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Pensioni, arriva lo scivolo di 5 anni "allargato": cosa cambia

Le ipotesi per le pensioni dal 2022 sono tante: Quota 102, Quota 92, Quota 41, la flessibilità dai 62 anni di età chiesta dai sindacati. Il Ministro del Lavoro Orlando ha inserito all’interno del decreto Sostegni Bis (pronto all'ok definitivo entro questa settimana) il potenziamento del contratto di espansione che, di fatto, consente mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima

Il dopo Quota 100 inizia a intravedersi all'orizzonte. Le ipotesi per le pensioni dal 2022 sono tante: Quota 102, Quota 92, Quota 41, la flessibilità dai 62 anni di età chiesta dai sindacati.  Il Ministro del Lavoro Orlando ha inserito all’interno del decreto Sostegni Bis (pronto all'ok definitivo entro questa settimana) il potenziamento del contratto di espansione che, di fatto, consente mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia o anticipata.

Pensioni con Quota 41 "per tutti": l'ipotesi prende corpo, cosa cambia

Pensioni con scivolo: accompagnamento con 5 anni di indennità

Il governo ha incassato alla Camera, con 473 voti a favore e 49 contrari, la fiducia sul decreto Sostegni (che verrà convertito in legge entro venerdì) e nelle stesse ore si appresta a definire il testo del decreto Sostegni bis, la nuova manovra in deficit per un valore di 40 miliardi di euro, che dovrebbe essere approvata giovedì in consiglio dei Ministri. Attenzione: non è una novità assoluta. Già introdotto dal Decreto Crescita nel 2019 ma solo per aziende di grandi dimensioni (oltre 1.000 lavoratori, e con un anticipo di soli due anni), l’ultima manovra ne ha ampliato la platea coinvolgendo anche le medie imprese (organico di almeno 250 lavoratori).

Adesso con il Decreto Sostegni bis arriverebbe - in caso di approvazione definitiva - un ulteriore step abbassando la soglia per l’accesso ai contratti di espansione a 100 dipendenti e ampliando ancora la platea di possibili beneficiari di circa 15 mila aziende e circa 27 mila dipendenti nel 2021 (altrettanti nel 2022). Il contratto di espansione dà la possibilità di ridurre l’orario di lavoro, opzione della quale potranno beneficiare i dipendenti privi dei requisiti per  accedere allo scivolo: per loro una speciale cassa integrazione a costo zero per l’azienda con riduzione massima dell’orario pari al 30%. Secondo i sindacati la proposta è eccessivamente costosa per le aziende.

"Il Dl Sostegni bis va nella direzione giusta e da noi auspicata perchè contiene misure specifiche per il lavoro, dal contratto di ricollocazione, a quelli di solidarietà e di espansione. Si tratta di un intervento strutturale, di dimensioni e qualità eccezionali per far fronte all'emergenza e preparare una solida ripartenza"  dichiara Romina Mura (Pd), presidente della Commissione Lavoro della Camera. "Nel decreto - conclude Mura - entrano misure specifiche per i settori del commercio e del turismo, e va evidenziato il contratto di espansione per imprese fino a 100 dipendenti. Uno strumento nato per le grandi imprese che volevano avviare processi di reindustrializzazione e di riorganizzazione per andare nella direzione dello sviluppo tecnologico".

Pensioni: come funziona lo scivolo con il contratto di espansione

Il contratto di espansione consente di mandare in pensione su base volontaria i lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) rispetto ai requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia ma anche anticipata. Serve un accordo da siglare presso il Ministero del Lavoro tra azienda e sindacati, che deve contenere anche un certo numero di nuove assunzioni e deve essere finalizzato alla reindustrializzazione e riorganizzazione in ottica di sviluppo tecnologico dell’attività. L’obiettivo è quello di favorire la ristrutturazione delle imprese in crisi e il ricambio generazionale.

Il meccanismo funziona in questo modo: il dipendente che si trova a meno di cinque anni dalla pensione chiude il rapporto con l'azienda e riceve in cambio la cosiddetta indennità di accompagnamento alla pensione. Ovvero una somma che gli viene corrisposta per tredici mensilità all'anno fino al compimento dei 67 anni e alla maturazione dei requisiti per lasciare il lavoro. A pagarla sarà l'Inps ma a fornire i soldi sarà l'azienda di provenienza con cadenza mensile e garantita da una fidejussione. 

