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Venerdì, 29 Marzo 2024
I traffici illegali

Duecento miliardi di euro invisibili al Fisco: l'economia sommersa e illegale vale il 10% del Pil

Gli italiani spendono oltre 16 miliardi di euro in droghe, un flusso di denaro che ingrassa i canali illegali e la malavita

Le attività illegali generano 19,4 miliardi di euro di ricavi, un valore pari al 1,2% del Pil e in crescita secondo l'ultima stima Istat relativa al 2019, cifre determinate in gran parte dal traffico di stupefacenti (14,8 miliardi di euro), prostituzione (4 miliardi) e contrabbando di sigarette.

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Nello stesso periodo l’incidenza del lavoro irregolare aveva registato una riduzione diffusa nella maggior parte dei settori di attività economica. Tra i settori in calo, quello delle Costruzioni ha registrato la maggiore contrazione del tasso di irregolarità, pari a un punto percentuale (da 17,3% del 2018 al 16,3% del 2019). Nei settori dell’Istruzione, sanità e assistenza sociale e dell’Agricoltura l’incidenza resta stabile rispetto all’anno precedente. In particolare, per quest’ultimo comparto si registra, dal 2015, un segnale di arresto dopo quattro anni consecutivi di crescita. L’unico settore in controtendenza è quello degli Altri servizi alle imprese, con un incremento dal 9,2% del 2018 al 9,5% del 2019.

L'economia sommersa in Italia

L’economia non osservata è costituita dalle attività produttive di mercato che, per motivi diversi, sfuggono all’osservazione diretta ponendo particolari problemi di misurazione. Essa comprende, essenzialmente, l’economia sommersa e quella illegale.

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Le principali componenti dell’economia sommersa sono costituite dal valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) o generato mediante l’utilizzo di lavoro irregolare. Ad esso si aggiunge il valore dei fitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della domanda. Quest’ultima integrazione contiene, in proporzione non identificabile, effetti collegabili a elementi di carattere puramente statistico e componenti del sommerso non completamente colte attraverso le consuete procedure di stima.

L’economia illegale include sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le attività illegali incluse nel Pil dei Paesi dell’Unione europea sono la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di sigarette.

Nel 2019 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a 202,9 miliardi di euro, con una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente (quando era di 208,2 miliardi di euro) in controtendenza rispetto all’andamento del valore aggiunto, cresciuto dell’1,3%. L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è di conseguenza ridotta di 0,5 punti percentuali, portandosi all’11,3% dall’11,8% del 2018.

Quasi tutte le componenti dell’economia non osservata hanno evidenziato una contrazione: il valore aggiunto sommerso da sotto-dichiarazione è diminuito di 3,8 miliardi di euro rispetto al 2018, quello generato dall’impiego di lavoro irregolare di 1,2 miliardi, mentre le altre componenti hanno registrato una riduzione di 0,5 miliardi. L’economia illegale ha invece segnato un aumento, pur se molto contenuto, rispetto all’anno precedente (+174 milioni).

Si conferma così la tendenza alla riduzione del fenomeno in atto da alcuni anni. Infatti, dopo il picco raggiunto nel 2014, quando l’impatto del sommerso sul valore aggiunto era del 13,4%, si è registrato un trend in riduzione che ha portato a una contrazione dell’impatto di 2 punti percentuali nei cinque anni, pari a poco più di 12 miliardi di euro. Il ridimensionamento del peso dell’economia sommersa è principalmente dovuto all’andamento della sotto-dichiarazione la cui incidenza, dopo una crescita nel periodo 2011-2014 (0,4 punti percentuali, dal 6,3% al 6,7%), si è ridotta di 1,1 punti percentuali fra il 2014 e il 2019 (dal 6,7% al 5,6%).

Una dinamica analoga, sebbene meno marcata, si verifica per il valore aggiunto da lavoro irregolare. Nel 2019, infatti, la sua quota sul totale del valore aggiunto si riduce di 0,7 punti percentuali rispetto al 2014, quando era del 5,5%. Anche per questa componente, il trend degli ultimi cinque anni rappresenta un’inversione di tendenza rispetto a quanto registrato nel periodo 2011-2014, quando il peso del valore aggiunto da lavoro irregolare era cresciuto di 0,5 punti percentuali dal 5,0% del 2011.

Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale dell’economia italiana. Nel 2019 sono 3 milioni e 586 mila le Unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (circa 2 milioni e 583 mila unità). La componente non regolare segna un calo dell’1,6% rispetto al 2018, registrando un ridimensionamento per il secondo anno consecutivo (-1,5% nel 2018 sul 2017). Anche il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale delle Ula non regolari sul totale, risulta in calo nell’ultimo anno, scendendo al 14,9% (-0,2 punti percentuali rispetto al 2018) e tornando al livello del 2013. Questa diminuzione è dovuta all’effetto congiunto della dinamica negativa del lavoro non regolare e dell’aumento dell’input di lavoro regolare (+0,3%), riconducibile alla componente dei dipendenti (+0,7%), la cui dinamica risulta comunque in rallentamento rispetto agli anni precedenti (+1,9% nel 2018).

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