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Giovedì, 28 Marzo 2024
Le stime

Le multinazionali nel mirino del fisco: per l'Italia "un affare" da quasi tre miliardi all'anno

Secondo uno studio elaborato dal neonato Osservatorio fiscale europeo, l'aliquota globale al 15% sui profitti delle grandi imprese porterebbe oltre 100 miliardi ai Paesi del G7. Solo nel 2021

Quanto vale la tassa sulle multinazionali? Non poco stando ha calcolato il neonato Osservatorio fiscale europeo in uno studio sull'impatto di una potenziale tassa minima comune sui profitti. L'accordo è stato raggiunto ieri dai ministri delle finanze del G7 e prevede che le grandi imprese - non solo quelle del settore tecnologico - debbano essere soggetti a tassazione "in ognuno dei paesi in cui operano" e "non solo dove hanno la loro sede" come specificato in una nota della presidenza britannica del G7. L'aliquota minima sarà pari al 15%. Nel dettaglio il primo pilastro della 'corporate tax' prevede l'applicazione delle nuove regole alle aziende globali con almeno un profitto del 10%: il 20% della quota di profitto superiore al 10% diventerebbe così soggetto a tassazione nei paesi in cui operano. Il secondo pilastro prevede invece il principio di una aliquota minima globale di almeno il 15% imposta paese per paese, "creando - sottolinea Londra - condizioni di parità per le imprese britanniche e abbattendo l'elusione fiscale". 

Chi ci guadagna

Come spiega EuropaToday, lo studio dell' Osservatorio fiscale europeo valuta tre scenari potenziali, anche per rispondere alle critiche che accompagnano sempre le proposte di maggiori tasse sulle mutinazionali, ossia che tali aumenti di imposte farebbero fuggire i capitali (e i posti di lavoro) fuori dal Paese che li applica, a favore di chi invece impone carichi fiscali minori alle grandi imprese. Proprio per questa ragione, da mesi si discute di una "global minimum tax" tra i Paesi che aderiscono all'Ocse. Tale tassa minima sui profitti su scala mondiale è il primo scenario che lo studio prende in considerazione: con una imposta minima mondiale al 21% (la proposta originaria degli Usa all'Ocse), gli Stati Ue incasserebbero nel 2021 circa 98 miliardi (l'Italia 7,6). Con una tassa al 25% si salirebbe 167,8 miliardi per tutta l'Ue (di cui 11 circa per l'Italia). Infine, con una tassa al 30% si arriverebbe alle cifre indicate all'inizio (269,7 per i Paesi Ue nel complesso, e 15,7 per l'Italia). Per il momento, se l'accordo al G7 sarà confermato, la previsione dello studio è di un incasso dei 27 Stati Ue di 48,3 miliardi. Per gli Usa, la tassa comune porterebbe 40,7 miliardi, mentre Canada e Giappone incasserebbero rispettivamente 16 e 6 miliardi. 

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Queste risorse provverrebbero dalla tassazione delle proprie multinazionali: ogni Paese, infatti, applicherebbe l'imposta minima alle grandi aziende e banche che hanno la sede centrale sul suo territorio. L'eventuale corsa all'estero alla ricerca di un fisco più generoso verrebbe vanificata dall'accordo internazionale. Ma i vantaggi per chi applica la tassa minima sui profitti ci sarebbero anche nell'ipotesi in cui ci si muova unilateralmente, stando allo studio. E' l'ipotesi affrontata negli altri due scenari.

Da una parte, i ricercatori hanno provato a vedere cosa succederebbe se l'Ue applicasse una propria tassa minima comune al 25%, senza un accordo a livello internazionale. In questo caso, il bottino per i Paesi Ue aumenterebbe di 30 miliardi (rispetto all'ipotesi di un accordo globale con aliquota al 25%), che sarebbero gli introiti aggiuntivi derivanti dalle imposte in più versate da multinazionali non-Ue come Amazon o Google, per esempio.

Già, perché uno dei primi luoghi comuni che lo studio prova a smontare è quello per cui siano i giganti statunitensi o di altre parti del mondo ad avvantaggiarsi del far west fiscale nell'Ue: "Per l'Unione europea nel suo insieme, si avrebbe un introito potenziale molto più alto dall'aumento delle tasse sulle società dell'Ue che dalla tassazione delle società non Ue - si legge nello studio - Se vuole generare risorse significative, ad esempio per pagare il costo della pandemia di Covid-19, è quindi essenziale che l'Unione europea si concentri sulle proprie multinazionali". 

Quanto pagherebbero Eni e Unicredit

Chi sono? Lo studio fa alcuni nomi e cognomi. Per esempio, con una imposta al 15% il gigante petrolifero olandese Shell pagherebbe 1,3 miliardi di tasse sui suoi profitti. Il big tedesco delle assicurazioni Allianz verserebbe all'erario di Berlino 286 milioni di euro. E anche l'Italia potrebbe contare sui propri colossi nazionali: da Intesa Sanpaolo, lo studio calcola introiti per 40,1 milioni di euro, mentre altri 72 milioni arriverebbero dai profitti di Unicredit. Anche i big dell'energia tricolore darebbero il loro contributo: l'Enel con 57 milioni, l'Eni con 63.

Queste cifre, sempre secondo lo studio, dimostrerebbero non solo che l'Ue potrebbe muoversi da sola nel cercare di far pagare quella che in molti definiscono la giusta quota di tasse a multinazionali e banche. Ma anche che i singoli Stati europei potrebbero imporre un aumento delle imposte nazionali sui profitti avendo più vantaggi, che perdite. Secondo lo studio, infatti, se un Paese Ue agisse come "first mover" potrebbe collezionare fino al 70% di tasse in più sui profitti delle multinazionali di casa e di quelle estere. I ricercatori suggeriscono che sarebbe meglio se questa azione fosse coordinata anche con un gruppetto di Stati membri, in assenza di intesa a livello Ue. Muoversi per primi, stando alla tesi adottata dallo studio, non porterebbe a fughe di capitali, ma anzi innescherebbe una "corsa al rialzo" negli altri Paesi, europei e non. "La nostra analisi suggerisce che rifiutare il coordinamento internazionale non è una posizione sostenibile" nel lungo termine, si legge nel testo. Se la tesi dell'Osservatorio fiscale europeo fosse confermata, l'Italia potrebbe guadagnare circa 14 miliardi nel 2021 con una tassa sui profitti del 25%.

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