Il vantaggio per l'azienda è che dalla cifra versata al lavoratore viene sottratta la Naspi che gli dovrebbe essere corrisposta in caso di perdita del lavoro. In questo modoo un lavoratore che guadagna 36mila euro l'anno costerebbe all'azienda 100mila euro in cinque anni. Per il lavoratore c'è invece anche la possibilità di trovare un altro lavoro.

Cosa succede il 1 gennaio 2022 per chi punta alla pensione

In questo momento l'unica certezza per ora è relativa a una data: il 31 dicembre "scade" Quota 100, che consente di anticipare la pensione a 62 anni di età con 38 di contributi fino al 31 dicembre 2021, dal primo gennaio si tornerebbe alle regole di prima e quindi allo "scalone" di cinque anni di età. Di colpo il pensionamento sarebbe accessibile solo a partire dai 67 anni di età. Lo scalone è un problema vero, da affrontare quanto prima. Facciamo un esempio lampante. Alla fine del 2021, senza un’eventuale armonizzazione, per gli esclusi ci sarà un aumento secco di cinque anni dei requisiti di pensionamento. Troppi, scenario insostenibile.

Un esempio: Ivano e Giuseppe hanno lavorato 38 anni nella stessa azienda solo che il primo è nato nel dicembre del 1959 e il secondo nel gennaio del 1960. Ivano andrà in pensione (se lo vorrà) a 62 anni, mentre Giuseppe dovrà optare tra un pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi nel 2026 o il pensionamento di vecchiaia con 67 anni e nove mesi, addirittura nel 2029. Insomma così non va, è evidente. Uno scalone del genere andrebbe persino oltre quello della vecchia riforma Maroni (legge 243/2004), quando fu introdotta una differenza di tre anni lavorativi tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. All'epoca per evitare che a circa 130mila lavoratori venisse impedito di andare in pensione subito si fece la riforma Damiano, con un aumento della spesa pensionistica spaventosa, circa 65 miliardi, in un decennio.

Quota 100 non sarà prorogata in nessun caso

Nonostante in passato se ne sia parlato a ripetizione, è completamente da escludere - lo ribadiscono tutti (governo, parti sociali, Inps) una mini-proroga di Quota 100, anche se fosse solo per i primi mesi del 2022. Il governo Draghi aprirà a brevissimo tavoli di confronto con i sindacati e tutte le parti sociali alla ricerca di soluzioni ragionevoli. C'è una grossa differenza rispetto a quanto avvenne all'epoca del governo Monti-Fornero, 10 anni fa. Infatti il governo Draghi, anche se a debito, dovrebbe avere quelle risorse che permetteranno di addolcire gli spigoli delle trattative. Lo spazio è stretto, perché l'Europa chiede chiaramente, nero su bianco, e non da oggi all'Italia di "attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica".

Ipotesi Quota 102 per andare in pensione

Una ipotesi che convince poco ma che sarebbe senz'altro semplice da implementare è Quota 102. In tanti chiedono regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri. Per questo, se saranno mantenuti identici i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione, l'ipotesi di Quota 102 per andare in pensione prima sarebbe fattibile con:

  • 64 anni di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita);
  • 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).

Rimarrebbe poi da stabilire con la massima chiarezza il taglio dell’assegno che verrebbe incassato fino alla naturale scadenza fissata a 67 anni. Seguendo la stessa logica, la pensione anticipata dovrebbe essere resa stabile con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne), svincolata dalla aspettativa di vita e togliendo qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo altresì agevolazioni per le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (un anno) e per i lavoratori precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età). L'ipotesi Quota 102 viene ritenuta inaccettabile dai sindacati: troppo penalizzante.

La Quota 92, ma solo per i lavori usuranti, è stata rilanciata nei mesi scorsi da più parti. Nel dettaglio verrebbero abbassati di molto, in questo modo, gli anni di contribuzione tenendo conto delle difficoltà del mercato del lavoro e consentendo di uscire a 62 anni con 30 anni di contributi.

