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Mercoledì, 24 Aprile 2024
L'ennesima fuga / Pescara

L'azienda che chiude, licenzia e "scappa" all'estero

Il caso dello stabilimento Riello di Villanova di Cepagatti: 71 dipendenti licenziati dall'oggi al domani e 19 spostati al Nord, con la produzione che vola in Polonia. Alessandra Tersigni della Fiom Pescara: ''Una decisione inaccettabile''

Un'altra azienda che chiude uno stabilimento in Italia e si sposta all'estero, licenziando gran parte dei lavoratori e spostando la restante parte del personale nel Nord Italia. Succede a Villanova di Cepagatti, in provincia di Pescara: l'azienda in questione è la Riello, leader nel settore della climatizzazione, che nello stabilimento appena chiuso produce caldaie. I dipendenti che rischiano il posto sono ben 71, mentre altri 19 verranno trasferiti nelle sedi di Lecco e Legnano o in Polonia, dove l'azienda ha intenzione di spostare la produzione.

Riello chiude a Villanova di Cepagatti: scattano i licenziamenti

La doccia gelata per i lavoratori della Riello è arrivata la scorsa settimana attraverso una nota: "A seguito di un'attenta analisi del mercato che si presenta in rapida evoluzione e della competitività delle nostre operazioni, abbiamo deciso di interrompere le attività del nostro stabilimento di Pescara e di concentrarle presso altri impianti con capacità disponibile a Legnago (VR), Volpago del Montello (TV) in Italia, e Torun in Polonia. Questa decisione ha lo scopo ottimizzare i nostri asset industriali e contribuirà a posizionare la nostra azienda per il futuro in un mercato globale sempre più competitivo. Siamo consapevoli dell’impatto di questo progetto sui dipendenti interessati. L’azienda si impegna a lavorare a stretto contatto con loro, i loro rappresentanti e le istituzioni in un dialogo attivo per sostenerli durante il progetto".

Un fulmine a ciel sereno per tutti i lavoratori, come raccontato a Today.it da Alessandra Tersigni, Segretario della Fiom di Pescara: ''È successo tutto dall'oggi al domani. Eppure il lavoro c'è sempre stato, anche dopo l'inizio della pandemia. Abbiamo fatto soltanto due settimane di cassa integrazione durante il lockdown per motivi di riorganizzazione, poi lo stabilimento ha continuato a produrre anche più di prima''.

I segnali (nascosti) della crisi in arrivo

In effetti, analizzando la produzione degli ultimi mesi nulla poteva far presagire l'arrivo di una crisi, eppure qualche segnale c'era stato. Piccoli campanelli d'allarmi che adesso, dopo la notizia della chiusura e dei licenziamenti, acquisiscono un diverso significato, come spiegato da Alessandra Tersigni: ''Adesso comprendiamo tante cose. Ecco perché nell'ultimo periodo abbiamo fatto così tanto magazzino: noi pensavamo che fosse un surplus di lavoro per attuare un rilancio, invece si stavano preparando a quello che sarebbe successo con l'avvio della procedura di licenziamento collettivo. Anche dalle altre sedi ci dicevano che stava andando tutto bene, invece eravamo molto lontani dalla realtà''.

Una realtà cruda che come vittime principali ha sempre loro, i lavoratori e le loro famiglie che si ritrovano con un futuro in bilico: ''I lavoratori, soprattutto all'inizio, hanno avuto una reazione rabbiosa. Anche loro hanno messo tutti i tasselli del puzzle al loro posto, dai magazzini pieni allo stop alla manutenzione. Piccoli segnali di un disegno studiato, che non ha nulla a che fare con la contrazione economica o il calo del fatturato lamentati dall'azienda. A luglio il licenziamento di 49 interinali era stato solo il preludio a quello che è avvenuto il 1° settembre: l'azienda ci ha convocato per comunicarci che avremmo ricevuto via pec la notizia della chiusura dello stabilimento, del licenziamento di 71 dipendenti e dello spostamento di altri 19 nelle sedi di Legnago e Volpago del Montello''.

Le cause della chiusura: "Motivazioni inaccettabili"

Ma perché la Riello ha deciso di chiudere ed andare altrove? Secondo il segretario della Fiom Pescara le motivazioni date dall'azienda sono a dir poco inaccettabili: ''In primo luogo abbiamo indagato sulla situazione economica dello stabilimento, scoprendo che quello di Villanova di Cepagatti ha un fatturato superiore e dei costi inferiori rispetto alle fabbriche del Nord in cui verrà trasferito parte del personale. La loro premessa parte dalla conversione all'idrogeno, che prevede che il gas non venga più utilizzato. Un processo che in Francia avverrà nei prossimi 3 anni, ma che in Italia non vedremo prima di altri 10. Hanno deciso di spostare tutta la parte di assemblaggio, che richiede molta manodopera, negli stabilimenti in Polonia, dove il salario minimo è molto più basso''.

Qualunque sia la ragione, la decisione di chiudere tutto e lasciare 71 persone senza lavoro è stata definita ''inaccettabile'' dalla stessa Tersigni, che ha aggiunto: ''Siamo in sciopero ma lo stabilimento sta lavorando al 50%. I lavoratori si danno il cambio tra lavoro dentro la fabbrica e presidio fuori da quando è arrivata la notizia dei licenziamenti. Mercoledì la protesta si sposterà davanti alla Regione Abruzzo, dove è in programma un tavolo per coinvolgere la politica regionale sul caso: noi e l'amministrazione regionale abbiamo già chiesto al Ministero dello Sviluppo economico di convocare un tavolo per trovare soluzioni alternative che scongiurino i licenziamenti e la fuga di un'azienda e risorse per poterla convincere a rimanere in Italia''.

Intanto, lo scorso 1° settembre, sono partiti i 75 giorni che intercorrono tra l'arrivo della notizia del licenziamento e l'effettivo stop al lavoro. Un tempo che si riduce sempre di più in cui si cercherà di salvare il posto di lavoro di 71 persone, evitando l'ennesima fuga all'estero di un'azienda. Un fenomeno ormai troppo frequente che non fa altro che impoverire il nostro territorio.

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