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Venerdì, 29 Marzo 2024
Migliaia di posti a rischio

Con lo sblocco dei licenziamenti ci sarà una "catastrofe" lavorativa?

Con la fine del divieto di licenziare che riguardava ancora alcuni settori, dal terziario all'artigianato, sono migliaia i lavoratori che temono di perdere il posto di lavoro da un giorno all'altro. La misura ha mitigato un crollo che sarebbe stato vertiginoso, ma le conseguenze di questo ''sblocco totale'' potrebbero essere pericolose

Lo scorso 31 ottobre è decaduto per tutte le imprese il blocco dei licenziamenti: il divieto varato per limitare le conseguenze economiche della pandemia nel febbraio del 2020, scaduto lo scorso 30 giugno per le imprese medio grandi della manifattura e dell’edilizia, dal 1° novembre non riguarda più neanche gli altri settori. In sostanza, adesso le aziende di qualsiasi categoria possono tornare a licenziare con le regole che vigevano prima che il virus facesse la sua comparsa, richiedendo l'utilizzo di misure straordinarie, come appunto il blocco dei licenziamenti o la cassa integrazione Covid, prorogata dal Governo fino al 31 dicembre 2021. 

Cosa cambia con lo sblocco dei licenziamenti

La fine del divieto ovviamente apre le porte a timori e preoccupazioni per milioni di lavoratori: la scadenza del 31 ottobre aveva esteso il blocco dei licenziamenti per alcuni dei settori maggiormente colpiti dagli effetti nefasti del coronavirus, come il settore terziario, piccole aziende, artigianato, industria tessile, abbigliamento e pelletteria. In questo modo le qualunque impresa di qualsiasi settore può licenziare, anche se resta l'alternativa della cassa integrazione Covid, prorogata dal Governo con il Decreto legge fiscale. 

Fino al 31 dicembre di quest'anno, i datori di lavoro riducono o sospendono la loro attività per motivi riconducibili alla pandemia possono usufruire della Cig Covid, che varia in base alla categoria:

  • massimo 13 settimane, le piccole imprese del terziario, commercio, artigiani, giornalisti, a patto che abbiano esaurito le 28 settimane della precedente proroga;
  • massimo 9 settimane le industrie del settore tessile, abbigliamento e pelletteria, purché abbiano esaurito le 17 settimane della precedente proroga.

L'utilizzo di questo ammortizzatore sociale prevede però che il datore di lavoro non possa licenziare  nel periodo corrispondente, a meno di accordi collettivi raggiunti con i sindacati che prevedono la pensione anticipata con incentivo all’esodo, oppure nei casi di cessazione definitiva dell’attività o della sua messa in liquidazione. Per usufruire della cassa integrazione Covid l'Inps ha messo a disposizione una piattaforma telematica per gestire le domande, che vanno presentate a partire dal mese successivo alla sospensione o alla riduzione dell'attività.

Gli effetti del ''primo sblocco''

La caduta del blocco, come era facile immaginare, non è andata giù ai sindacati, che ne chiedevano la proroga, e ha gettato nello sconforto migliaia (se non milioni) di lavoratori, che temono di poter perdere il posto da un giorno all'altro. Cosa succederà? Ci sarà uno tsunami di licenziamenti? Ovviamente ancora è presto per quantificare gli effetti di questo provvedimento, ma ci possiamo fare una minima idea dell'impatto osservando i dati successivi alla caduta del blocco del 1° luglio scorso, che riguardava manifattura ed edilizia. Proprio in quei settori un aumento dei licenziamenti c'è stato, anche se ''moderato'', come spiegato da Bankitalia nel rapporto "L'economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali": ''Il blocco dei licenziamenti per motivi economici ha protratto in misura relativamente maggiore i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno. Nelle settimane successive alla sua rimozione, i licenziamenti sono moderatamente aumentati, soprattutto nel Mezzogiorno. Ad agosto, il tasso di licenziamento è tornato su livelli contenuti in tutte le aree''.

La Banca d'Italia stima che ''il provvedimento abbia sbloccato circa 10.000 licenziamenti; di questi, il 46% è concentrato nelle regioni meridionali, dove risiede il 15% dei lavoratori dipendenti soggetti al provvedimento. Ad agosto il tasso di licenziamento è invece tornato su livelli particolarmente contenuti in tutte le aree, favorito anche dall’ampia possibilità di ricorrere a schemi di integrazione salariale senza costi per le imprese''. Con milioni di posti a rischio tra industria ed edilizia, i numeri di Bankitalia smentiscono le aspettative più catastrofiche, ma rimangono numeri da non sottovalutare, soprattutto se si aggiungono i migliaia di precari che non si sono visti rinnovare i contratti in scadenza. Inoltre, gli effetti nefasti sono anche stati ''mitigati'' dal periodo estivo, che ha visto cadere anche altre restrizioni in vigore durante l'inverno, dalla contestuale ripartenza del turismo e dall'utilizzo della cassa integrazione Covid.

