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Giovedì, 25 Aprile 2024
Caro gasolio

Perché l'aumento dei prezzi di benzina e diesel è una buona notizia (ma non per i più poveri)

I Paesi produttori di greggio non intendono aumentare le scorte e fermare i rincari, mentre gli investitori fuggono verso le rinnovabili. Il ruolo sempre più centrale dell'Ue

I prezzi di benzina e diesel continuano a salire, in Italia, come nel resto d'Europa (e di altri Paesi del mondo). I livelli non sono ancora ai massimi storici ma tutti gli analisti segnalano che la corsa al rialzo procederà a lungo, a differenza che in passato. È questa la novità e il vero problema. Le ragioni di tale situazione sono diverse, ma il comune denominatore è senza dubbio uno: la transizione ecologica. E l'Unione europea ha assunto un ruolo centrale in questo quadro.

Il post pandemia

Ma andiamo per gradi: la pandemia ha provocato, tra le altre cose, una prolungata stagnazione dei prezzi di petrolio e gas. "Fino a 15 o 16 mesi fa avevamo prezzi del petrolio negativi di 30 dollari al barile", ha ricordato Kirk Edwards, presidente di Latigo Petroleum, al New York Times. Da un lato c'era un'alta offerta di greggio, dall'altro una domanda estremamente bassa. E i venditori pagavano gli acquirenti per togliersi il petrolio dai magazzini. Con il miglioramento della situazione epidemiologica globale e la ripartenza delle attività produttive, la domanda è tornata a crescere. Ma non l'offerta: l'Opec, ossia l'organizzazione che riunisce i maggiori produttori di petrolio, ha deciso di mantenere basse le scorte di greggio, nonostante gli appelli degli Stati Uniti. Ecco perché i prezzi aumentano: manca l'offerta.

La leva dell'Opec

Potrebbe sembrare un paradosso che chi detiene un bene che torna a essere richiesto sul mercato non provveda a produrne in quantità adatta a soddisfare la domanda. Ma un paradosso che in realtà, nel mercato del petrolio, è la regola. "Negli ultimi due decenni", spiega l'Ispi, siamo stati "abituati a un mercato 'teso', dove l’offerta petrolifera era spesso appena sufficiente a compensare la domanda, e dove qualunque momentaneo shock dell’offerta – o perfino un minacciato shock (..) – era in grado di impattare immediatamente sui prezzi del greggio". Una situazione che per molti anni ha concesso un grande potere di leva ai Paesi produttori, a cominciare dall’Arabia Saudita, "un attore chiave con la capacità di influenzare i prezzi internazionali a proprio piacimento approfittando del suo ruolo di swing producer (ovvero di produttore in grado di contrarre o incrementare significativamente la propria produzione)", spiega ancora l'Ispi. "Ciò ha anche garantito, almeno fino al 2014, un regime di prezzi molto alti, attestatisi per diversi anni oltre i 100 dollari al barile, che hanno contribuito a far lievitare i bilanci pubblici di molto Paesi produttori, a cominciare dalle monarchie del Golfo". 

L'Opec (o meglio l'Opec+ allargata alla Russia) ha deciso dunque di far valere il suo peso tenendo basse le scorte e facendo salire i prezzi. E non è intenzionata a fare passi indietro: l'ultima riunione dei padroni dei fossili ha stabilito un aumento delle produzione pari a 400mila barili di greggio al mese, che magari frenerà la corsa al rialzo dei prezzi, ma non la fermerà. L'Opec spiega la sua ritrosia alla luce delle incertezze della pandemia: i viaggi non sono ancora tornati ai livelli pre-pandemia e non è detto che "siamo ancora fuori dal tunnel", per usare le parole del ministro dell'Energia dell'Arabia Saudita: nuovi lockdown potrebbero impattare le vendite.

Una nuova era?

Una spiegazione, quella dell'Opec, che convince solo in parte. La realtà, secondo diversi analisti, è che stiamo entrando in una nuova era delle relazioni tra i padroni del petrolio (e del gas), i mercati e i Paesi occidentali. Una nuova era segnata dalla transizione ecologica. A guidare la rivoluzione, almeno da un punto di vista normativo, è per ora l'Unione europea. Il suo Green deal mira a concentrare gli investimenti pubblici dell'Ue sulle rinnovabili: c'è ancora una speranza per il gas di venire salvato dalla tagliola, ma il petrolio è destinato a restare fuori. Lo stesso vale per un pezzo importante dell'indotto del petrolio, il settore auto: la recente strategia Fit for 55 presentata dalla Commissione europea fissa lo stop alla vendita di auto a benzina e diesel entro il 2035. La stretta normativa di Bruxelles sta già avendo effetti sugli investimenti privati, come testimoniato dall'emissione del primo Green bond, che ha raccolto sul mercato 12 miliardi e ricevuto ordini superiori 11 volte all'offerta. Da non dimenticare, poi, che la Banca europea per gli investimenti ha stabilito che dal 2022 non finanzierà più fonti fossili.

