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Giovedì, 18 Aprile 2024
Economia

“Noi, cancellati con una 'X' rossa”: la rabbia dei lavoratori Whirlpool

Alla vigilia del nuovo incontro al Mise abbiamo intervistato uno dei 420 dipendenti dello stabilimento di Napoli a rischio chiusura: ''Ci siamo sentiti presi in giro, temiamo che non rispettino le promesse fatte”

Nuova 'puntata' per il caso Whirlpool. A quasi due settimane dall'incontro con Luigi Di Maio al Ministero dello Sviluppo economico, martedì 25 giugno il Mise sarà ancora teatro dell'incontro tra i vertici della multinazionale, i rappresentanti sindacali e il Governo. Sul tavolo c'è sempre il destino dello stabilimento di Napoli e dei suoi 420 dipendenti, che ormai da mesi vivono nell'incubo di ritrovarsi senza lavoro. Un timore divenuto più grande soprattutto dopo l'incontro dello scorso 12 giugno, quando   Whirlpool si era presentata al tavolo senza un piano concreto per risolvere la situazione. Un 'comportamento che non fa ben sperare i lavoratori dello stabilimento napoletano, come confermato a Today da Vincenzo Accurso, che oltre ad essere uno dei lavoratori Whirlpool di Napoli, è anche un rappresentante sindacale: "All'ultimo tavolo abbiamo chiesto di confermare tre pilastri presenti nel vecchio accordo: il rispetto del piano, il mantenimento della proprietà e della produzione a Napoli. Noi speriamo che questi obiettivi vengano confermati, ma temiamo che Whirlpool venga meno alle promesse fatte. L'azienda, oltre ad aver tentato in varie occasioni di far saltare il tavolo, è arrivato al Mise senza una soluzione, ribadendo di non volere investire più su Napoli. Ci siamo sentiti presi in giro, sia noi che il Governo".

Whirlpool, il dramma della chiusura

Ma come si è arrivati a questo punto? Nei mesi scorsi i dipendenti avevano notato qualcosa di strano ma, come racconta Accurso, la notizia della chiusura è stata come un fulmine a ciel sereno: "E' stata improvvisa, ci ha colti tutti di sorpresa. Tutto è iniziato quando, dopo aver individuato alcune problematiche, abbiamo iniziato a chiedere degli incontri, sia interni che esterni, per cercare di risolvere queste questioni. Abbiamo anche chiesto un tavolo territoriale, ma soltanto dopo varie pressioni siamo riusciti ad ottenere un incontro senza rappresentanti del Governo".

"In quella riunione l'azienda ci ha mostrato quali erano i piani per i vari siti – continua il lavoratore della Whirlpool - quando è arrivato il momento di Napoli è comparsa una slide con una grande 'X' rossa, che rappresentava l'intenzione dell'azienda di chiudere".

Whirlpool, gli operai bloccano l'autostrada

Un duro colpo per i dipendenti napoletani, che già non se la stavano passando troppo bene: “Venivamo da 7 anni di solidarietà a causa delle problematiche nate dopo la fusione tra Indesit e Whirlpool. Il precedente accordo avrebbe dovuto rilanciare lo stabilimento e il nostro lavoro, invece a sei mesi da quella firma ci è stato detto che il sito sarebbe stato chiuso”. “Inutile dire quanta rabbia abbiamo provato – continua Vincenzo Accurso – siamo stati colti dalla tristezza e dallo sconforto, non capivamo quali fossero i problemi. Tornare dai colleghi e dare questa notizia è stato un dramma, un'agonia”.

Whirlpool, i motivi della chiusura

Ma allora quali sono i motivi per cui Whirlpool ha deciso di chiudere lo stabilimento di Napoli? Secondo l'azienda, alla base di questa decisione c'è un calo del mercato e gli investimenti senza margine. 'Scuse' che secondo il rappresentante sindacale dei dipendenti di Napoli sono tutt'altro che plausibili: “Il sito è produttivo e ad altri livelli. Siamo stati 800 giorni senza infortuni, abbiamo un assenteismo pari a zero ed elevati standard: nel 2012 siamo anche stati premiati come il miglior sito Whirlpool al mondo”.

La protesta degli operai Whirlpool (FOTO ANSA)

Ma allora, se lo stabilimento di Napoli è produttivo, per quale motivo la Whirlpool vuole chiudere? Secondo Accurso si tratta di una strategia ben precisa: “Dicono che non riescono a recuperare le perdite, ma senza investimenti è impossibile effettuare un rilancio. Secondo me è tutta una strategia per chiudere in Italia e spostare tutto all'estero, un destino toccato già a molte altre aziende. Purtroppo esistono Paesi in Europa con maggiori sgravi fiscali e leggi differenti, che li rendono più appetibili per le società, che decidono di spostarsi per spendere meno. Hanno iniziato dallo stabilimento più grande, così una volta chiuso quello, sarà più semplice fare lo stesso con gli altri”.  

Whirlpool, la situazione attuale: stipendi ridotti, trasferimenti e operai senza lavoro

Intanto lo stabilimento continua ad essere operativo, anche se a ritmo ridotto, così come sono ridotti gli stipendi dei lavoratori: “Stiamo lavorando per 10-11 giorni al mese in solidarietà – conferma Accurso – per un massimo di 18 ore settimanali. Ma nel frattempo la nostra battaglia continua: abbiamo organizzato scioperi e cerchiamo ogni escamotage per cercare di impedire all'azienda di andare via. Purtroppo il lavoro è sempre meno, con le buste paga che sono più bassi in media di circa 500-600 euro rispetto a come dovrebbe essere lo stipendio pieno”.

Una notte con gli operai della Whirlpool: "Ci hanno tolto tutto in un secondo"

I dipendenti continuano a lottare, anche se alcuni hanno scelto strade diverse: ''Alcuni colleghi hanno chiesto il trasferimento allo stabilimento Whirlpool di Varese, abbandonando la propria casa e spostando famiglie intere, tra enormi sacrifici. Ma c'è anche a chi è andata molto peggio – conclude Accurso – Proprio a causa di questa situazione molti dipendenti avevano contratto debiti, così quando l'azienda ha proposto degli incentivi per uscire, alcuni di loro ne hanno approfittato per risanare queste situazioni debitorie. Purtroppo molti di loro sono ancora senza lavoro e non riescono a trovarlo”.

Domani alle ore 14 lavoratori, sindacati e rappresentanti dell'azienda si incontreranno al Mise, mentre circa 300 lavoratori arriveranno con 5-6 pullman da Napoli per mettere in atto un presidio davanti al ministero. La speranza di tutti è che la Whirlpool rispetti la parola data e mantenga la produzione a Napoli, altrimenti si corre il rischio di creare un pericoloso precedente che potrebbe facilitare la fuga dall'Italia di altre aziende. 

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