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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia Italia

Pensioni e migranti, così la Lega vuole rivoluzionare l'Inps

La Lega punta a sostituire il presidente dell'Inps Tito Boeri con il "consigliere" di Matteo Salvini, Alberto Brambilla, direttore del centro studi Itinerari Previdenziali che sostiene una nuova politica di chiusura sui migranti

Sostituire il presidente dell'Inps Tito Boeri - in scadenza a febbraio - con un professore dal curriculum integerrimo, ma di posizioni più affini a quelle del Carroccio: il progetto di Matteo Salvini come riferisce l'Adnkronos prende il nome di Alberto Brambilla e il casus belli lo fornisce ancora una volta la polemica sulla riforma delle pensioni con l'ennesima lite scoppiata tra il leader della Lega e il presidente dell'inps complice le differenti vedute su Quota 100. Ma per arrivare all'ultima cannonata arrivata come sempre via Facebook da parte di Salvini, dobbiamo fare un po di passi indietro.

Pensioni e migranti sono - negli ultimi mesi - i principali temi catalizzatori dell'attenzione politico/economica e legislativa: si pensi alle nuove regole per le Ong dettatate nella precedente legislatura, così come la nuova dottrina dei porti chiusi solo prendendo in considerazione il tema degli sbarchi. Ma è il tema della pensioni ad aver dettato forse più di ogni altro tema la campagna elettorale così come i primi 5 mesi dell'alleanza di governo tra 5 stelle e Lega. Due temi così esplosivi che trovano un terreno di confronto comune nel campo della riforma del welfare pubblico, ovvero la sostenibilità del sistema di protezione sociale. 

Alcune proiezioni statistiche elaborate dall'INPS hanno creato un vero e proprio dibattito sulla tesi per cui "senza una quota crescente di migranti, il sistema di protezione sociale italiano diverrebbe insostenibile". Poche settimane fa abbiamo preso in considerazione il rapporto annuale della Fondazione Moressa sull'economia dell'immigrazione che sottolineava che per far fronte ad una popolazione che nel 2050 sarà costitutuita per oltre un terzo da anziani, l'immigrazione fosse necessaria, ma non sufficiente per pagare le pensioni riprendendo il tanto citato mantra del presidente dell'Inps Tito Boeri

Ora l’ultimo approfondimento a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali smonta in parte questo assioma partendo da una domanda: è stato giusto bloccare dal 2011 le nuove quote d’ingresso per motivi di lavoro?

Secondo dati Istat sull'immigrazione elaborati da Itinerari Previdenziali con l’ausilio delle rilevazioni del Ministero dell’Interno sull’andamento dei permessi di soggiorno regolari, la popolazione di origine straniera residente in Italia nel periodo corrispondente al blocco delle quote per motivi di lavoro (2011-2016) è aumentata di circa 1,4 milioni di unità, di fatto 2,2 milioni di persone se si tiene conto del fatto che, nel frattempo, circa 800mila stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana.

Un aumento imputabile, per i cittadini extracomunitari soprattutto a nuove nascite e ricongiunzioni familiari e, viceversa, soprattutto agli effetti della libera circolazione per i neocomunitari che, nel periodo considerato, hanno assorbito il 40% delle attivazioni di nuovi rapporti di lavoro riguardanti cittadini stranieri.

Sempre tra il 2010 e il 2016, a fronte di un crollo del tasso di occupazione degli immigrati dal 67% al 58% (56% per i soli extracomunitari), in relazione a una crescita della popolazione in età di lavoro superiore a quella dell’occupazione, il tasso di disoccupazione specifico è salito fino al 17,9% nel 2013, per attestarsi oggi intorno al 15%, pari a circa 420mila persone in cerca di lavoro (solo nel Centro-Nord rappresentano il 25% del totale delle persone in cerca di impiego). Se è vero che gli immigrati che vengono in Italia sono in gran parte di bassa istruzione e bassa qualificazione professionale, lo è altrettanto che sono comunque spesso occupati come manovalanza a basso prezzo.

