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Giovedì, 25 Aprile 2024
Quaderni sul lavoro

Salario minimo e reddito di cittadinanza per sconfiggere il lavoro povero

Il segretario del Pd Letta apre al salario minimo mentre il ministro del lavoro Orlando lancia la proposta del Tem, il trattamento economico minimo

Il ritornello sul reddito di cittadinanza e l’assenza di lavoratori stagionali lo conosciamo ormai tutti. Da una parte ci sono gli imprenditori che dicono di non riuscire a trovare camerieri, baristi e stagionali dando la colpa al reddito di cittadinanza, dall’altra ci sono i giovani spalleggiati dai sindacati che dicono “no” al lavoro sottopagato. Mentre l’Ocse ci segnala che il salario medio annuale in Italia è diminuito negli ultimi 30 anni di circa il 3% (perfino in Grecia e Spagna i salari sono saliti rispettivamente del 30% e del 6%), il ministro del lavoro Orlando tenta di difendere il sussidio alla povertà snocciolando dati sui percettori del reddito di cittadinanza. "Rispetto a una certa narrazione credo che occorra mettere in evidenza qual è la platea dei beneficiari del Reddito di cittadinanza. Il 26% sono minorenni, oltre 100mila sono nei primi giorni di vita. Il 5% sono anziani, circa 400mila sono adulti in età che precede la pensione e il 3,2% sono persone con disabilità".

Letta apre al salario minimo: “Oggi troppi lavori poveri sono la regola”

Perché stiamo parlando di salari e di reddito di cittadinanza? Perché non tutti la pensano come il leader del Pd Enrico Letta, secondo il quale “reddito di cittadinanza e salario minimo sono due questioni diverse. Il reddito di cittadinanza non deve essere legato alle politiche del lavoro - ha spiegato - Il tema del salario minimo invece ha una importanza fondamentale rispetto ad alcuni settori ed è un tema di cui discutere con le parti sociali”. Letta ha così aperto la porta al salario minimo, ammettendo che “oggi troppi lavori poveri sono la regola, soprattutto per i giovani. Io sono convinto che c’è un punto di dignità sotto il quale non si può andare”, ha aggiunto.

C’è chi invece da tempo sostiene che “per una vita degna e senza ricatti” siano necessarie entrambe le misure: salario minimo e reddito di cittadinanza. Sono i ragazzi di UP! Su la testa! organizzazione politica nata a gennaio del 2021 con l’obiettivo di cambiare il Paese, a partire dal lavoro. “Siamo  quelli in cerca di lavoro e stabilità, del contratto in scadenza e dell’affitto alle stelle, quelle del lavoro autonomo tra sfruttamento e lotta quotidiana per la sopravvivenza, quelli che non avranno mai una casa né una pensione”, così si descrivono e così a loro volta descrivono il Paese in cui vivono. Invece di lasciare l’Italia in cerca di ‘fortuna’ all’estero, come hanno fatto in tanti (580 mila dal 2011 al 2020), hanno deciso di restare e combattere per un lavoro dignitoso, proprio come recita l’art. 36 della Costituzione italiana: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”.

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Sotto 10 euro l’ora è sfruttamento

Da qui parte la campagna nazionale “Sotto dieci è sfruttamento” su salario minimo e reddito di cittadinanza, perché “l’unica cosa che un reddito  disincentiva è lo sfruttamento”, sostengono gli attivisti di UP!. Il reddito di cittadinanza, dunque, assume una duplice funzione: viene visto come una misura di contrasto alla povertà ma anche come un mezzo utile “per costituire una possibilità di uscita dal ricatto lavorativo”, vale a dire dal lavoro nero e dallo sfruttamento. In Italia più di 5 milioni di lavoratori e lavoratrici guadagnano meno di 10.000 euro annui, quindi pur lavorando si trovano sotto la soglia di povertà. Il lavoro povero non è un problema solo della singola persona, ma è una piaga che si abbatte su tutto il Paese, perché i salari bassi portano a minor consumi e a un rallentamento della crescita economica, con impatti significativi anche nel futuro perché salari da fame oggi significa pensioni da fame domani.

Sono 4 milioni i lavoratori che prendono meno di 9 euro l’ora

Salario minimo, effetti positivi su un lavoratore su tre

L’Italia è diventato un Paese che offre sempre meno opportunità di lavoro ai giovani, spingendoli alla fuga all’estero. Il nostro Paese, ossia quello che riceverà la quota più consistente dei fondi europei del Next Generation EU, non può più ignorare il problema perché le statistiche parlano chiaro: siamo l’ultimo Paese in Europa per tasso di occupazione e terzo per tasso di disoccupazione, con un primo posto in classifica per tasso di Neet, ossia di giovani che risultano non impegnati né nello studio, né nel lavoro, né nella formazione. La colpa è del lavoro nero ma anche del lavoro povero, che spinge le persone ad ‘accontentarsi’ del reddito di cittadinanza (561 euro in media, dati Inps). Quando parliamo di lavoro povero parliamo di milioni di lavoratori che pur lavorando non riescono a vivere una vita dignitosa. Secondo i dati Inps, sono più di cinque milioni i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 1000 euro al mese, 4,5 milioni quelli che vengono pagati meno di 9 euro lordi l’ora. Fissare un salario minimo a 10 euro, dunque, avrebbe un effetto positivo su più di un lavoratore su tre, andando a interessare non solo chi ha un contratto collettivo ma anche il popolo delle partite iva. Inoltre l’introduzione del salario minimo contribuirebbe a ridurre le diseguaglianze, non solo quelle fra famiglie ricche e famiglie povere ma anche quelle fra generi, generazioni, nativi e migranti, zone urbane e rurali, come spiegano gli attivisti di UP!.

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La proposta di Orlando: “Tem diventi il nuovo salario minimo”

Riconosciuta la necessità di intervenire sugli stipendi più bassi, il ministro del lavoro Orlando lancia una proposta: far diventare il “trattamento economico minimo (Tem), contenuto nei contratti maggiormente e comparativamente più rappresentativi, il salario minimo di riferimento per tutti i lavoratori di quel comparto. Questo non recupererebbe tutto quello che si è perso con l’inflazione ma eviterebbe di far sprofondare la fascia di lavoro più povero. Sarebbe questa già una risposta importante", ha dichiarato Orlando.

"Serve un aumento strutturale dei salari - suggerisce il segretario della Cgil, Maurizio Landini - Nel nostro paese abbiamo sempre pensato che lo sviluppo si potesse fare a prescindere dalla qualità del lavoro e dalla qualità dei salari. Oggi le persone pur lavorando sono povere", ha aggiunto Landini specificando che il salario minimo "serve" e che bisogna ridurre la pressione fiscale troppo alta. "Il peso fiscale di questo paese grava su chi sta peggio oltre ad avere un livello di evasione fiscale è fuori di testa. Non bisogna più pensare che il lavoro dipendente è la macchina da mungere. Il nostro problema non è aumentare una tantum i salari. Abbiamo un problema strutturale, i salari si sono ridotti. I 200 euro una tantum sono un segnale ma non sono sufficienti. Con l'inflazione se ne è andata la tredicesima per chi ce l'ha", ha spiegato il sindacalista. Riassumendo, bisogna agire su "contratti, fisco e legge sulla rappresentanza che recepisca anche il salario minimo nel nostro Paese".

Le dichiarazioni dei leader di queste ultime ore fanno pensare che si possa trovare un accordo sul salario minimo entro la fine della legislatura, ma come sappiamo bene non è sempre facile passare dalle parole ai fatti. In ogni caso, qualcosa si sta muovendo.

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