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Giovedì, 18 Aprile 2024
Economia Alessandria

Cioccolato 'amaro': perché la Pernigotti sta per chiudere

Il gruppo Toksöz, che dal 2013 detiene il marchio, ha annunciato la decisione di chiudere lo stabilimento di Novi Ligure per spostare la produzione in Turchia. Sono almeno 100 i dipendenti che rischiano il lavoro, mentre i sindacati sono già sul piede di guerra: “Una scelta scellerata”

Un altro pezzo di Italia che rischia di scomparire. La lista delle aziende italiane a cui abbiamo dovuto dire addio si allunga con un altro nome: anche la Pernigotti sta per chiudere. Il gruppo turco Toksöz, che nell'aprile del 2013 comprò il marchio dalla famiglia Averna, ha deciso di chiudere le saracinesche della fabbrica di Novi Ligure, in provincia di Alessandria. I proprietari hanno manifestato la loro intenzione di mantenere in Italia soltanto la rete marketing per le vendite, mentre la produzione dovrebbe essere spostata totalmente in Turchia, mantenendo però il marchio Pernigotti. 

Una mossa che ovviamente si ripercuote sui dipendenti dello stabilimento, circa 200, di cui 100 rischiano il posto di lavoro. Un film già visto, che negli ultimi mesi si è riproposto in maniera quasi sistematica. Embraco, Melegatti, Beakert, Magneti Marelli, Hag: aziende diverse, settori diversi e problemi diversi, ma con un unico comune denominatore, la chiusura dell'azienda e il licenziamento di chi con quel lavoro manda avanti una famiglia. L'ennesimo colpo 'gobbo' al made in Italy, come confermato anche da Ivana Galli, segretaria generale Flai Cgil: “Siamo al fianco dei lavoratori Pernigotti e con loro stiamo intraprendendo tutte le iniziative volte a contrastare questa scelta scellerata. Assistiamo a proprietà straniere che prima comprano e poi licenziano e chiudono, mantenendo però la proprietà del marchio, come in questo caso un marchio prestigioso, e vanno a produrre all'estero. Ancora una volta sull'altare del mercato si sacrificano i lavoratori e la qualità dei nostri prodotti”. 

I motivi della chiusura

Per capire meglio quali siano le cause di questa chiusura abbiamo chiesto chiarimenti a Marco Malpassi della Flai Cgil Alessandria, che sta seguendo da vicino il caso: “Alla base della scelta di  Toksöz ci sono i risultati negativi dell'azienda, che negli ultimi 5 anni ha perso circa 50 milioni di euro di fatturato”. Una crisi che quindi non nasce oggi, ma che non era mai stata palesata dalla proprietà:  I turchi avevano già trovato una situazione critica  trattandosi di un'azienda di ricorrenza", con una produzione legata per lo più a Pasqua e Natale. Ma da parte loro non sono mai arrivati gli investimenti promessi, a parte qualcosa nel marketing”. E così, a pagare il prezzo più alto sono sempre i lavoratori.

Gli scenari futuri

Amareggiati e rassegnati, i lavoratori di Novi Ligure hanno subìto questa doccia fredda, ma i sindacati si sono già messi all'opera per cercare delle soluzioni, come spiegato da Malpassi: “L'azienda ci ha chiuso la porta in faccia e ha proposto un anno di Cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività, per poi procedere con l'invio delle lettere di licenziamento. Il nostro obiettivo è quello di ottenere una Cassa integrazione straordinaria per crisi così da permetterci di avere qualche prospettiva in più per trovare un acquirente o altre soluzioni per rilanciare l'azienda”. 

Il circolo vizioso della delocalizzazione

La notizia della chiusura di Pernigotti, arrivata come un fulmine a ciel sereno, ha provocato anche l'indignazione del presidente della Coldiretti Ettore Prandini: “E' il risultato del circolo vizioso della delocalizzazione che inizia con l'acquisizione di marchi storici del Made in Italy, continua con lo spostamento all'estero delle fonti di approvvigionamento della materia prima agricola e si conclude con la chiusura degli stabilimenti con effetti sull'occupazione e sull'economia nazionale dal campo alla tavola”. “L'Italia deve difendere il proprio patrimonio agroalimentare – ha sottolineato Prandini - tre marchi storici del Made in Italy alimentare su quattro sono finiti in mani straniere”.

Capone (Ugl): “La produzione deve restare in Italia”

Un appello a cui si è accodato anche il segretario generale dell'Ugl, Paolo Capone: “Cento persone rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della delocalizzazione dell'azienda Pernigotti che già nel 2013 fu acquistata dal gruppo turco Toksoz. L'Italia continua a strizzare, così, l'occhiolino all'estero smembrando parte del proprio made in Italy a discapito di intere famiglie che dovranno fare i conti con i licenziamenti”. La speranza di Capone è che la politica si metta in moto per dare manforte a questi lavoratori: “Auspico che il Governo proceda con un piano adeguato di ammortizzatori sociali per i tanti dipendenti al centro di questa delicata operazione industriale. Basta con le delocalizzazioni facili che minano il tessuto imprenditoriale del Paese e creano disoccupazione. Serve un piano industriale serio che non guardi solo ai bilanci aziendali, ma preservi la dignità dei lavoratori”.