''A rischio un milione di posti''

Ma cosa cambia adesso che lo sblocco è stato esteso a tutti i settori? Con la possibilità di licenziare che adesso riguarda tutti è inevitabile che ci siano nuovi posti di lavoro a rischio. Infatti, con il ritorno alle regole antecedenti alla pandemia, sarebbero circa un milione le persone che potrebbero essere licenziati.La stima arriva dalla Confederazione unitaria di base (Cub): ''Mentre si discute sull'obbligo del green pass, il governo ha liberalizzato i licenziamenti per tutte le aziende senza che nessuno abbia aperto bocca". A denunciare un nuovo pericolo ''catastrofe'' e a quantificarne i possibili effetti è stato il segretario nazionale della Cub, Walter Montagnoli: "Il rischio di un milione di posti è davvero concreto anche se da molte parte, in particolare da Confindustria, tentano di annacquare e di ridurre questo numero. Ma non è vero: le imprese hanno licenziato sempre in questi mesi, con il decreto da oggi si accelera questo processo. Bisogna scendere con forza in piazza anche perché si aggiungono i mali contenuti nella Finanziaria che porteranno la Cub e i sindacati di base a manifestare di nuovo a novembre". 

''In particolare - ha aggiunto Montagnoli - l'art 13 del decreto prevede che le aziende dei settori tessile, calzaturieri, moda e settori in crisi in cui i licenziamenti erano vietati fino al 30 ottobre possono chiedere 9 settimane di Cassa integrazione (Cig) per Covid. Per le aziende che hanno fino a 5 dipendenti e quelle del commercio, servizi e turismo, ovvero le aziende che usano la Cig in deroga in cui i licenziamenti erano vietati fino al 30 ottobre, possono chiedere 13 settimane di Cig Covid. In tutti e due i casi se le aziende chiedono la Cig Covid non possono licenziare per la durata della Cig altrimenti i licenziamenti sono possibili. Inoltre il divieto di licenziamento non si applica nei casi: di fallimento, di messa in liquidazione e di cessazione di attività, di accordo sindacale aziendale di incentivazione all'esodo a meno che non ci sia un trasferimento di azienda o di ramo di azienda''. Numeri con non possono che destare preoccupazione, anche se al momento rimangono stime: servirà attendere i prossimi mesi per scoprire quali saranno gli effetti reali della caduta del blocco sull'economia e sui livelli occupazionali. 

Gli effetti del blocco e della cig Covid

Ma se gli effetti ''futuri'' possono essere soltanto stimati, quelli che conosciamo sono gli effetti ''passati'', ossia le conseguenze portate dal blocco dei licenziamenti nel periodo in cui era in vigore. Secondo Rapporto della Fondazione Di Vittorio, questi provvedimenti hanno ''attutito'' un crollo che sarebbe stato ancor più vertiginoso: ''Nel 2020 la massa salariale è calata nell'Eurozona del -2,4% e in Italia del -7,2%, dove l'ingente ricorso alla cassa integrazione (+17,3 miliardi di euro rispetto al 2019) ha contenuto questa caduta e più che dimezzato la riduzione del salario medio (da -5,8% a -2,4%). Contestualmente, l'occupazione ha registrato una flessione contenuta dal blocco dei licenziamenti (Eurozona -1,3% e Italia -1,7%)''.

L'analisi, presentata dal presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, durante un evento organizzato dalla Cgil Nazionale dal titolo "Salari e occupazione in Italia", ha messo in evidenza anche alcuni dati preoccupanti sull'occupazione e sul confronto tra i diversi tipi di mercato del lavoro: "Tre milioni di precari, 2,7 milioni di part-time involontari, 2,3 milioni di disoccupati ufficiali (dalla Fondazione Di Vittorio stimati in quasi 4 milioni come disoccupazione sostanziale), mentre il décalage salariale che comunque è previsto in strumenti preziosi di tutela, come gli ammortizzatori sociali, propone uno spaccato davvero troppo alto, ingiusto e insostenibile, di lavoro povero che riguarda il nostro Paese". Alla luce di questi numeri è innegabile che il blocco dei licenziamenti abbia evitato una situazione ben peggiore, proprio per questo la caduta del divieto non può che rappresentare una strada quantomeno ''pericolosa''. La cig Covid rimane un'opzione alternativa che non tutti potranno (o vorranno) adottare, quindi la previsione più rosea rimane quella in cui la ripresa economica ''abbraccia'' in maniera adeguata tutti i settori, scongiurando crisi e licenziamenti. Uno scenario ad oggi utopistico, mentre l'incertezza dettata dalla pandemia continua a dettare condizionare le dinamiche sociali ed economiche. Togliere il blocco dei licenziamenti è stato un passo falso? Nei prossimi mesi avremo una risposta.

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