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Giovedì, 28 Marzo 2024
Poste

Perché i titoli di Poste Italiane piacciono alla Borsa

L'offerta dei titoli per il collocamento in borsa è quasi coperto, a pochi giorni dall'offerta pubblica iniziale. Un vero successo che ha però dei presupposti: il gruppo oramai è più un big delle assicurazioni che dei servizi postali

E' partita da pochi giorni la quotazione in borsa del gruppo Poste Italiane. I titoli vanno a ruba: l'offerta pubblica è scattata lunedì e terminerà il 22 ottobre salvo chiusura anticipata. Il Tesoro ha messo in vendita fino al 38,2% di Poste: di questa percentuale il 30%  è riservata ai piccoli risparmiatori (tra cui anche i dipendenti) mentre il 70% è indirizzata agli investitori istituzionali. Il collocamento è gestito da un pool di banche composto da Mediobanca, Banca Imi, Unicredit, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank America Merrill Lynch, Credit Suisse, J.P.Morgan e Ubs.

La valorizzazione del capitale della società è stata fissata tra un minimo non vincolante di 7,837 miliardi ed un massimo vincolante solo per l'offerta pubblica (e non per il collocamento istituzionale) di 9,796 miliardi: insomma ogni azione varrà tra i 6 e 7,5 euro, che potrebbe portare un valore dell'operazione tra 2,7 e 3,7 miliardi. Per i conti pubblici si tratta di una boccata di ossigeno, per gli investitori internazionali torneranno a guardare con un po' più di interesse al listino azionario italiano, attirati dalla privatizzazione. 

Ma la quotazione della società italiana è una sorta di unicum a livello europeo. Il servizio di Poste è duplice: abbiamo quello tradizionale (quello dei servizi postali, soppiantato dalla tecnologia e quindi con sempre meno profitti) e quello bancario e finanziario, da cui derivano gli introiti degli ultimi anni, circa l'80% dei fatturati. Il resto è dedicato ai servizi postali veri e propri, in continua perdita: 89 milioni nei primi sei mesi del 2015 contro i 36 milioni di rosso della semestrale 2014. La ragione è semplice: si utizza sempre meno la posta nella vita quotidiana delle persone, soppiantata dalle mail e dalla tecnologia. La crescita del gruppo degli ultimi hanni e i profitti per lo Stato (che rimane comunque il maggior azionista) sono arrivate dal boom delle polizze vita.

In pochi anni Poste ha fatto strada nell'ambito assicurativo, superando in corsa marchi affermati come UnipolSai e anche il leader Generali. In poco tempo l'attenzione del gruppo si è spostato e gli analisti preferiscono considerarla come un big delle polizze, più che dei servizi postali. Negli ultimi tempi sono così arrivati i guadagni: nel primo semestre del 2015 le assicurazioni hanno fruttato 236 milioni di profitti operativi sui 638 milioni registrati dal gruppo. A questi si aggiungono i servizi finanziari di Banco Posta, tra cui famosi libretti. Denaro che finisce nella Casse Depositi e Prestiti, che paga a Poste un compenso sulla base di un contratto. Parliamo di somme ingenti: 16 miliardi e i buoni fruttiferi addirittura 210 miliardi. Tutto ciò ha deteminato la crescita del gruppo, che ha quasi triplicato il profitto dal 2010 a oggi. 
 

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