Comunità pronta alla mobilitazione

Stamattina ha avuto luogo l'incontro al Comune di Novi Ligure tra  il sindaco Rocchino Muliere e i sindacati che stanno seguendo la delicata vicenda dei lavoratori della Pernigotti. Una riunione mostrata nelle immagini diffuse su Facebook da Radio Gold. La comunità ha manifestato la solidarietà nei confronti dei 100 lavoratori che rischiano il pasto, dicendosi pronta alla mobilitazione per fermare la chiusura dello stabilimento. Nel frattempo sono state avviate le procedure per ottenere un tavoo al Mise dove poter discutere la decisione presa dalla proprietà.

La storia di Pernigotti

Nel corso degli ultimi anni ci siamo ormai abituati a vedere marchi del made in Italy volare all'estero. Una lunga serie di addii che tolgono, un pezzetto alla volta, tasselli di storia italiana. Difficile non indignarsi quando si deve dire addio ad un'azienda come la Pernigotti, nata nel 1860 con l'apertura a Novi Ligure, dove nel giro di poco tempo è diventata una delle drogheria più rinomate di tutto il Piemonte. Fondata da Stefano Pernigotti, l'azienda si tramutò presto in un punto di riferimento per tutta la zona. Un successo continuato nel tempo, tanto che nel 1882 la Pernigotti venne insignita con l’onorificenza dello Stemma Reale che la accredita ufficialmente come fornitore della Real Casa. Quando nel 1914, con l'inizio della Prima guerra mondiale, venne proibito l'uso di zucchero nella preparazione di prodotti dolciari, Paolo Pernigotti ebbe una incredibile intuizione: modificare la ricetta del torrone sostituendo lo zucchero con del miele concentrato, ottenendo quindi un prodotto di consistenza e gusto unici al mondo. Ma la vera svolta per l'azienda arrivò nel 1927, quando iniziò la produzione del dolce che poi sarebbe diventato uno dei dolci simbolo della Pernigotti: il Gianduiotto. Negli anni successivi le innovazioni non sono certo mancate: nuovi prodotti come il Cremino, le Pepitas e il Nocciolato, hanno permesso alla Pernigotti di diventare negli anni '70 una delle aziende del settore del cioccolato più conosciute ed apprezzate. Una storia fatta di successi e soddisfazioni che adesso rischia di avere un epilogo 'amaro'. 

Il comunicato della Pernigotti

Pernigotti, storica azienda dolciaria di Novi Ligure, ha presentato richiesta di cassa integrazione straordinaria per 100 dipendenti nel un anno, dal prossimo 3 dicembre al 2 dicembre 2019. Il provvedimento è stato assunto a seguito della parziale cessazione dell'attività aziendale. Lo annuncia una nota dell'azienda in cui si sottolinea che "le cause di tale decisione risiedono, nella situazione di crisi che Pernigotti sta attraversando, determinata dal calo dei volumi di vendita e dal correlato decremento del fatturato che l'azienda non è riuscita a contrastare nonostante le azioni finora implementate a sostegno del business". Il piano, annunciato ieri dall'azienda ai sindacati, prevede interventi sia di carattere economico sia di carattere organizzativo. I primi, spiega la nota, "'consisteranno nell'immediata cessazione di attività inefficienti che hanno finora impattato negativamente sul conto economico dell'azienda e sul fabbisogno finanziario di breve e medio periodo".

La seconda tipologia di interventi, invece, riguarderà "la riorganizzazione di alcune attività al fine di ottenere una maggiore efficienza e di conseguenza impatti positivi sia sul risultato economico che sui flussi di cassa". Nel dettaglio, saranno ridefinite iniziative commerciali, verranno centralizzate le attività amministrative e di backoffice e si procederà alla cessazione delle attività produttive presso lo stabilimento di Novi Ligure. A garanzia della salvaguardia del brand , la nota comunica, poi, che l'azienda continuerà nella distribuzione e commercializzazione dei prodotti alimentari, mentre procederà all'individuazione di partner eccellenti a cui affidare la produzione dei propri articoli".

Quanto all'occupazione, la nota conclude precisando che l'azienda "intraprenderà tutte le azioni necessarie a limitare quanto più possibile le conseguenze sociali di questo piano. Pertanto esplorerà e valuterà tutte le ipotesi, adoperandosi affinché il personale possa essere ricollocato presso aziende operanti nel medesimo settore o terzisti durante o al termine del periodo di cigs, nel pieno rispetto della procedura".

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