Come ben sottolinea Itinerari Previdenziali gli immigrati hanno mostrato maggiore reattività agli effetti della crisi a scapito di una penalizzazione dei salari lordi che risultano più bassi anche del 40% rispetto a quelli percepiti dagli italiani col risultato che gli immigrati poveri sono 8 volte superiori rispetto alle famiglie italiane della stessa zona.

Cosa è cambiato dopo la crisi economica

Il mercato del lavoro ha sicuramente cambiato volto negli ultimi anni e come sottolinea Itinerari Previdenziali riaprire le quote di ingresso per motivi di lavoro produrrebbe effetti drammatici sia per i lavoratori immigrati già presenti sul territorio sia, in generale, per i lavoratori scarsamente qualificati.

Ora torniamo al contributo al sistema previdenziale che arriva da chi oggi - italiani e migranti - costituisce la forza lavoro del Paese.

Come ha più volte spiegato l'Inps i contributi previdenziali versati dagli immigrati sovrastano di 36,5 miliardi le prestazioni pensionistiche potenzialmente maturate. Se questo dato fa dire a Tito Boeri che "i migranti stiano pagando le pensioni agli italiani", Itinerari Previdenziali obietta come vadano calcolate le future prestazioni.

I contributi previdenziali che, esattamente come nel caso dei lavoratori italiani, andrebbero considerati un debito pensionistico dello Stato nei confronti di chi ha versato, e quindi non ascrivibili a entrate, rendendo quindi di fatto negativo il bilancio tra benefici e costi prodotti dai flussi migratori.

I costi dei migranti: "23 miliardi di euro"

Secondo l'approfondimento di Itinerari Previdenziali la sola spesa sanitaria (1.870 euro pro capite nel 2016) per i circa 6 milioni di immigrati presenti in Italia sarebbe pari a 11 miliardi, quella scolastica – riferita a oltre 1,1 milioni di stranieri (circa 7.400 euro l’anno pro capite) – aggiungerebbe al totale altri 8 miliardi. Tenendo conto anche dei costi dell’accoglienza, si arriverebbe ad almeno 23 miliardi, cifre importanti anche ipotizzando, da un lato, una sovrastima dei costi della spesa sanitaria per gli immigrati, i quali per vari ordini di ragioni (anche anagrafiche) tendono a rivolgersi al sistema sanitario meno di quanto non facciano gli italiani, e trascurando, dall’altro, ulteriori possibili oneri a carico dello Stato (assistenza sociale, trasporti, etc.).

Secondo la pubblicazione del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali l’immigrazione è un investimento che - per sua stessa natura - innanzitutto comporta dei costi che, soprattutto inizialmente (nei primi 10-15 anni), possono superare le entrate.

Cosa ne consegue? secondo l'approfondimento di itinerari Previdenziali l'immigrazione andrebbe calibrata (con l'importante eccezione degli ingressi per motivi umanitari) tenendo conto delle reali esigenze del Paese.

"In Italia si sta al momento manifestando un problema serio di sostenibilità e il rischio concreto è quello di doverlo fronteggiare con un supplemento di interventi assistenziali"

Ma da dove viene questo studio e perché diventa importante? Il presidente del centro studi Itinerari Previdenziali è Alberto Brambilla, già sottosegretario al Lavoro, e secondo l'agenzia di stampa Adnkronos papabile erede di Tito Boeri che a febbraio 2019 dovrà lasciare la presidenza dell'Inps.

Da molti ritenuto molto vicino a Salvini, Brambilla non ha mai negato di conoscere e sentire spesso il segretario della Lega: è infatti il maggior consigliere di Matteo Salvini sui dossier previdenziali anche se spesso i suoi suggerimenti non sono stati accolti dal leader: per esempio, nelle ultime settimane, ha messo in allarme il ministro degli Interni circa le coperture di Quota 100, oltre 6 miliardi di euro a suo dire insufficienti, e sulla necessità di inserire delle penali non per far saltare i conti dell'istituto.

Nel frattempo l'ultimo attacco a Boeri va in scena proprio oggi con il duro attacco di Salvini che ne chiede le dimissioni, sempre via Facebook ovviamente.

Il presidente dell’Inps Boeri mette in discussione la quota 100. È in perenne campagna elettorale: ha stufato.
Si dimetta, si candidi col Pd alle Europee e la smetta di diffondere ignoranza e pregiudizio

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