rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Verso la riforma

In pensione con Quota 41: chi lascerà il lavoro

Se ne torna a parlare con una qual certa insistenza, ma è davvero sostenibile? Dal primo gennaio 2023, senza interventi, si tornerebbe alla riforma Fornero. Sullo sfondo "resiste" l'ipotesi Tridico

Che Quota 41 "per tutti" sia uno degli obiettivi più condivisi da chi è seduto al tavolo della riforma, è noto da tempo (lo scrivevamo a novembre dell'anno scorso). Se ne torna a parlare con una qual certa insistenza. Quota 41 prevede 41 anni di contributi per andare in pensione a prescindere dall'età, favorendo di conseguenza ricambio generazionale e ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma dalla teoria alla pratica ce ne passa. 

Pensioni: Quota 41 sarà il cuore della riforma?

Il primo problema è che il tavolo tra governo-sindacati è congelato da oltre tre mesi. E tra poco più di tre mesi si dovrnano porre le basi per la manovra autunnale che disegnerà l’assetto previdenziale in Italia per il 2023. Quota 102, la novità di quest'anno che riguarda però un numero limitato di lavoratori, alcune migliaia soltanto, scade il 31 dicembre. Era una "toppa". La riforma è un'altra cosa. Senza nuove misure o una improbabile  proroga, dal 1° gennaio del prossimo anno diventerà automatico il ritorno in versione integrale alla legge Fornero. La Lega e i sindacati puntano forte su Quota 41, ovvero sulla possibilità di uscita al raggiungimento del quarantunesimo anno di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica.

Ci sono sintonie. Salvini ha detto chiaramente che l’obiettivo del Carroccio è evitare il totale ritorno alla "Fornero". Ma in casa le voci da ascoltare con attenzione sul fronte pensioni sono quelle del responsabile Lavoro della Lega, Claudio Durigon, e del sottosegretario al Lavoro, Tiziana Nisini, che insistono sulla necessità di aprire immediatamente la strada a Quota 41. Il leader della Cisl, Luigi Sbarra, invoca "maggiore flessibilità in uscita, permettendo ad ogni persona di uscire liberamente dopo 41 anni di contributi o raggiunti i 62 anni di età. Anche questa, soprattutto questa, è sostenibilità". Sbarra, sollecita il governo a modificare la legge Fornero sulle pensioni e lancia un avvertimento al premier Mario Draghi: "Non accetteremo supinamente uno scalone di 5 anni".

Tutte le notizie di oggi

Il problema è proprio lo scalone che incombe. Dal primo gennaio 2023, senza interventi sulla previdenza, si tornerà infatti alla riforma Fornero, che prevede un'uscita dal lavoro a 67 anni. Troppi. In Europa la media di età per uscire dal lavoro è 63 anni. Cgil, Cisl, e Uil - su questo punto compatte - continuano a invocare la riapertura del tavolo e ribadiscono la loro proposta: uscita attorno ai 62 anni o, in alternativa, con 41 anni di contributi. Il governo nei mesi scorsi si era sempre dichiarato favorevole ad apportare qualche ritocco ma restando nel solco del metodo di calcolo contributivo, e senza un aggravio di costi. E' ora di concretizzare.

Quota 41, si può fare

Quota 41 può davvero essere la soluzione giusta per "sostituire" Quota 102? L'ipotesi di riforma delle pensioni caldeggiata da Lega e sindacati prevede che si possa lasciare il lavoro a prescindere dall’età anagrafica, a patto di aver versato 41 anni di contributi. Si tratta di un’ipotesi di riforma che però è piuttoso onerosa. Dati e studi aggiornati non ce ne sono, ma secondo la relazione annuale 2020 dell'Inps si stimava un impatto sui conti di 4,3 miliardi il primo anno per raggiungere i 9,2 miliardi dopo un decennio. Molto minore è invece il costo ipotizzato dall'Osservatorio sulla Previdenza della Cgil e della Fondazione Di Vittorio. Secondo le stime la riforma sarebbe costata 1 miliardo e 242 milioni nel 2022 e 1 miliardo e  292  milioni nel 2023 per poi diminuire negli anni succesivi. Nel 2024 Quota 41 avrebbe un costo pari a 1miliardo e 115 milioni, nel 2025 pari a 975 milioni di euro e nel 2026 di 851 milioni.

Nell'analisi si stimava il costo di tale intervento tenendo anche conto dell'esperienza di 'Quota 100' che secondo il sindacato aveva ampiamente dimostrato che, in un sistema misto, non tutti coloro che possono accedere al pensionamento anticipato decidono effettivamente di utilizzare questa possibilità. E questo, sosteneva la Cgil, avverrà in misura sempre maggiore nei prossimi anni essendo il sistema contributivo molto più incentivante alla permanenza al lavoro. "L'analisi - spiegava Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale - stima i costi dell'accesso al pensionamento con 41 anni di contribuzione a partire dal 1 gennaio 2022, tenendo conto solo di quelli derivanti della quota retributiva, unica componente che può essere considerata come un costo aggiuntivo, visto che la parte contributiva sarebbe solo un'anticipazione di spesa''. "Dobbiamo ragionare su dati di spesa più realistici - sostiene Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil nazionale - considerando che negli ultimi anni le previsioni di altre misure previdenziali, come la norma sugli usuranti, le salvaguardie, opzione donna, Ape e precoci e da ultimo Quota 100, hanno sempre fatto registrare un livello di spesa notevolmente inferiore a quello preventivato". Insomma, per la Cgil non ci sono dubbi: la riforma è sostenibile. 

Le voci critiche non mancano. "Salvini torna a sbraitare sulle pensioni e sulla linea del governo Draghi che ha mandato in soffitta quota 100, oltre 11 miliardi di euro per non produrre un posto di lavoro in più e per pesare sugli under 34, la popolazione che più si è impoverita negli ultimi 20 anni. Al blocco Salvini-Landini diciamo che se si vuole introdurre flessibilità in uscita questa va legata al ricalcolo contributivo, in sostanza facendola pagare a chi opterà per andare prima in pensione rispetto ai contributi versati, non a tutti i contribuenti", afferma Valerio Federico, della segreteria di +Europa. "Ogni misura non finalizzata a ridurre la spesa a carico della fiscalità generale a integrazione dei contributi versati dai lavoratori e non volta a ridurre il divario tra la retribuzione media dei lavoratori e l`importo medio delle pensioni - sottolinea - corrisponde a un attentato ai diritti dei giovani", conclude.

L'ipotesi "due quote" di Tridico che non tramonta mai

C'è sempre sullo sfondo anche il piano Tridico, che "resiste" sempre tra le varie opzioni che circolano in vista della riforma. Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, ha più volte rilanciato la proposta di erogare a chi lascia il lavoro a 63-64 anni solo la parte contributiva dell'assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni (il requisito di età fissato dalla Fornero). Il punto forte di questo piano è la sostenibilità certa per le casse dello stato. Secondo Tridico questo tipo di anticipo costerebbe infatti 400 milioni di euro l'anno. Una spesa di molto inferiore rispetto a "Quota 41". A livello generale, il piano delle due quote di Tridico introduce un principio di equità sul quale si potrebbe trovare una convergenza. Ma il problema è che in ogni caso quella di Tridico affronta soprattutto un aspetto, quello della flessibilità in uscita, senza avere le caratteristiche di una riforma previdenziale strutturale e che affronti tutte le variegate problematiche che una legge così importante necessita.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

In pensione con Quota 41: chi lascerà il lavoro

Today è in caricamento