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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cosa succede?

Il "trucco" delle confezioni con meno prodotto (ma allo stesso prezzo)

Con l'inflazione che galoppa la "shrinkflation" può diventare una tentazione forte per le aziende. Attenzione all'etichetta

Comprare meno, ma allo stesso prezzo. La "shrinkflation" è tornata. Di cosa si tratta? La pratica consiste nel rimpicciolire le dimensioni dei prodotti pur mantenendo il prezzo invariato. Un esempio forse aiuterà a capire meglio. La tavoletta di cioccolato che prima pesava 50 grammi, ora ne pesa 40, ma il costo rimane identico. Una mossa di marketing che ovviamente può trarre in inganno il consumatore distratto che acquista senza badare troppo all’etichetta. 

Il nome deriva dalla fusione di due termini inglesi: "shrinkage" (contrazione) e "inflation" (inflazione). In effetti la "shrinkflation" viene spesso definita una sorta di "inflazione occulta". Il meccanismo è semplice: anziché aumentare il prezzo di un prodotto, l’azienda ne riduce il contenuto. Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli: bevande vendute in bottiglie da 1,35 litri piuttosto che in bottiglie da un litro e mezzo, nove fazzolettini di carta anziché dieci.  Un altro trucco usato dalle aziende può essere quello di ridurre il contenuto di un prodotto, mantenendo inalterata la confezione.

Il fenomeno è "made in Usa" ma negli ultimi anni ha messo piede anche da noi: la necessità di fare cassa e le tecnologie di packaging sempre più sofisticate hanno determinato un sostanziale "restringimento" dei prodotti che acquistiamo. Come spiega l’Unione Nazionale Consumatori, i primi a lanciare l’allarme sono stati i tecnici e gli economisti dell’Istituto di statistica britannico (Ons, Office for National Statistics). Secondo le loro rilevazioni, negli ultimi sei anni in circa 2.500 casi le confezioni di prodotti (soprattutto alimentari e per l’igiene della casa) sono state ridimensionate in peso e quantità.

La "shrinkflation" e l'aumento dei prezzi

Inutile dire che con l’inflazione che galoppa il ricorso alla "shrinkflation" può essere una tentazione molto forte per le aziende. A segnalare la tendenza è stato il Financial Times che spiega come le aziende stiano "riducendo le dimensioni dei prodotti o limitando i servizi per preservare i margini man mano che i loro costi aumentano". Il meccanismo che c’è dietro l’inflazione ormai è noto: il rincaro di carburanti e materie prime si ripercuote su tutta la filiera facendo schizzare i prezzi anche sugli scaffali dei supermercati. In questo contesto diminuire la quantità di prodotto anziché alzare il costo può in qualche modo illudere i consumatori.

Al momento comunque non ci sono dati per capire se (e quanto) questo espediente di marketing stia dilagando in Italia. Di sicuro la "shrinkflation" non è un fenomeno sconosciuto a queste latitudini, tant’è che già un anno fa il presidente dell’Istat confermava l’esistenza di tale pratica in Italia, denunciando le ripercussioni economiche per le famiglie. Le associazioni dei consumatori in ogni caso si mantengono all’erta. Masssimiliano Dona dell’Unc ha segnalato l’escalation del fenomeno all’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato ma, "in attesa di un riscontro da parte dell’Antitrust", scrive, "non ci siamo fermati. Ho personalmente denunciato il fenomeno in una recente audizione al Senato sul ddl Concorrenza e spero che su questo si attivi la Commissione parlamentare d’inchiesta sui diritti dei consumatori che tra i suoi compiti ha proprio quello di analizzare il fenomeno della sgrammatura dei prodotti". 
 

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