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Martedì, 23 Aprile 2024
La partita / Ucraina

Perché la Russia non ha ancora invaso l'Ucraina (e forse non lo farà)

Espansione della Nato e gas naturale sono gli elementi chiave di una delicata partita a Risiko

L’attuale scenario di crisi in Ucraina è estremamente complesso e un’eventuale soluzione non è ancora in vista. Ma al netto di tutti i suoi vari aspetti, sono almeno due i punti fondamentali intorno a cui tutto ruota. Da un lato ci sono le preoccupazioni di Mosca sulla sicurezza, su cui difficilmente l’Occidente potrà concedere molto senza compromettere la propria, di sicurezza. Dall’altro, c’è la questione del gas naturale russo, fondamentale tanto per l’Europa quanto per la Russia. S’incrociano così argomenti strategici, economici e geopolitici piuttosto ramificati. Proviamo allora a districarci in questa delicata partita di Risiko, dove si ha l’impressione che i motivi per cui la tensione è così alta siano proprio gli stessi per cui è difficile che deflagri in un conflitto aperto.

I desiderata di Mosca

Il presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente chiesto all’Occidente delle garanzie scritte che la Nato (l’Alleanza nordatlantica di mutua difesa) non si espanderà ulteriormente ad est, avvicinandosi alla Russia. Per comprendere fino in fondo questa richiesta, occorre fare un salto indietro di oltre 30 anni. Putin sta ripetendo la tesi, per niente nuova, del tradimento da parte della Nato delle promesse che avrebbe fatto all’Unione sovietica (Urss).

Il riferimento è agli incontri tra l’allora segretario di Stato di George H. W. Bush, James A. Baker III, e il leader sovietico Mikhail Gorbachev, in quelli che sarebbero stati gli ultimi atti della Guerra fredda, quando il primo avrebbe garantito al secondo che l’Alleanza non sarebbe arrivata in Europa orientale. L’allargamento della Nato sarebbe dunque la causa principale dell’attuale crisi in Ucraina, con la Russia minacciata sempre più da vicino dall’Occidente.

Tuttavia, questo sarebbe un resoconto selettivo e non del tutto accurato. Gorbachev e Baker si incontrarono, sì, ma “solo” per discutere del futuro della Germania riunificata, non di questioni strategiche più ampie. Né avrebbero potuto farlo, dato che in quel momento nessuno avrebbe immaginato il rivolgimento epocale che stava per avvenire.

Il capo della diplomazia statunitense rassicurò dunque il futuro premio Nobel per la pace che la Nato non si sarebbe espansa oltre i confini di una Germania unita. Sia gli Usa che la Germania Ovest ribadirono, nei primi mesi del 1990, che l’Alleanza non si sarebbe spinta sul territorio sovietico. All’epoca, infatti, oltre la Germania c’era ancora l’Urss con i suoi Stati satelliti.

Espandere l’Alleanza

Washington voleva ancorare saldamente Berlino all’Alleanza, e potè farlo senza incontrare l’opposizione di Mosca. Quando nel settembre 1990 la Germania Est e la Germania Ovest concordarono con le quattro potenze occupanti (Stati Uniti, Urss, Francia e Regno Unito) i termini della riunificazione tedesca, fu previsto che le forze armate sovietiche si sarebbero ritirate entro il 1994 dalla Germania, dove sarebbero quindi giunte le truppe Nato.

Ma il contesto internazionale stava per cambiare radicalmente. L’Urss sarebbe collassata nel dicembre 1991, ponendo fine alla Guerra fredda. Ma la Nato rimase in piedi, allargandosi a diversi Paesi dell’area ex-sovietica: nel 1999 ci fu l’ingresso di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, mentre nel 2004 fu il turno di Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia, Estonia, Lettonia e Lituania.

Nella retorica russa, si consumò così il tradimento degli americani, che avrebbero cominciato a “stringere la morsa” intorno a Mosca. Tuttavia, come spiegato da Amélie Zima del Thucydide Centre di Parigi, “non possiamo parlare di tradimento, perché stava per accadere una catena di eventi che avrebbe riorganizzato la configurazione della sicurezza in Europa”. E nemmeno è facile pretendere il rispetto di un accordo mai fissato nero su bianco. Ecco perché Putin stavolta vuole garanzie scritte.

Kiev tra Nato e Russia

In realtà, un accordo che riguarda l’Ucraina, firmato e controfirmato, c’è eccome, e a violarlo è stata proprio Mosca. Nel dicembre 1994 la Russia siglò con Stati Uniti e Regno Unito il cosiddetto memorandum di Budapest, in cui la neonata Ucraina rinunciò al suo arsenale nucleare di era sovietica in cambio del rispetto da parte dei firmatari della sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale, nonché dell’astensione dall’uso della forza (o la sua minaccia).

