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Martedì, 23 Aprile 2024
Scenari foschi

Stop benzina e diesel dal 2035: perché in Italia sono a rischio 70mila posti di lavoro

Per un motore termico servono 100 lavoratori, per uno elettrico 25. Inoltre da noi gran parte dell'industria del settore è rappresentata dalla componentistica, che lavora non solo per gli stabilimenti Stellantis ma anche per molti costruttori tedeschi e francesi

L'industria è al bivio. Il Parlamento europeo ha approvato il testo sulla riduzione delle emissioni di CO2 delle auto che prevede lo stop alla vendita nell’Ue dal 2035 dei veicoli che emettono gas serra. La norma andrà a colpire tutte le macchine con motori a combustione - benzina, diesel e gpl - che andranno completamente rimpiazzate dai costruttori d’auto con veicoli elettrici, fatti salvi i soli mezzi commerciali pesanti. C'è un piccolo problema. I costruttori parlano di 70mila posti di lavoro a rischio nella sola Italia.

Addio alle auto a benzina e diesel dal 2035 (ma la Ferrari è salva)

Il motivo di una stima così alto di posti di lavoro in bilico è presto detto: se per costruire un motore termico servono 100 persone, per farne uno elettrico ne bastano 25. I tre quarti degli attuali addetti diventano inutili. Non si parla qui del solo montaggio finale dei propulsori: i posti di lavoro "salterebbero" nell'intera filiera della produzione dei motori, con esiti socialmente devastanti. In Italia andrebbe peggio che altrove, perché da noi gran parte dell'industria dell'automotive è rappresentata dalla componentistica, che lavora non solo per gli stabilimenti Stellantis ma anche per molti costruttori tedeschi e francesi. Cingolani un anno fa aveva detto che "la transizione ecologica potrebbe essere un bagno di sangue". Ora è molto chiaro cosa intendesse.

In che tempi l'Europa prevede di trovare un'alternativa occupazionale a centinaia di migliaia di persone che inevitabilmente perderanno l'attuale posto di lavoro? A brevissimo, il 28 giugno, il consiglio dei ministri dell'ambiente dell'Ue dovrà stabilire se accettare la proposta del Parlamento o se suggerire modifiche. Entro fine 2022 si dovrà trovare una mediazione tra i punti di vista della Commissione, del Parlamento e dei ministri. "C’è una forte delusione per questa decisione - dice Paolo Scudieri presidente dell’Anfia, l’associazione delle imprese della filiera automotive - anche perché a Strasburgo in realtà non c’è stata una maggioranza netta. A nostro avviso è giusto identificare obiettivi per la decarbonizzazione come ha fatto l’Ue, è un errore invece imporre una unica tecnologia per arrivarci". Anfia stima in circa 450 le imprese più esposte perché operative quasi esclusivamente su produzioni legate ai motori ”tradizionali”. "Parte della filiera italiana soffrirà di questa decisione e la posizione di Anfia è di dare voce alle aziende più in difficoltà. Allo stesso tempo però è importante per noi stimolare le imprese a investire sulle nuove tecnologie per conquistare spazi in un mondo, quello della componentistica auto, in fortissima trasformazione". La mazzata sarebbe rivolta sì all’industria europea dell’auto in generale, ma soprattutto ai componentisti. Si cercherà una soluzione di compromesso.

Nel mondo sindacale la Fim-Cisl è preoccupata: "Ora il Governo deve rendere disponibile per le imprese gli 8 miliardi del fondo dell’automotive e insediare un comitato scientifico che indirizzi le politiche di vantaggio nei settori strategici della mobilità del futuro". La Fiom chiede un confronto urgente tra governo, sindacati e imprese.  Unica nota lieta è la deroga riconosciuta alle aziende che lavorano su volumi limitati, come Ferrari e Lamborghini.

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