Pensioni: Quota 100 anche nel 2022? Stallo totale, tutte le ipotesi dal 1º gennaio 2022
Il leader della Lega Matteo Salvini rilancia: "Quota 100 è viva, costa 400 milioni e io lavoro perché resti anche nel 2022". Fino a oggi nessuno aveva ipotizzato il rinnovo. Economia e sindacati puntano a flessibilità in uscita dai 62-63 anni. Ma lo stallo nel confronto parti sociali-governo è totale e si profila l'ipotesi sciopero all'orizzonte
"Quota 100 è viva, costa 400 milioni e io lavoro perché resti anche nel 2022". Spariglia le carte in tavola Matteo Salvini, leader della Lega, che da oggi non nasconde più di sperare di avere Draghi alleato anche per "la riforma del reddito di cittadinanza, che costa 8 miliardi e non funziona". Ma restiamo sul tema caldo delle pensioni.
Salvini: "Quota 100 anche nel 2022"
Il problema delle pensioni "non è solo il superamento di quota 100, che di per sè è un problema. Ma il tema è se si introduce un sistema flessibile con cui si può uscire a partire dai 62 anni, se si riconosce la diversità dei lavori" spiegava pochi giorni fa il leader della Cgil, Maurizio Landini, sottolineando che per i giovani "bisogna introdurre una pensione di garanzia". I sindacati sonon estremamente preoccupati e chiedono di "avviare una discussione sulle riforme del fisco e delle pensioni oppure "penso che il ruolo del sindacato sia quello di chiamare alla mobilitazione democratica", aggiunge il segretario generale della Cgil. I primi provvedimenti del governo nelle prossime settimane saranno "le leggi delega su concorrenza e fisco, poi vedremo la parte delle politiche attive del lavoro, la riforma degli ammortizzatori e poi la questione delle pensioni e quota cento" ha assicurato il presidente del Consiglio Mario Draghi.
Fino a oggi nessuno aveva mai nemmeno lontanamente ipotizzato la permanenza di Quota 100 con una sorta di "rinnovo". Resta da capire se quella espressa oggi da Salvini sia una boutade da campagna elettorale o se la Lega, che con la regia di Durigon è stata la più convinta sostenitrice della misura, intenda davvero insistere su questa strada e porre il tema anche in sede di consiglio dei ministri. Mancano solo tre mesi e mezzo alla scadenza di Quota 100, e non è chiaro cosa succederà quando non saranno più ammessi i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi.
Diciamolo subito: è complesso pensare che Quota 100 resterà. Secondo l’Ocse, l'Italia dovrebbe "contenere la spesa pensionistica lasciando scadere il regime di pensionamento anticipato (Quota 100) e la cosiddetta Opzione Donna nel dicembre 2021, e ristabilire immediatamente la correlazione tra età pensionabile e speranza di vita". Se Quota 100 fosse adottata in modo permanente, la spesa per le pensioni porterebbe a bruciare 11 punti di pil tra il 2020 e il 2045 secondo i calcoli del ministro dell'Economia Daniele Franco. Un'enormità.
Il rischio scalone per le pensioni
Il rischio scalone c'è ed è concreto. Lo scalone comporterebbe un aumento dei requisiti per il pensionamento di ben sei anni nella notte fra il 31 dicembre 2021 e il 1 gennaio 2022, come quello introdotto nel 2011 dal governo Monti. Ma al momento non vi è una emergenza economica paragonabile a quella del 2011 per giustificare in qualche modo una disparità di trattamento immediata e pesante.
Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Si andrebbe verso scenari molto complessi. Dal 31 dicembre 2021, senza un’eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque o sei anni dei requisiti di pensionamento. Ecco un caso limite: Mario e Giovanni hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Mario andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giovanni dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Tale scalone andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008.
In pensione a 63 anni con meno soldi
L'ultimo spunto concreto è quello che arriva dagli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, in vista del superamento di Quota 100. Esiste "un modo per riconciliare una maggiore flessibilità nell'età di pensionamento con la sostenibilità del sistema: si può andare in pensione quando si vuole, a partire da 63 anni, ma accettando una riduzione attuariale, che oggi si applica alla sola quota contributiva, sull'intero importo della pensione, cosi come proposto dall'Inps 6 anni fa", ragionano i due esperti. Oggi questo "significherebbe - spiegano gli economisti - una riduzione media di un punto e mezzo per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione offerta da quota 100; in futuro ancora meno dato che le generazioni che andranno in pensione nei prossimi anni avranno una quota contributiva più alta su cui la riduzione è già comunque applicata in caso di pensione anticipata".
"Non è mai una buona idea - è la premessa di Boeri e Perotti - cambiare radicalmente le regole del sistema pensionistico all'ultimo momento, perché chi è vicino alla pensione si vede stravolgere i programmi di una vita e non ha tempo per porvi rimedio. Eppure anche questa volta si arriva all'ultimo minuto a decidere che fare di 'Quota 100', cioè i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d'età e 38 di contributi".
