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Martedì, 23 Aprile 2024
Occhio all'anticipo

Pensioni, anticipare troppo l'uscita dal mondo del lavoro può diventare rischioso

Molti i baby pensionati che ancora oggi ricevono l'assegno pensionistico dell'Inps da oltre 41 anni. Attenzione all'anticipo pensionistico nella nuova riforma delle pensioni 2023, avverte Alberto Brambilla, a rischio c'è l'intera tenuta del sistema previdenziale

Prosegue il dibattito tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni 2023, con al centro dell'attenzione la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro per schivare i 67 anni della legge Fornero. Le organizzazioni sindacali si stanno battendo per un anticipo pensionistico a 62 anni di età o con 41 anni di contribuiti a prescindere dall'età anagrafica, ma occhio, ad anticipare troppo l'uscita dal mondo del lavoro si rischia grosso. Lo stiamo vivendo sulla nostra pelle, pagando ancora centinaia di migliaia di pensioni a chi ha lasciato il lavoro da giovanissimo. Ci sono baby pensionati che percepiscono l'assegno previdenziale da oltre 41 anni, a dispetto di alcuni calcoli attuariali secondo i quali non si dovrebbero superare i 20 - 25 anni di prestazioni per la tenuta dell'intero sistema pensionistico. Andiamo a leggere un po' di numeri davvero interessanti.

Nel 2021 pagate 476mila pensioni di durata ultra-quarantennale

Lo sapevate che nel 2021 l'Inps ha pagato oltre 476mila pensioni a soggetti che percepiscono l'assegno previdenziale da ormai oltre 41 anni? Ebbene sì, sono ex lavoratori che prima del 1980 sfruttando le regole previdenziali allora vigenti, sono riusciti a lasciare il lavoro in età giovane, grazie a baby pensioni, prepensionamenti e pensioni di invalidità. Tra il 1965 e il 1997, infatti, si riusciva ad andare in pensione nel settore pubblico dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio utile per le donne, compresi i riscatti di maternità e laurea. Praticamente una giovane donna laureata con 2 figli poteva andare in pensione dopo solo 8 anni di lavoro effettivo. Per i maschi invece servivano 19 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro. Per gli enti locali si dovevano aspettare 25 anni, ridotti a 20 con il riscatto della laurea, la maternità o il militare. Queste 476mila persone sono andate in pensione con un'età media di 39,7 anni per gli uomini e 42,3 per le donne per quanto riguarda il settore privato e 39,3 per gli uomini e 42,1 per le donne nel settore pubblico. Sono numeri che fanno riflettere, specialmente se confrontati con quelli del 2020, che fissano rispettivamente a 61,9; 67,4; 62,1; 54,8; 77,4 l'età media del pensionamento per anzianità, vecchiaia, prepensionamenti, invalidità e superstiti (61,3; 67,3; 61,8; 53,5; 74,3 l'età media per relativa categoria per le donne).

Pensioni erogate da oltre 40 anni: a beneficiare sono soprattutto le donne

Dalle anticipazioni del nono rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano elaborato dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, che verrà presentato il prossimo 15 febbraio al Senato della Repubblica, emerge che all’inizio del 2021 risultano pagate 476.283 pensioni di durata ultra quarantennale. Di queste, 423.009 sono pensioni riferite al settore privato e 53.274 al settore pubblico, sempre con durata superiore a 41 anni. In entrambe i casi a beneficiarne sono principalmente le donne:

  • nel privato 343.064, pari all'81,1% (79.945 gli uomini, 18,9%);
  • nel pubblico 36.372, pari al 68,3% (16.902 gli uomini, 31,7%).

Molto più alti i numeri del 2020, prima del covid, considerando l'elevato numero di decessi specie tra le fasce più anziane della popolazione proprio a causa del virus. Confrontando i dati del 2021 con quelli del 2020, quando le prestazioni con durata superiore ai 41 anni erano 502.327, si registrano 79.318 assegni in meno, con un decremento del 16%. In pratica, la durata delle pensioni erogate dal 1980 o prima nel settore privato e ancora oggi vigenti è in media di quasi 46 anni (età media attuale meno età media alla decorrenza) e nel settore pubblico di quasi 44 anni e non tengono conto, ovviamente, di quelli che sono andati in pensione a età più mature ma che sono deceduti. E' da anni che lo stato si fa carico di questi baby pensionati, che godono di pensioni nella maggior parte dei casi sostanziose, perché il calcolo dell'assegno è interamente retributivo anziché contributivo come avviene oggi.  "Ci vorranno ancora molti anni per ridurre le anomalie del passato che ancor oggi appesantiscono il bilancio del sistema pensionistico", avverte Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali lanciando un monito ai fautori delle troppe anticipazioni tipo Quota 100, gravosi, Ape sociale. Da considerare poi che ci sono anche 2.321.000 pensioni con durata 30 anni e più, liquidate quindi fino al 1991 nei settori pubblico e privato e tuttora in pagamento, pari a circa il 14% dei pensionati totali. "Se pensiamo che la percentuale di contributi versati è meno della metà della prestazione incassata (33% di contributi per i dipendenti e 73% la pensione) e il periodo effettivo lavorativo - al netto della contribuzione figurativa - è di circa 30 anni in media, risulterà evidente a chiunque che questi importi e durate sono insostenibili, non solo in termini attuariali ma anche facendo un semplice conto artigianale. E ciò mette a serio rischio la tenuta stessa del sistema pensioni", tuona Brambilla.

Riforma delle pensioni 2023, Brambilla: "Ci vuole il giusto equilibrio"

Alla luce di questa situazione, Brambilla, invita governo e sindacati a riflettere bene su questi numeri prima di prendere decisioni importanti in tema di anticipo pensionistico nella riforma delle pensioni 2023. In particolare, il massimo esperto in Italia di materia pensionistica spiega che per mantenere il sistema in equilibrio "è necessario un giusto rapporto tra il periodo della vita lavorativa e la durata della pensione per evitare eccessive durate o scarsi periodi di vita attiva che penalizzerebbero i lavoratori che oggi con i loro contributi, giovani in testa, consentono il pagamento delle pensioni all’attuale generazione di pensionati, e anche nei confronti dei tanti lavoratori che accedono alla pensione a età regolari". Ad esempio, edili e ceramisti che nel 2022 potranno andare in pensione con l'Ape sociale a 63 anni di età e 32 anni di contributi, grazie alla modifica introdotta con la legge di Bilancio 2022, cosa faranno una volta andati in pensione? "Se va bene staranno al bar ma la maggior parte di loro a 62 anni farà lavori in nero, alla faccia della lotta all’evasione fiscale", risponde Brambilla. In sostanza la soluzione nell'anticipo pensionistico, secondo l'esperto, sta nell'agganciare l’età della pensione alla speranza di vita.

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