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Venerdì, 29 Marzo 2024

Perché l'Italia non potrà ridurre le bollette senza l'Europa (e la Germania)

Nel tardo pomeriggio di giovedì, poco dopo che la Germania ha annunciato un piano da 200 miliardi di euro per ridurre i costi delle bollette dei tedeschi, Matteo Salvini ha twittato: "Urge intervenire anche in Italia, altrimenti le nostre aziende non potranno più competere e lavorare''. Proposta condivisibile, in linea generale, quella del leader della Lega. Ma il problema che si pone è se il nostro Paese abbia o meno le possibilità di seguire l'esempio di Berlino affidandosi alle sole proprie forze. La risposta, putroppo, è negativa.

Nessuno lo dice con chiarezza nel panorama politico italiano, ma basta leggere tra le righe delle dichiarazioni di altri esponenti del centrodestra, di quelli dell'opposizione, fino ad arrivare a Mario Draghi, per capire che la convinzione unanime nel Belpaese è che senza un accordo in Europa il nostro eventuale "bazooka" per aiutare famiglie e imprese è a corto di munizioni. E che le mosse della Germania stanno rischiando di complicare la risposta all'inflazione e ai ricari energetici, in Italia come in altre parti del blocco.

Price cap a 'forbice' sul gas e legato a nuovi indicatori, il possibile compromesso Ue

Non è tanto e solo il maxi piano tedesco per calmierare le bollette dei suoi cittadini a preoccupare, ma anche e soprattutto il muro che Berlino ha posto a Bruxelles contro la richiesta avanzata da 15 Stati membri di fissare un tetto al prezzo del gas su scala Ue. Le due azioni del governo di Olaf Scholz si legano, e combinate stanno avendo l'effetto di sollevare veementi proteste a Bruxelles e di mettere in imbarazzo la Commissione europea. Ma andiamo per ordine.

La coperta è corta

Secondo i dati raccolti dal think tank Bruegel, l'Italia ha speso finora 59,2 miliardi di euro in sussidi per far fronte ai rincari energetici, una spesa che equivale a circa il 3,3% del nostro Pil. In termini assoluti, Germania e Francia hanno sborsato decisamente di più, ma guardando al rapporto tra aiuti e Pil, nell'Ue solo Grecia e Croazia hanno fatto più sforzi. In altre parole, tra i grandi Paesi Ue, siamo quelli che hanno svuotato di più le casse pubbliche per contenere la crisi energetica.

Per avere un quadro più chiaro della situazione si può fare affidamento sui dati Eurostat sugli ultimi saldi di bilancio degli Stati membri: nel primo trimestre del 2022, la Germania aveva 52 miliardi di euro di margine in positivo tra spese e uscite. Nei Paesi Bassi il saldo positivo ammontava a 20 miliardi, in Svezia a 5 miliardi. Nel resto dell'Ue i saldi sono per lo più negativi: la Francia aveva un buco di 10 miliardi, la Grecia di 6,5 e la Spagna di 3,6. In Italia, il margine negativo di bilancio era di 6,4 miliardi. Se si guarda al Pil, abbiamo iniziato l'anno accumulando già un deficit dell'1,5%. Berlino, invece, aveva ancora un buon 5,7% del Pil da utilizzare, Amsterdam addirittura il 9%.

La coperta italiana, dunque, è corta. È vero che anche big come Francia e Spagna hanno lo stesso problema nell'immediato, ma a differenza di Parigi e Madrid da noi c'è un fattore di rischio chiamato debito pubblico che è molto più alto. Il che limita ancora di più i nostri margini di manovra, come vedremo in seguito. Cosa fare dunque? Le strade sono due: o "difendere" famiglie e imprese dal caro bollette frenando l'effetto a cascata dei prezzi del gas, o trovare risorse fresche (e non poche) per aiutare i consumatori. Vediamo la prima strada.