L'idea lanciata da Boeri e Perotti punterebbe a "ridurre le disparità di trattamento fra le pensioni contributive e le pensioni 'miste0, perché permetterebbe anche ai titolari di quest'ultime di andare in pensione prima, purché abbiano almeno 20 anni di contributi e una pensione superiore ad una soglia minima (attualmente circa 1.450 euro al mese) per non rischiare di finire in condizioni di indigenza, soprattutto quando incoraggiati fortemente dall'impresa a lasciare". La soglia a 1.450 euro "è nettamente al di sopra della soglia di povertà Istat. Si potrebbe abbassarla a mille euro, circa 2 volte la pensione minima, rendendo più ampia la platea potenzialmente interessata alla pensione anticipata". Il piano Boeri-Perotti è sensato perché non aumenterebbe il cammino del debito pubblico e i costi aggiuntivi dal 2022 in poi sarebbero pressoché interamente compensati da importi pensionistici leggermente più bassi. In sintesi: non ci sarebbero esodati dato che la possibilità di andare in pensione anticipatamente rimane, bensì con una leggera riduzione degli importi. A Draghi il compito di tirare le fila.
Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, in un'intervista a "Libero", assicura che su quota 100 e reddito di cittadinanza "troveremo le necessarie mediazioni. A dicembre scade l'Ape sociale e quota 100, mentre "opzione donna" si è già esaurita: per quanto io faccia parte di un movimento che non ha sposato quota 100, mi parrebbe singolare adesso cancellare tutte le modalità di accesso anticipato alla pensione".
La flessibilità in uscita chiesta dai sindacati
Sulle pensioni si rischia lo scontro sociale. Con il superamento di quota 100, che scadrà a fine anno, si tornerà alla legge Fornero, che prevede l'uscita dal lavoro a 67 anni. Circostanza che i sindacati vogliono scongiurare a tutti i costi. Per questa ragione stanno sollecitando da settimane un tavolo di confronto con il Governo con l'obiettivo di arrivare a un intervento complessivo di riforma della previdenza. Ad oggi non ci sono però appuntamenti in agenda. La mobilitazione diventa un'opzione concreta. Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil con delega alle politiche previdenziali, ad Askanews mette i puntini sulle i: "Per la verità quota 100 non ha modificato la legge Fornero. Non è stata toccata e, quindi, finita quota 100 si ritornerà per intero a quelle previsioni: 67 anni o 43 anni di contributi per la pensione anticipata. Vogliamo un intervento non solo per evitare lo scalone, ma anche per riformare e trasformare la previdenza".
"La più importante è la flessibilità in uscita, la possibilità che si dà alle persone, a certe condizioni, di poter scegliere quando andare in pensione - dice Ghiselli -Noi pensiamo che dopo 62 anni di età o dopo aver lavorato 41 anni ci siano le condizioni per poter andare in pensione. Il contributivo, in cui ormai siamo nella maggior parte dei casi, rende anche sostenibile economicamente un sistema di questo tipo. Poi proponiamo interventi che riconoscano la diversità dei lavori, chi fa lavori più pesanti e gravosi deve avere trattamenti migliori; il riconoscimento del lavoro di cura e delle donne; un discorso che riguarda la previdenza dei più giovani, soprattutto di coloro che hanno lavori discontinui, precari, che rischiano di non avere una prospettiva previdenziale, pensiamo a una pensione contributiva di garanzia; infine il rafforzamento delle pensioni in essere, quindi ampliamento e consolidamento della quattordicesima e meno tasse sulle pensioni".
Il silenzio del governo preoccupa le parti sociali: "C'è stato un incontro il 27 luglio che definirei una falsa partenza - dice Ghiselli - Il Governo non solo non ci ha dato risposte, ma non ha neanche esplicitato la volontà di aprire un confronto. Si è riservato di fare una verifica di maggioranza. L'impegno era di riconvocarci ai primi di settembre. Ancora non è arrivata e questo è un problema". Risposte concrete a breve, altrimenti "intensificheremo le iniziative, faremo mobilitazione utilizzando tutti gli strumenti che conosciamo, compreso lo sciopero", assicura la Cgil, che ritiene urgente anche rilanciare la previdenza complementare?
"Si deve rilanciare intanto consentendo a chi oggi non accede la libertà di poterlo fare - dice Ghiselli - Penso ai dipendenti delle piccole imprese, nei settori più deboli del Mezzogiorno, che molto spesso non aderiscono perché non sono nella condizioni di poterlo fare. Quindi, una grande campagna di adesione basata sulla riapertura di un semestre di silenzio-assenso. E poi una grande campagna comunicativa e di informazione verso le persone".
Ora è tempo di passare dalle parole ai fatti, o quantomeno di intavolare una discussione finalmente centrata, dopo mesi di tante ipotesi poco praticabili. Circolava a inizio anno la suggestione Quota 41 (ovvero pensionamento per chiunque abbia 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica): ma sarebbe difficilmente sostenibile per i conti pubblici, così come la ventilata Quota 92 (30 anni di contributi e 62 d’età).