Opzione donna e Ape social: il rinnovo sembra quasi scontato

Terminano a fine anno anche Opzione donna con cui le lavoratrici possono uscire dal mondo del lavoro a 35 anni netti di contribuzione e 58 anni di età anagrafica, per le subordinate, 59 anni per le lavoratrici autonome e l’Ape sociale, sussidio erogato in attesa del raggiungimento dell’età pensionabile rivolto ai contribuenti di entrambi i sessi che hanno compiuto 63 anni e con 30-36 anni di contributi versati. Non si vede un motivo valido per cui non dovrebbero essere rinnovate.

Al momento resta sullo sfondo per ora Quota 41,  l’ipotesi più apprezzata dalle paerti sociali, che prevederebbe la possibilità di pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contributi, per tutti i tipi di lavori. La copertura però non ci sarebbe. Piace poco ai lavoratori l'idea (che al momento resta tale, con qualsiasi "Quota") di un ricalcolo basato sulla proporzione tra coefficiente della pensione a 67 anni e coefficiente di uscita a 63 o 64 anni. Con coinvolgimento degli anni di versamento contributivo precedenti al 1996 e alla Riforma Dini. Cosa che avrebbe importanti benefici sulle casse Inps, e pochi invece sulle teste di chi dopo aver lavorato tanti anni avrebbe diritto a godersi la pensione per cui ha versato per decenni i contributi.

Draghi sa bene che il tema pensioni è una priorità già nel primo giro di consultazioni che lo avevano poi portato a sciogliere la riserva il premier aveva indicato una tappa sicura nella rotta da seguire: il superamento di Quota 100, come aveva rivelato il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Riccardo Molinari. Il tema è in cima all'agenda di Draghi e in autunno sarà obbligatorio trovare una quadra tra la variegata maggioranza di governo e le parti sociali.

In pensione da 62-63 anni con la quota contributiva?

Nelle scorse settimane il presidente dell'Inps Pasquale Tridico, a proposito dello spostamento dal 2022 dell'uscita da 62 a 67 anni, osservava come "non è corretto portare sempre il discorso sullo scalone. Dopo Quota 100 non c'è la fine del mondo, ci sono diverse misure di flessibilità da ampliare: l'Ape sociale, i precoci, gli usuranti". Il presidente Tridico in pratica, come vi abbiamo già raccontato, ha in tasca una proposta che ha una sua logica. Uno spunto messo sul tavolo del lungo dibattito che ci si appresta a iniziare. La proposta di Tridico è quella di andare in pensione dai 62-63 anni solo con la quota che si è maturata dal punto di vista contributivo. Il lavoratore uscirebbe dunque con l'assegno calcolato con il contributivo e aspetterebbe i 67 anni per ottenere l'altra quota, che è quella retributiva. Parallelamente sarebbero confermati o introdotti in caso di necessità strumenti ad hoc per tutelare i fragili, come gli oncologici e gli immunodepressi, che nella fase post Covid devono poter andare in pensione prima".

Trovare una convergenza tra governo, Inps e parti sociali non è semplice. I sindacati non si smuovono, lo hanno ribadito nelle scorse ore, da due numeri: ovvero la possibilità di andare in pensione a 62 anni a prescindere dai contributi. Ma per le sigle sindacali ritengono che anche quando un lavoratore arriva a 41 anni di contributi, a prescindere dall'età, deve avere la possibilità di andare in pensione. La proposta dei sindacati di fatto è quasi esclusivamente incentrata sulla flessibilità, lasciando i lavoratori liberi di decidere quando è il momento giusto per godersi il meritato riposo.

Ma "se pagassimo subito tutta la pensione, indipendentemente dai contributi, a 62-63 anni, verrebbe meno la sostenibilità finanziaria - avverte Tridico - La mia è una proposta aperta ad altri innesti, che il ministro Orlando sta valutando, come la staffetta generazionale o le uscite parziali con il part-time. Ma non possiamo tornare indietro rispetto al modello contributivo. Il sistema previdenziale italiano è stato scolpito da due grandi riforme: la Dini del '95 e la Fornero nel 2011. È quello il nostro impianto ed è proprio qui dentro che dobbiamo incrementare i livelli di flessibilità, tenendo presente che abbiamo bisogno di equità e sostenibilità". Il traguardo sembra ancora molto lontano.

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