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Venerdì, 22 Settembre 2023
Facciamo il punto

Tassa sugli extraprofitti delle banche: chi rischia la beffa e cosa succede adesso

Gli esperti temono che gli istituti di credito possano rivalersi sui clienti. Dopo il tonfo in borsa il ministero dell'Economia addolcisce la pillola e annuncia un tetto al prelievo

Dopo il tonfo in borsa (con quasi 9 miliardi bruciati in poche ore) il governo ha addolcito la pillola precisando martedì sera che la tassa sugli extraprofitti, annunciata a sorpresa dopo il consiglio dei ministri del 7 agosto, avrà un tetto massimo per il contributo che non potrà superare lo 0,1% del totale dell'attivo" degli istituti di credito. Si tratta di una mossa che in teoria depotenzia gli effetti della misura e dovrebbe ridurne anche il gettito che gli esperti avevano stimato in due-tre miliardi di euro. 

Cos'è la tassa sugli extraprofitti

Ma di cosa parliamo? La tassa sugli extraprofitti, per dirla con parole semplici, va a colpire i profitti che il sistema bancario ha iniziato ad accumulare da quando sono iniziati i rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Bce per tenere a bada l'inflazione. Se gli interessi su mutui e prestiti sono cresciuti a dismisura, i tassi riconosciuti alle somme depositate sui conti correnti dai clienti non hanno avuto la stessa impennata. Secondo gli esperti la nuova imposta dovrebbe applicarsi esclusivamente ai profitti del 2023. Nonostante la correzione in corsa e il tetto al prelievo, la misura comporterà comunque un esborso per la maggior parte degli istituti di credito e un gettito per le casse dello Stato. Oltre a rischi per i clienti.

Il tetto dello 0,1%

Ad annunciare il parziale dietrofront, i cui effetti sono ancora da valutare, è stato in serata il ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef). La misura, si legge nella nota, "nasce sulla scia di norme già esistenti in Europa in materia di extra margini bancari". Ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, viene sottolineato, "prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1 % del totale dell'attivo". Nella nota si fa anche notare che "gli istituti bancari che hanno già adeguato i tassi sulla raccolta così come raccomandato lo scorso 15 febbraio con specifica nota da Bankitalia, raccomandazione poi richiamata dal ministro Giorgetti in occasione dell'assembla Abi lo scorso 5 luglio, non avranno impatti significativi come conseguenza della norma approvata ieri in Cdm".

Nella comunicazione a cui si fa cenno, la Banca d'Italia ammoniva gli istituti di credito a non aumentare i costi dei conti correnti per i clienti dal momento che "l'aumento dei tassi di interesse ufficiali avviato lo scorso luglio dalla Banca Centrale Europea" avrebbe avuto "effetti positivi sulla redditività complessiva dei rapporti tra le banche e i loro clienti, potenzialmente in grado di compensare l'aumento dei costi indotto dall'inflazione".

I guadagni extra delle banche

Una raccomandazione che non sempre è stata messa in pratica. Anzi. Come spiega Unimpresa nell'ultimo anno, i tassi sulla raccolta sono rimasti particolarmente contenuti. In particolare i tassi sulla liquidità "parcheggiata sui conti correnti sono saliti di pochi decimali, dallo 0,02% di giugno 2022 allo 0,32% di giugno scorso". Questo denaro che "le banche di fatto acquistano dalla loro clientela a prezzi bassissimi" viene poi venduto "sotto forma di prestiti, sia a imprese sia a famiglie, con un tasso sempre più alto, ormai arrivato a circa il 4,25% medio". Il che, come sarà facile intuire, genera un margine cospicuo su cui il governo intende mettere le mani.

