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Martedì, 23 Aprile 2024
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Perché il caso Ita potrebbe fare scuola nell'Ue, nel bene e nel male

Il fallimento di Alitalia non è una novità nel panorama europeo, ma il trend finora è stato il passaggio dallo Stato al privato. La pandemia potrebbe avere cambiato il corso

Il fallimento di una compagnia di bandiera nell'Unione europea non è una novità. Ma il tentativo di far rinascere la privata Alitalia attraverso la pubblica Ita potrebbe rappresentare un caso in qualche modo nuovo per i cieli europei. Un caso che, a seconda degli esiti futuri, potrebbe fare scuola. 

Da vent'anni a questa parte, infatti, ossia dal primo collasso di una grande compagnia di bandiera del blocco, la belga Sabena, lo Stato imprenditore non ha funzionato benissimo, e il trend, sostenuto dalle pressioni antitrust della Commissione europea, è stato quello di risolvere le turbolenze aziendali con le privatizzazioni (la stessa Alitalia ne sa qualcosa). Anche le privatizzazioni, però, non è che abbiano fatto faville. Ed ecco che, complice la pandemia, proprio in questi mesi è tornata di moda non la mano invisibile del mercato, ma quella visibilissima dei governi centrali, in particolare le mani di Berlino e Parigi, che hanno ripreso o allargato la loro partecipazione nell'azionariato delle rispettive compagnie di bandiera, la Lufthansa e AirFrance. 

Ita, in tutto questo, sembra quasi lo spartiacque con i trend Ue degli ultimi decenni. Sembra, perché molto dipenderà da cosa succederà in futuro. Nessuno ha la palla di vetro, chiaramente, e quindi potrebbe essere utile ricordare due casi, quello della già citata Sabena e quello dell'ex compagnia di bandiera greca Olympic Airlines.     

Il caso belga

Quello di Sabena ha alcuni punti di contatto con il caso Alitalia. Nata nel 1923, la compagnia belga fallì nel 2001, lasciando per strada oltre 10mila impiegati. Sebena era di proprietà dello Stato per il 50,5 per cento e per il resto apparteneva alla svizzera Swissair, che era entrata nell'azionariato promettendo un piano di rilancio. Ma dopo la crisi del settore seguita agli attentati dell'11 settembre, Swissair fallì (per essere poi ricostituita nel 2012 come Swiss), e così con una reazione a catena anche Sabena fu costretta a dichiarare il fallimento. Il governo belga non era più disposto a svenarsi per mantenere la sua compagnia di bandiera, e la Commissione europea, all'epoca guidata dall'ex premier italiano Romano Prodi, non avrebbe comunque accettato ulteriori aiuti di Stato. 

E così, dalle ceneri di Sabena fu creata prima la SN Brussels Airlines, che divenne subito privata, e poi in seguito alla fusione con la Virgin di Richard Branson nel 2006 nacque la Brussels Airlines. Il destino della compagnia però era destinato a restare turbolento e così con l'intento di sistemare le cose due anni dopo fu la tedesca Lufthansa ad acquistare una partecipazione del 45 per cento, in cambio dell'adesione alla Star Alliance. I tedeschi poi nel 2016 hanno preso il controllo totale della compagnia. Oggi, Brussels Airlines ha un organico di circa 4mila unità. I suoi conti, già prima della pandemia, non erano dei più rosei, e con la pandemia l'azienda ha rischiato di dover tagliare mille posti di lavoro. 

A evitare il peggio è intervenuto lo Stato, anzi "gli" Stati: già perché, come vedremo avanti, prima Berlino ha garantito un maxi prestito a Lufthansa, entrandone nell'azionariato con un quinto delle quote, salvando la sua compagnia di bandiera. La quale a sua volta ha battuto cassa a Bruxelles ottenendo un prestito dal governo belga in cambio del mantenimento dell'organico di Brussels Airlines. Stando alle voci che girano nella Capitale del Belgio e dell'Ue, le acque per Brussels Airlines restano agitate e il futuro è incerto. L'atteggiamento dei vertici di Lufthansa ha infastidito non poco l'orgoglio belga, come quando nel 2019 i tedeschi stavano pianificando una sorta di trasformazione in compagnia low cost di Brussels Airlines integrandola in Eurowings. Ecco perché a Bruxelles c'è chi pensa al ritorno dello Stato nei cieli. Un po' come Ita.