Le mosse dell'Europa stanno avendo effetti anche dall'altro lato dell'Atlantico, dove finora, con l'amministrazione di Donal Trump, gli impegni pro-clima dell'accordo di Parigi erano stati messi da parte. Il nuovo capo della Casa bianca, Joe Biden, sembra intenzionato a ritirarli fuori dal cassetto. Nell'attesa, però, sono gli investitori a imprimere la svolta verde. "Le banche e gli investitori sono riluttanti a investire più denaro nel business del petrolio e del gas - srive il New York Times - Secondo la società di ricerca Dealogic, il flusso di capitali da Wall Street ha subito un rallentamento dopo un decennio in cui gli investitori hanno versato oltre 1,4 trilioni di dollari nei produttori nordamericani di petrolio e gas attraverso emissioni e prestiti di azioni e obbligazioni". "Le banche si sono ritirate dai finanziamenti", ha affermato Scott Sheffield, amministratore delegato di Pioneer Natural Resources, un importante produttore di petrolio e gas del Texas.

Gli investitori abbandonano i fossili

E qui veniamo alla novità della situazione attuale: ogni volta che in passato l'Opec alzava i prezzi, governi e mercati aprivano i cordoni delle borse per finanziare con sussidi il settore dei fossili. Oggi, invece, la leva non sembra più funzionare bene: "I prezzi più elevati dei combustibili fossili di oggi non hanno finora stimolato gli investimenti privati ​​nel settore come previsto", scrive Jeffrey Frankel, macroeconomista dell'Università di Harvard. "È possibile che le compagnie abbiano raggiunto un punto di svolta nel modo in cui prendono sul serio la necessità di combattere il riscaldamento globale. Le aziende sanno che la transizione verso l'energia verde sta arrivando", dice ancora Frankel.

Per Frankel, tale svolta potrebbe vincere le ultime ritrosie degli Usa a seguire un Green deal in "salsa" europea, ossia con riforme che impattano su tutti gli aspetti del settore energetico. E dunque, il costo più caro della benzina e del diesel potrebbe avere effetti benefici sull'ambiente, perché Usa e Europa di nuovo sulla stessa barca (quella degli accordi di Parigi) avrebbe effetti a catena a livello globale.

Ma resta il nodo dei consumatori: l'Opec sa bene che alzare i prezzi dei carburanti è un modo per foraggiare chi, in Europa come negli Usa, sventola lo spettro di una transizione insostenibili economicamente per i cittadini a basso e medio reddito. Il caso della auto è emblematico: è vero che la vendita dei veicoli a benzina e diesel sta crollando, ma la crescita delle auto 100% elettriche è ancora bassa. E soprattutto il loro costo resta proibitivo per tantissime famiglie. Se i mercati stanno sposando la rivoluzione verde, non è detto che lo facciano anche i cittadini, anzi. Un nodo non da poco, che potrebbe causare rallentamenti nella transizione. Cosa fare?

Salvate il gas

Una strada, su cui per esempio in Ue battono i pugni Paesi come la Polonia, è quella di sostenere i costi della transizione con fondi pubblici. La Francia ha di recente deciso di dare un bonus di 100 euro per aiutare le famiglie a basso reddito a compensare l'aumento dei costi della benzina, una misura che potrebbe diventare la norma, almeno nei prossimi anni. Ma quello che chiede Varsavia è ben più di un assegno una tantum. 

C'è poi la strada di un accordo con i Paesi produttori di petrolio, che hanno interessi sul gas. Per esempio, la Commissione europea potrebbe a breve, si dice a novembre, tendere un ramoscello di ulivo ai big del fossile: il gas naturale potrebbe venire inserito tra le fonti necessarie alla transizione ecologica nel documento noto come "Tassonomia", ossia una sorta di dizionario Ue che stabilirà su quali fonti si può investire con le risorse comunitarie senza violare il Green deal. Salvare il gas potrà fare felici attori come, per esempio, la Russia e diversi altri Paesi dell'Opec+, tanto per citare alcuni. E magari spingerli a più miti consigli quando si tratta di sfoderare le loro armi per far salire i prezzi, alla pompa come sulla rete elettrica. 

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