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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Pensioni in due tranche dal 2022 dopo Quota 100: cosa significa e perché il tempo stringe

Cosa accadrà dopo il 31 dicembre è ancora un rebus. Cgil, Cisl e Uil dicono un secco no alla proposta del presidente dell'Inps, che aveva ipotizzato una pensione in due "quote" per chi è in possesso di almeno 20 anni di versamenti. Convergenze sul canale di uscita a 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica a partire dal 2022

E' una stroncatura netta, che fa capire quanto sia in salita il confronto sulle pensioni. Cgil, Cisl e Uil dicono un secco no alla proposta del presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, che aveva ipotizzato, all'interno di un percorso molto flessibile, una pensione in due tranche per chi è in possesso di almeno 20 anni di versamenti: la prima puramente “contributiva” al compimento dei 62 o 63 anni, poi la parte retributiva (per chi l'avesse maturata) al raggiungimento della soglia dei 67 anni d'età. Secondo i sindacati si tratterebbe di una soluzione troppo penalizzante per i lavoratori, di qualsiasi categoria, perché rimane basata sul calcolo con il metodo contributivo dell'assegno. Il fatto che una uscita dal mondo del lavoro, in maniera anticipata, sia penalizzante come assegno previdenziale, è "normale": dipende dal fatto che si smettono di pagare contributi e dal fatto che il sistema italiano è basato sui coefficienti con cui il montante dei contributi è trasformato in pensione.

Pensioni, cosa succede dopo Quota 100

I sindacati continuano - in sintesi - a chiedere flessibilità a partire dai 62 anni. A questa età una persona dovrebbe poter decidere di andare in pensione a prescindere dai contributi. Ma lo stesso quando un lavoratore arriva a 41 anni di contributi, a prescindere dall'età anagrafica, secondo le principali sigle. Il confronto tra governo, parti sociali e Inps e solo all'inizio, ma la riforma delle pensioni è un vero rebus al momento. Secondo i sindacati la pensione a 62 anni andrebbe accompagnata da un rafforzamento degli strumenti esistenti per agevolare alcune categorie di lavoratori, in primis Ape sociale e Opzione donna, magari introducendone ad hoc per determinate mansioni.

La quadra appare difficile da trovare oggi come oggi. Il piano di Tridico prevedeva di fatto un "anticipo pensionistico solo per la parte contributiva: 62/63 anni e 20 anni di contributi. Il resto (la quota retributiva) lo si ottiene a 67 anni". In pratica si potrebbe prevedere "1 anno in meno per ogni figlio per madri lavoratrici, oppure aumento del coefficiente di trasformazione corrispondentemente e 1 anno in meno per ogni 10 anni di lavori usuranti/gravosi, oppure aumento del coefficiente di trasformazione corrispondentemente (semplificando la certificazione)". Inoltre il "blocco delle aspettative di vita per coorti". L'anticipo pensionistico per la parte contributiva si potrebbe quindi dare a 62-63 anni mentre il resto (la quota retributiva) la si otterrebbe solo anni dopo, a 67 anni. Tridico quindi punterebbe su finestre di uscita per i lavoratori fragili, facilitazioni per i disoccupati anziani, in situazione di particolare vulnerabilità; e lavori gravosi, ad esempio edili addetti a lavorazioni acrobatiche e ponteggi (dove alta è l'incidenza degli infortuni). Lo stop dei sindacati taglia le gambe a questa proposta.

Da settimane il Ministero del Lavoro ha dato la sua disponibilità ad aprire un tavolo sulla previdenza, e per luglio potrebbe essere pronto un testo base per la riforma degli ammortizzatori sociali, tassello fondamentale nel multiforme mosaico del sistema del lavoro italiano. 

Le ipotesi Quota 102, Quota 41 e Quota 92 per andare in pensione

Quota 102, un sorta di Quota 100 rivisitata. Dal 2022 in tal caso sarebbe possibile accedere al pensionamento con 64 anni di età e con almeno 38 anni di contributi (che sommati danno, appunto, come totale 102). 

Se saranno mantenuti identici i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione, l'ipotesi di Quota 102 per andare in pensione prima sarebbe fattibile con:

  • 64 anni di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita);
  • 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (cioè quelli accreditati dall’Inps per i periodi non lavorati, ma comunque coperti da contribuzione. Esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).

Altri scenari per andare definitivamente oltre Quota 100 sono Quota 41 (41 anni di contributi, a qualsiasi età anagrafica) passando per la Quota 92 di cui si era fatto promotore Graziano Delrio (Pd): prevederebbe 30 anni di contributi e 62 d'età, ma in tal caso ci sarebbe un taglio sull'assegno forse troppo pesante.

Sul fronte politico, si potrebbero creare convergenza inedite in quello che si prospetta come il lungo autunno delle pensioni. Un esempio: I piani di Cgil, Cisl e Uil e della Lega convergono in maniera netta sul secondo canale di uscita: quello che garantirebbe la pensione al raggiungimento dei 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica a partire dal 2022, con una riduzione di un anno e 10 mesi rispetto al limite attualmente fissato fino al 2026 (che scende a 41 anni e 10 mesi per le lavoratrici).

Quota 100 terminerà a fine anno

Qualcosa bisognerà fare, perché altrimenti si andrebbe incontro a scenari molto complessi e poco comprensibili alla scadenza di Quota 100, ormai certa. Un classico esempio: dal 31 dicembre 2021, senza un'eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento. Ecco un caso limite: Mario e Giovanni hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Mario andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giovanni dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029.

Lo scalone del 2022 andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. All'epoca per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica "monstre", di 65 miliardi.

Le cose stanno così: serve a breve l'inizio di un confronto serrato sindacati- ministro del Lavoro per dare al sistema pensionistico regole di sostenibilità e stabilità, uscire in modo flessibile dal mercato dal lavoro già a 62-63 anni, centrare l'obiettivo dei 41 anni di contributi, assicurare una pensione di garanzia ai giovani e incentivare l'adesione alla previdenza integrativa. Non semplice né scontato che si arrivi a una sintesi in tempi rapidi e tutto potrebbe essere rimandato all'autunno, che si preannuncia caldo.

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