Il tetto "iberico"

Come ormai è noto, dal prezzo del gas sul mercato europeo dipende il costo delle altre fonti di energia, e in ultima istanza, quello delle nostre bollette. Da qui la proposta di un price cap che aleggia da mesi a Bruxelles senza essersi ancora concretizzata. Per essere più precisi, ci sono due modi in cui si può fissare il tetto. Uno è il cosiddetto "modello iberico", chiamato così perché attuato da Spagna e Portogallo: questo modello non pone un tetto al gas che viene acquistato dai fornitori esteri (per esempio dalla Russia), ma alle centrali elettriche a gas spagnole e portoghesi. Tali centrali acquistano il gas (per esempio) da Gazprom a 10 euro, e rivendono energia elettrica al mercato interno come se il gas fosse costato loro 5 euro. In questo modo, si genera un effetto a catena che livella al ribasso le bollette dei consumatori finali. Le perdite delle centrali vengono compensate dallo Stato. 

Ora, in Spagna questo schema dovrebbe costare alle casse pubbliche circa 6,3 miliardi di euro nel giro di un anno, e secondo le stime di Madrid sta abbassando in media del 10-15% le bollette. La Germania sta adottando lo stesso modello, ma ha messo sul piatto 200 miliardi: si presume che con questa potenza di fuoco, l'effetto anti rincari sarà più alto. Perché l'Italia non ha ancora seguito questo esempio?

Di sicuro, c'è un limite dettato dalle regole Ue: questo tipo di intervento configura un aiuto di Stato che potrebbe mettere a rischio il funzionamento del mercato interno europeo. Ecco perché la Spagna e il Portogallo, prima di fissare il price cap, hanno dovuto ottenere un'apposita deroga da Bruxelles, arrivata dopo un'accurata valutazione e sulla scorta della particolare situazione della rete elettrica della penisola iberica, più isolata rispetto agli altri Paesi Ue. Al momento, la Commissione europea ha fatto capire che nel caso di Berlino spetterà agli altri Stati chiedere di far scattare un'eventuale indagine. Si vedrà.

L'altro price cap 

Tornando all'Italia, l'altro motivo per cui il nostro governo non ha ancora fissato un price cap sul modello iberico è che per finanziarlo servono risorse, che potrebbero essere notevolmente più alte di quelle investite dalla Spagna. Meglio, semmai, agire direttamente in blocco sui fornitori primari attuando un tetto al prezzo direttamente sul gas aquistato dall'estero (o dai pochi produttori interni), secondo quanto chiesto all'Ue da un gruppo di 15 Paesi tra cui Italia, Spagna e Francia.

La risposta della Commissione, però, è stata fredda: secondo i tecnici di Bruxelles, imporre un tale price cap comporterebbe una serie di problemi di gestione (servirebbe per esempio un'autorità nuova dell'Ue che si occupi di redistribuire il gas tra gli Stati membri, facendo scattare potenziali frizioni tra i governi), ma anche il rischio che i produttori esteri riducano i loro flussi di gas verso l'Europa (in particolare quelli del gnl) per girare gli stock altrove. La posizione dei tecnici Ue è stata condivisa da Germania e Olanda, che di fatto hanno bloccato la proposta. Un grafico di Politico ha messo a confronto fautori e contrari di questo tetto, evidenziando come gli oppositori siano quasi tutti i Paesi con i più ampi margini di bilancio. Dall'altro lato, invece, quelli che per il 2022 già registrano deficit.

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Per raggiungere un compromesso, Bruxelles ha proposto di intavolare trattative con fornitori selezionati (per esempio Norvegia o Usa) e negoziare acquisti congiunti di gas a livello Ue a prezzi scontati. "La cosa più importante che dobbiamo fare è sederci a un tavolo con la Norvegia e gli altri fornitori tramite gasdotto che ci forniscono il 60% del gas" per mettere in evidenza "che il gas costava 20 euro a megawattora e ora in alcuni giorni costa 250 euro. Penso ci sia una via di mezzo", ha detto il ministro dell'Energia del Lussemburgo, Claude Turmes. Come fatto notare da diversi osservatori, però, anche questa misura richiederebbe un'autorità centrale ad hoc per resistribuire le scorte in modo equo (o universalmente accettata dai vari governi). Ma l'opzione degli acquisti congiunti, rispetto al price cap, piace di più alla Germania. 