I rischi per i clienti (e non solo) 

Ma c'è un problema. Come ammoniscono molti esperti, le banche potrebbero infatti decidere di scaricare i costi della nuova tassa sulla clientela, ad esempio aumentando le commissioni o il costo dei nuovi prestiti. Come ha spiegato all'Ansa l'economista Andrea Di Stefano, una misura simile era stata già decisa in Spagna lo scorso anno. "Con una differenza che avrà il suo peso" avverte l'economista, "in particolare per i consumatori. Il governo spagnolo aveva inscritto alla base imponibile dell'imposta anche le commissioni", mentre "nella bozza attuale le commissioni non ci sono" e dunque "c'è un rischio oggettivo per i cittadini, clienti, consumatori, che le banche possano rivalersi della perdita di profitti per effetto di questa imposta aumentando le commissioni che sappiamo essere almeno nel sistema bancario italiano una tassa occulta abbastanza importante". Secondo altri esperti, gli istituti bancari hanno a disposizione anche altri modi per compensare le perdite (o i mancati guadagni), ad esempio aumentando il costo dei prestiti alle imprese e dei nuovi mutui. Un'altra possibile conseguenza, ha detto al Corsera Francesco Giavazzi, professore di economia all’Università Bocconi, è che per gli istituti di credito potrebbe diventare meno conveniente investire in titoli di Stato, "la cui domanda scenderà proprio nel momento in cui vengono meno gli acquisti da parte della Bce". 

Chi beneficerà degli introiti

A pagare il conto dunque potrebbero essere soprattutto clienti, imprese e cittadini. Resta da vedere comunque quale sarà il vero impatto della misura dopo il parziale dietrofront annunciato martedì sera dal ministero dell'Economia con il tetto dello 0,1% al prelievo. Il governo dovrà infine chiarire chi beneficerà del gettito. In conferenza stampa il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha detto che "gli introiti andranno a due voci: aiuto per i mutui prima casa sottoscritti in tempi diversi dagli attuali e taglio delle tasse". Ma di quali mutui parliamo? Quelli di chi per gli under 35 con Isee non superiore a 40 mila euro? Oppure, di aiuti generici per chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile ed è in difficoltà con l'aumento delle rate? In quest'ultimo caso si porrebbe un problema etico (e politico): perché aiutare chi ha scelto una soluzione finanziaria più rischiosa (ma conveniente) rispetto al tasso fisso? Tanto più se poi i costi dell'operazione rischiano di ricadere su altri clienti. 

Per gli esperti la tassa eroderà fino al 50% degli utili 

La misura decisa dal governo potrebbe danneggiare maggiormente le banche meno grandi, con impatti sugli utili che per alcune banche potrebbero toccare anche il 50%. Questo il sintesi quanto emerge da diversi report di uffici studi e analisti che stanno calcolando gli effetti sui bilanci degli istituti di credito in attesa di capire la formula definitiva di applicazione di questa tassa.

Gli analisti di Ubs ad esempio ritengono che ipotizzando che il prelievo non sia deducibile dalle imposte, si possa stimare un'erosione degli utili che va dal 10-15% circa per Unicredit e Mediobanca, fino al 45-50% circa per Banca Mediolanum e Bper, con Intesa Sp Fineco Bank e Banca Generali tra il 20-25% e Banco Bpm <35%. Da Jp Mporgan si ritiene che l'impatto sugli utili netti sarebbe del 31% per Intesa San Paolo e Banco Bpm e del 12% per Unicredit. E solo per queste tre banche il conto totale ammonterebbe a 3,5 miliardi di euro. Sono gli analisti di Credem a disegnare un incasso complessivo proveniente dagli istituti registrati a Piazza Affari e secondo le loro proiezioni e considerando appunto esclusivamente il mondo delle banche quotate, il prelievo fiscale totale per il governo sarebbe di circa 4,5 miliardi di euro, pari a circa il 3% della capitalizzazione totale del settore bancario.

Per gli analisti di Mediobanca se la tassa dovesse rimanere così come circolata sugli giornali l'impatto per le banche italiane sarebbe enorme. Sui profitti netti ci sarebbe un -30% per Banco Bpm, -24% per Mps -26% per il Credem e -31% per la popolare di Sondrio. Per Intesa Sp l'impatto sarebbe del 16% e più contenuto ancora per Unciredit: -7%, in grado di reggere meglio con un cet ratio al 16,6%.

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