Il caso greco   

Un altro caso recente di fallimento di un grande compagnia aerea pubblica è quello della Olympic Airlines, precedentemente nota come Olympic Airways. Nata il 6 aprile del 1957 grazie ad Aristotele Onassis, l'azienda diventa pubblica nel 1975. L'avventura dello Stato greco nei cieli dura poco più di un quarto di secolo: nel dicembre del 2003 la Olympic Airways e le compagnie aeree sussidiarie Olympic Aviation e Macedonian Airlines si uniscono per diventare un'unica compagnia aerea greca di bandiera: la Olympic Airlines. Ma dopo circa sei anni di servizio e almeno due miliardi di perdite la Olympic Airlines cessa ogni operazione il 30 settembre 2009. A fine 2013 l'Antitrust Ue autorizza la cessione ad Aegean Airlines, posseduta da privati greci. Prima della pandemia, Aegean Airlines versava in buone condizioni economiche, con ricavi e passeggeri in aumento. Non è più pubblica, ma è restata in mani "greche", anche se private.

Il ritorno dello Stato

I processi di privatizzazione in Belgio e Grecia hanno avuto opposti esiti, come abbiamo visto. E la pandemia, come dicevamo all'inizio, potrebbe aver cambiato il trend. In questo anno e mezzo di crisi Covid, sono stati oltre 25 miliardi di aiuti statali versati dai diversi governi del blocco e su cui Bruxelles ha chiuso più di un occhio. La parte da leone l'hanno fatta Germania e Francia, con Lufhtansa e AirFrance

Lufhtansa

Lo scorso anno, per far fronte alle pesanti ripercussioni dovute alla pandemia di coronavirus, la tedesca Lufthansa ha approvato un piano di salvataggio da 9 miliardi di euro finanziato in parte da Berlino. La Germania ha contribuito con 6 miliardi di euro alla ricapitalizzazione di Deutsche Lufthansa (Dlh), società madre di Lufthansa Group, a cui ha aggiunto una garanzia pubblica su 3 miliardi di prestiti concessi alla stessa azienda come aiuto singolo. Il governo di Angela Merkel ha avuto in cambio una quota azionaria pari a circa il 20 per cento, ottenendo una cosiddetta “partecipazione silenziosa”, impegnandosi cioè a non interferire con le scelte aziendali. Ma Berlino non aveva alcuna intenzione di tornare indietro rispetto alla privatizzazione dell'azienda avvenuta ormai 20 anni fa, e così il fondo di stabilizzazione economica dello Stato tedesco, il Wsf, utilizzato per l'operazione, si è impegnato a vendere le azioni fino a quando non rimarrà con il controllo di solo il cinque per cento di esse entro quest'anno, e puntando a uscire totalmente entro la fine del 2023. Alcune condizioni sono state però concordate, come ad esempio la rinuncia a futuri pagamenti di dividendi e le restrizioni alla remunerazione della direzione.

Air France-Klm

Per salvare Air France-Klm, ad aprile Parigi ha invece messo in campo un piano da sette miliardi. Quattro miliardi sono arrivati sotto forma di aiuti di Stato per aiutare la liquidità del gruppo in difficoltà, che si sono aggiunti ai tre miliardi di prestiti che erano già stati concessi e che però, secondo quanto concordato con la Commissione europea, sono stati convertiti in uno strumento di capitale ibrido. Le quote pubbliche sono arrivate a una cifra leggermente inferiore al 30 per cento, dal precedente 14,9. In cambio la compagnia ha dovuto però cedere 18 slot dell’aeroporto di Parigi Orly, dove prima possedeva poco meno della metà dei diritti orari di decollo e atterraggio. Inoltre l'azienda ha accettato di non pagare i dividendi, le cedole non obbligatorie, acquistare azioni e pagare bonus al management fino a ricapitalizzazione ultimata. Diverso discorso per il ramo olandese della compagnia, la Klm. Anche Amsterdam aveva concesso un piano di aiuti da 3,4 miliardi sotto forma di garanzie e prestiti, che lo scorso anno aveva ottenuto il via libera dell'antitrust comunitaria. Ma in seguito a un ricorso di Ryanair, il Tribunale dell'Ue ha sospeso l'erogazione degli aiuti affermando che non c'era modo di garantire che questi soldi non finissero nelle casse dell'intera compagnia, e che la concessione di aiuti da parte di Parigi inficiava la possibilità di aggiungere anche quelli dei Paesi Bassi.

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