Infine, sempre per restare sulle misure per ridurre i prezzi, la Commissione sta lavorando a una riforma del mercato dell'elettricità, per evitare le speculazioni a cui si sta assistendo alla borsa di Amsterdam, da cui dipende il prezzo del gas europeo. Una riforma del genere, però, richiederà tempo.

Extraprofitti e Recovery bis

Nell'attesa di capire cosa succederà in Europa nei prossimi giorni, il governo italiano si trova a dover fare i conti con le pressioni crescenti delle imprese e con le previsioni dell'Arera, secondo cui sono in arrivo "prezzi mai visti prima" per le bollette. Come abbiamo visto in precedenza, la coperta è corta, e lo sarà sempre di più. Se non si agirà sui prezzi alla fonte, bisognerà farlo a valle, con ulteriori e ingenti esborsi. Il tutto mentre le mosse anti-inflazionistiche della Banca centrale europea, ossia il rialzo dei tassi di interesse, potrebbero comportare effetti pesanti sulla stabilità finanziaria dell'Italia, aumentando lo spread dei titoli di Stato. Come fare nuovo debito pubblico in queste condizioni? 

Ecco perché si ritorna a Bruxelles. Per fare cassa, la Commissione ha proposto l'introduzione di una sorta di tassa sugli extraprofitti delle compagnie energertiche, ma secondo diversi osservatori, questa tassa potrebbe non portare le risorse immaginate dall'esecutivo Ue (141 miliardi di euro su scala europea), e inoltre aiuterebbe i vari Stati in modo iniquo, cosa che condurrebbe alla necessità di redistribuire gli incassi tra i Paesi. Diversi esponenti politici italiani, poi, continuano a chiedere una sorta di Recovery fund bis, ma come è facile immaginare i frugali hanno già fatto capire che si metterebbero di mezzo. 

La solidarietà

In sostanza, che si agisca sui prezzi di chi ci vende il gas, o che si fissi un price cap interno come quello spagnolo, o ancora che si trovi qualche forma di fondo comune per aiutare i consumatori, la solfa è sempre la stessa: l'Italia ha la coperta corta, e deve trovare un'intesa in Europa, e con l'Europa. A partire dalla Germania. "Non possiamo dividerci in base al nostro margine di manovra fiscale, abbiamo bisogno di solidarietà", ha detto Draghi a proposito della manovra di Berlino da 200 miliardi. "Nessuno Stato membro dell'Ue può offrire soluzioni efficaci a lungo termine andando da solo se ci manca una strategia comune", ha avvertito il premier. 

Come durante il Covid-19, torna dunque in auge la parola solidarietà. A dirla tutta, dinanzi alla crisi energetica e alle minacce della Russia, i primi a tirare fuori questa parola sono stati stavolta i tedeschi. Lo hanno fatto quando hanno chiesto a diversi Stati, tra cui l'Italia stessa, di concludere accordi di mutuo soccorso in caso di interruzione delle forniture di gas. Ma la risposta di Roma e degli altri governi non è ancora arrivata. Lo hanno fatto ancora quando hanno proposto di costruire un gasdotto con la Spagna per ricevere parte dei notevoli carichi di gnl che sbarcano sulle coste iberiche. Ma la Francia si è messa di mezzo, e per ora di nuovi gasdotti non se ne parla. 

"O c'è una compattezza dei Paesi (europei, ndr) e si affrontano insieme i problemi aiutandosi reciprocamente, oppure l'alternativa è che l'Europa scoppi", ha detto in queste ore il leghista Massimiliano Fedriga. Parole condivisibili. Ma è forse sulla reciprocità che qualcosa, nell'Ue, si è rotto. E non da ora. 

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