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Giovedì, 18 Aprile 2024
L'intervista

Salari e inflazione: "Il sistema imprese deve contribuire"

Sul rinnovo dei contratti di lavoro scaduti serve "equilibrio" e "buon senso", ha dichiarato in un’intervista a Today, Tiziana Bocchi, segretaria confederale della Uil

L’inflazione erode i salari, riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori. L’ondata dei rincari ha travolto prima l’energia e poi gli alimentari, costringendo il governo a correre ai ripari con ‘misure straordinarie’ per aiutare le famiglie in difficoltà. L'intervento dell'esecutivo, però, non basta: secondo i sindacati serve un adeguato aumento delle retribuzioni. Non la pensano così le imprese: il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi ha dichiarato che “con l’aumento dei costi delle materie prime nelle aziende non c’è più spazio per gli aumenti salariali” e che gli imprenditori italiani dovrebbero essere considerati già degli “eroi civili” per aver contenuto l’inflazione.

L’Istat, però, stima per il 2022 una perdita del potere d’acquisto del 5%, dato che non può essere ignorato in vista del rinnovo dei contratti di 8 milioni di lavoratori. C'è da considerare poi che l'Italia è l'unico Paese europeo in cui lo stipendio medio dei lavoratori è diminuito di quasi il 3% negli ultimi trenta anni (dati Openpolis), mentre nel resto d'Europa le retribuzioni sono aumentate. In questa difficile situazione bisogna trovare un “equilibrio” e usare il “buon senso”, ha dichiarato in un’intervista a Today, Tiziana Bocchi, segretaria confederale della Uil con delega alla contrattazione.

L’occupazione sta aumentando soprattutto grazie ai contratti a tempo determinato. In vista della ricostruzione economica post Covid il mercato del lavoro ha bisogno di una maggiore solidità?

“Non c’è dubbio. Il mercato del lavoro presenta una maggiore instabilità rispetto al periodo pre-pandemico, nel quale già non si brillava per occupazione stabile. Purtroppo la ripresa occupazionale a cui stiamo assistendo è fatta da contratti a termine molto brevi, c’è tanto lavoro precario e sommerso. Dobbiamo assolutamente far fronte a questa situazione. Bisogna innanzitutto puntare sulle politiche di sviluppo perché per avere un lavoro stabile bisogna che ci sia lavoro, un lavoro buono, di qualità. Non è un caso che nel Pnrr ci siano tutta una serie di progetti e investimenti che nel giro di breve tempo dovrebbero nei vari settori determinare un impulso positivo nella nostra economia, quindi sviluppo, creazione di nuovo lavoro. Noi abbiamo bisogno di mantenere il lavoro che abbiamo e dobbiamo fare in modo che coloro che attualmente lavorano possano rimanere a lavorare e possano avere dei processi di qualificazione tali da renderli più sicuri nel lavoro che già svolgono. Poi abbiamo il problema delle persone che non sono ancora entrate nel mercato del lavoro, dei giovani e delle donne, ma anche di coloro che purtroppo nelle crisi industriali vengono messi fuori dal ciclo produttivo. A tutte queste tipologie di persone che si trovano senza lavoro, di tutte le età, dobbiamo dare una risposta occupazionale che sia qualificata, non lavori precari, di sfruttamento con salari troppo bassi in rapporto alle ore lavorate e alla qualifica”.

Perché in tanti settori non si riescono a trovare lavoratori stagionali (turismo, ristorazione, etc…). È colpa del reddito di cittadinanza? Come risolvere il problema?

“Spesso ci sono aziende che offrono in cambio di lavoro qualificato una remunerazione molto bassa a prescindere dalle difficoltà degli ultimi due anni dovuti al Covid e alla guerra. I settori del turismo e del commercio sono stati molto colpiti soprattutto dalla pandemia e ora si stanno riprendendo. Lì c’è un lavoro quasi prevalentemente stagionale, però un lavoro stagionale può essere ben pagato, strutturato, con contratti di lavoro ben definiti, quindi con tutte le tutele necessarie. Questo dovrebbe accadere perché così è giusto ed equo in una società civile ma anche perché ci sono tanti problemi di sicurezza sul lavoro, come abbiamo visto negli ultimi anni. Ci sono persone che nonostante le difficoltà non sono più disponibili ad essere sfruttate come lo sono stati per tanti anni. L’offerta di lavoro c’è ma spesso è dequalificata. Io non credo che il reddito di cittadinanza sia il motivo per il quale le aziende non trovano persone disponibili a lavorare. Se dovessimo fare una statistica secondo me sarebbero poche le persone che sceglierebbero di rimanere a casa con il reddito di cittadinanza, che è un reddito a tempo, piuttosto che accettare un lavoro non sfruttato e ben remunerato”.

Otto milioni di lavoratori sono in attesa del rinnovo del contratto di lavoro. Secondo lei è il momento giusto per chiedere aumenti salariali alle imprese colpite dal Covid prima e dalla guerra poi?

