.