L’annessione unilaterale della Crimea del marzo 2014 e l’appoggio ai separatisti nelle province orientali di Donetsk e Lugansk contravvengono in maniera evidente gli impegni presi dalla Russia vent’anni prima, così come ammassare centinaia di migliaia di militari al confine ucraino costituisce una minaccia dell’uso della forza.

Ora, secondo diversi analisti, quella perseguita da Putin in Ucraina negli ultimi 8 anni è una strategia volta ad impedire l’ingresso di Kiev nella Nato. Creare l’ennesimo “conflitto congelato” nel Paese ex-sovietico concede infatti a Mosca di fermare di fatto l’avanzata dell’Alleanza, poiché quest’ultima non accetta Stati con dispute territoriali in corso. Ma questo obiettivo è già stato raggiunto, non serve un’invasione militare.

Il nodo del Nord Stream 2 

In effetti, un attacco diretto converrebbe poco anche alla Russia. Il motivo è quella che viene normalmente considerata un’arma nelle mani di Mosca ma che assomiglia in effetti a una spada a doppio taglio: il gas. Circa il 60% dei proventi del gas russo vengono dall’Ue, che a sua volta importa dal suo ingombrante vicino circa il 44% del gas che utilizza. Degli idrocarburi di Gazprom (il colosso energetico russo), il 78% finisce tra Europa occidentale e Turchia: per farsi un’idea, la sola Germania compra quasi 46 miliardi di metri cubi l’anno, contro gli appena 39 dell’Europa centro-orientale. Non è dunque facile prevedere quale delle due parti perderebbe di più da un’eventuale escalation delle tensioni in Ucraina.

Il pomo della discordia è il famigerato Nord Stream 2: un gasdotto che corre per 1230 km sotto il Mar Baltico e collega direttamente Russia e Germania, parallelamente al Nord Stream (di cui raddoppierebbe la portata, portandola a 110 miliardi di metri cubi l’anno) e non ancora entrato in funzione. Un serpente d’acciaio che insinua divisioni tanto nell’Ue quanto tra le due sponde dell’Atlantico. Washington ripete che eventuali sanzioni a Mosca includerebbero il blocco del Nord Stream 2, ma Berlino ha appoggiato tiepidamente questa linea e sono almeno una decina i Paesi Ue che dipendono dal gas russo (alcuni per oltre il 75% del loro fabbisogno energetico).

La geopolitica dei gasdotti

Al progetto si oppone tra gli altri anche l’Ucraina, che incassa 1 miliardo di dollari l’anno dai diritti di transito dei gasdotti russi che l’attraversano per arrivare in Europa e paventa come un incubo strategico l’entrata in funzione del Nord Stream 2. Finché questo resterà in naftalina, infatti, Kiev avrà in mano una potente arma geopolitica poiché il suo territorio è la giugulare di tutti gli scambi energetici russo-europei (attualmente vi transita circa metà di tutto il gas siberiano diretto nel Vecchio continente).

Lo sa bene Putin, che non a caso vuole far entrare in funzione il Nord Stream 2 quanto prima proprio per aggirare l’Ucraina. Ma finché il gasdotto del Baltico rimane bloccato, un attacco militare all’ex-repubblica sovietica significherebbe per lo zar tirarsi la zappa sui piedi da solo, indebolendo l’economia russa che dipende per circa il 36% dall’export di idrocarburi.

Per questo è così difficile capire se la Russia potrebbe chiudere realmente i rubinetti non solo all'Ucraina, ma anche al resto d'Europa, come paventato in queste settimane. Certo, Mosca sta allargando il suo mercato in Asia (ha da poco concluso una fornitura trentennale con la Cina), ma è improbabile che rinunci completamente ai clienti europei. Potrebbe addirittura risultare controproducente, perché perderebbe una leva di pressione fondamentale in Europa. Tramite la fornitura del suo gas, il Cremlino può infatti continuare ad alimentare divisioni all’interno dell’Ue, mantenendo al contempo alcuni Paesi su posizioni più morbide nei propri confronti.

Difficile poi pensare che Putin non sappia del rischio che, con una invasione in Ucraina, anche la Germania si troverebbe costretta a rinunciare al Nord Stream 2 e a prendere le distanze da Mosca in modo decisamente più netto di quanto fatto finora. In altre parole, il Cremlino avrebbe troppo da perdere se decidesse di far avanzare le due truppe al di là del confine ucraino.

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