“Le faccio una battuta: non è mai il momento giusto per chiedere alle imprese aumenti salariali perché c’è sempre un problema. Quella che stiamo vivendo è una fase molto critica, sicuramente alcune imprese sono ancora colpite da questi eventi. È chiaro che c’è un problema di aumento dei costi anche per il sistema imprese però allo stesso tempo noi abbiamo l’inflazione molto alta, costi energetici molto alti e abbiamo tante persone che pur avendo un lavoro vedono il loro potere d’acquisto fortemente diminuito in questi ultimi due anni. Che ci sia un problema salariale in questo Paese penso che non lo metta in discussione nessuno, nemmeno il presidente di Confindustria da quello che capisco. Il problema è che noi da anni stiamo chiedendo una politica fiscale che possa rimettere al centro una maggiore equità: abbiamo chiesto la detassazione degli aumenti contrattuali, abbiamo chiesto di lavorare sul cuneo fiscale per fare in modo che si liberino risorse per i lavoratori e le lavoratrici, però è chiaro che il sistema delle imprese non può pensare di non contribuire in una fase come questa al reddito delle persone che lavorano per loro”.

Salari e inflazione: cos’altro si può fare per preservare il potere d’acquisto dei lavoratori?

“Come si è sempre fatto, anche nei periodi difficili, c’è bisogno di equilibrio. Noi avevamo individuato negli accordi precedenti aumenti salariali per rinnovare i contratti sulla base dell’Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea, ndr), indicatore che oggi va messo in stand by. Non dico che andrebbe tolto dagli accordi ma è un indicatore poco valido perché prende a riferimento l’inflazione al netto dei costi energetici importati. Vista la situazione i contratti andrebbero rinnovati sulla base del buon senso, della produttività del sistema impresa, perché non è vero che tutte le imprese non hanno risorse per poter procedere ai rinnovi contrattuali. Ad esempio, il settore del commercio sta tentando di rinnovare il contratto da tanto tempo, sono più di 3 milioni di persone, poi è arrivata la pandemia e ha bloccato tutto. È un settore tra i più colpiti, c’è un tavolo di trattativa che si è avviato, ci auguriamo che si trovino delle soluzioni equilibrate perché noi abbiamo dall’altra parte il problema di dare capacità di spesa alle persone perché sennò diventa un serpente che si morde la coda. Se non c’è domanda di consumo è un problema, visto che siamo un Paese che produce soprattutto per i consumi interni. Il problema dei salari è un problema che pure in una situazione critica e complicata deve essere affrontato”.

Quattro milioni di lavoratori in Italia guadagnano meno di 9 euro l’ora. Qual è la vostra posizione sul salario minimo?

“Il salario minimo per noi deve corrispondere ai minimi contrattuali. Per fortuna abbiamo un sistema contrattuale molto diffuso in Italia e dobbiamo preservarlo con tutte le nostre forze. Noi chiediamo che il salario minimo nel nostro Paese sia quello che ogni contratto prevede. Non ci siamo mai opposti all’individuazione di un riferimento, però deve essere quello giusto, non possiamo prendere un riferimento qualsiasi, un numero che non si sa bene da dove nasce. È chiaro, dobbiamo dare una garanzia di applicazione contrattuale, dobbiamo fare in modo che non ci sia più elusione contrattuale, ossia la mancata applicazione dei contratti firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative. Poi nel nostro Paese abbiamo anche il problema di tanti piccoli ‘contrattini’ sorti negli anni che rappresentano una platea di lavoratori e lavoratrici molto bassa, che applicano condizioni economiche e normative di assoluto sfavore rispetto ai contratti nazionali”.

Quali sono gli altri punti importanti da considerare in sede di rinnovo contrattuale oltre all’aumento dei salari?

“La formazione e la riqualificazione professionale. Siamo entrati già prima della pandemia nella fase delle tre transizioni: ambientale; energetica; digitale. Ne parliamo ancora ma poi c’è stata la pandemia, il Pnrr, la guerra e quindi la revisione in termini temporali degli obiettivi, ma siamo ancora dentro questa grande transizione che richiede una grande attenzione alle competenze. L’altro elemento importantissimo, secondo noi, è quello dell’ulteriore affermazione del sistema delle relazioni. Abbiamo un buon sistema di relazioni, di confronto, ma lì dovremmo compiere un ulteriore salto di qualità, per rafforzare questo sistema e fare in modo che ci siano dei momenti di partecipazione sulle strategie d’impresa. In realtà il sindacato viene informato di scelte già compiute, non sto parlando di cogestioni, ma di un confronto che preceda le scelte strategiche dell’azienda, in modo tale da non dover arrivare solo quando ci sono problemi. In questa fase storica sarebbe necessario cominciare a discutere lcon il sindacato anche preventivamente le scelte che l’azienda nella sua autonomia deve fare. Un altro elemento importante riguarda la sicurezza sul lavoro e la salvaguardia della salute dei lavoratori”.         

La sicurezza sul lavoro resta un tema dominante. Puntare sulla prevenzione e sulla formazione mi sembra importante. Cos’altro si può fare?

“Prevenzione e formazione sono due elementi fondamentali. Bisogna prevenire e formare le persone ma soprattutto non sfruttarle, perché poi tante morti avvengono perché tu hai messo la persona non formata a fare un lavoro senza nessuno strumento di sicurezza, con macchine sulle quali le manutenzioni non sono state effettuate. Poi ci vogliono più controlli su tutto, assolutamente tanti tanti controlli, sulla sicurezza, sull’applicazione dei contratti e sulla tutela ambientale”.

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