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Giovedì, 25 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

Se comprate questa marca siete complici anche voi

Diciotto ore di lavoro per produrre almeno 500 capi a testa al giorno. Lo stipendio? 4.000 yuan al mese, circa 550 euro. Sono le terrificanti condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i dipendenti di un laboratorio di sartoria da cui è solito rifornirsi Shein, famosissimo marchio di ultra fast-fashion, svelati dall’inchiesta sotto copertura “Untold: Inside the Shein Machine” condotta dalla televisione britannica Channel 4.

Capi venduti a prezzi irrisori 

Nonostante il fatturato del colosso cinese abbia raggiunto i dieci miliardi nel 2020 e sia in costante crescita, altrettanto non si può dire delle condizioni contrattuali e professionali dei lavoratori che realizzano i capi venduti sul mercato a prezzi più che irrisori. “Siamo estremamente preoccupati per le affermazioni presentate da Channel 4, che violerebbero il Codice di condotta concordato da ogni fornitore Shein. Qualsiasi non conformità a questo codice viene gestita rapidamente e porremo fine alle partnership che non soddisfano i nostri standard”, ha replicato il colosso cinese. Una dichiarazione piuttosto democristiana ma soprattutto difficilmente credibile, visto che l’azienda cinese è stata più volte accusata di sfruttare i propri lavoratori e di mettere in atto pratiche decisamente poco rispettose dell’ambiente, l’unica differenza è che l’inchiesta di Channel 4 mostra le aberranti condizioni rendendo pubbliche immagini che lasciano ben poco spazio all’interpretazione. Ma non è certo l’unica.

Niente è cambiato

Lo scorso anno, la ONG Public Eye aveva infatti realizzato un reportage incentrato proprio sulle condizioni degli operai di 17 differenti fornitori impiegati da Shein per la produzione di capi, raccontando delle condizioni da vero e proprio schiavismo a cui erano sottoposti i lavoratori, tra orari infiniti, assenza di sicurezza e paghe da fame. Eppure, a quanto pare, poco o nulla è cambiato. Nuovo anno, nuova inchiesta, che dimostra quanto alla base del modello di business del colosso di ultra fast-fashion ci sia la totale mancanza di rispetto dei più basilari diritti umani. Prezzi bassi e migliaia di capi e modelli accattivanti nuovi ogni giorno, questo è da sempre il binomio alla base successo di Shein, che nel giro di pochissimi anni ha raggiunto una considerevole fetta di mercato divenendo in breve tempo il marchio simbolo del mercato globale del fast fashion.

A pagare lo scotto di questi prezzi irrisori così accattivanti per i consumatori sono però i lavoratori, costretti ad avere ritmi di produttività del tutto disumani per uno stipendio davvero indecente pari a circa 4 centesimi per capo realizzato. È l’altra faccia della medaglia del fast fashion, che da un lato permette a molte persone di poter comprare capi d’abbigliamento a prezzi accessibili, ma dall’altro incentiva a un consumismo estremo, che ben poco si sposa con le politiche di sostenibilità compatibili con la salvaguardia dell’ambiente e il contrasto al cambiamento climatico, ed è basato sullo sfruttamento senza ritegno dei lavoratori impiegati nella produzione di questi beni.

Il modello fast fashion basato sullo sfruttamento

Shein è solo l’ultimo gigante finito nell’occhio del ciclone, ma non è certo l’unica azienda del settore ad aver macinato fatturato e utili record con un modello di business basato sulla vendita di beni e servizi a prezzi low cost. Zara e H&M, per almeno un decennio pioniere del fashion low cost nonché aziende che in passato hanno avuto numerosi problemi proprio in relazione alle condizioni dei lavoratori impiegati nella produzione dei capi nei laboratori sparsi per tutto il Sud-Est asiatico e non solo, stanno ora scontando una pesante concorrenza da parte del colosso dell’ultra fast-fashion, che sta acquisendo una non indifferente quota di utenti che preferiscono acquistare da Shein perché propone capi a prezzi ancor più irrisori. Prezzi bassi che però alimentano un sistema basato sulla compressione dei diritti e sullo sfruttamento dei lavoratori. I fatti sono ormai più che noti, inutile nascondersi dietro a un dito. Chi acquista è complice di questo modello, senza scusanti.

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