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Giovedì, 28 Marzo 2024
L'analisi / Russia

Da Mussolini a Saddam, tutte le volte che le sanzioni non hanno fermato una guerra

Nella storia delle moderne relazioni internazionali, i Paesi hanno usato varie restrizioni come mezzi coercitivi o di deterrenza. Ma i fallimenti sono stati più dei successi

Sono già quattro i pacchetti di sanzioni imposti dall’Unione europea alla Russia di Vladimir Putin, come forma di pressione per convincere il Paese a porre fine all'invasione dell'Ucraina. Mosca era già stata sanzionata otto anni fa per l’annessione della Crimea, ma si trattò di misure limitate che non danneggiarono pesantemente l’economia russa. Quelle imposte dopo l’invasione dello scorso febbraio sono invece “senza precedenti” e potrebbero portare il Paese sull’orlo del default. Diversi analisti sostengono che abbiano addirittura spostato gli equilibri mondiali. Non è la prima volta che delle sanzioni siano state imposte su una nazione per porre fine a una guerra o evitare che esplodesse, e non sempre l'effetto sperato è stato raggiunto.

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Momento epocale 

Secondo lo storico della Cornell University degli Stati Uniti, Nicholas Mulder, siamo di fronte ad uno spartiacque epocale: è la prima volta in cui l’undicesima economia mondiale subisce sanzioni così drastiche in così poco tempo. Ma lo studioso, autore del libero 'The Economic Weapon: The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War' (L'arma economica, l'ascesa delle sanzioni come strumento di guerra moderna), ha spiegato che le sanzioni da sole hanno storicamente avuto una scarsa efficacia nel fermare le aggressioni militari: nel Novecento, solo tre volte su un totale di 19 si è ottenuto questo risultato. Due risalgono al periodo tra le due guerre mondiali, quando la Società delle nazioni (antenata dell’Onu) salvò l’Albania dall’aggressione jugoslava nel 1921 e la Bulgaria da quella greca nel 1925. Il terzo caso è la crisi di Suez del 1956, quando la pressione americana sulla sterlina pose fine alla spedizione britannica in Egitto. Poi solo fallimenti.

Da Mussolini a Hitler

Come sottolinea Mulder l’unico caso in cui uno Stato dal peso paragonabile a quello della Russia moderna è finito sotto embargo per un’aggressione militare è stato quello dell’Italia fascista nel 1935. Quell’anno, la Società delle nazioni impose una serie di sanzioni al Regno d’Italia (all’epoca la settima economia mondiale) per l’invasione dell’Etiopia. Ma fu un fiasco, perché i Paesi legati commercialmente a Roma violarono l’embargo continuando a rifornire il regime di Mussolini che quindi fu solo sforato dal provvedimenti, e che continuò quindi nella sua impresa coloniale. In seguito fu proprio lo spettro delle sanzioni a spingere Hitler ad invadere l’Ucraina, il “granaio d’Europa”, nel 1941 per evitare di “morire di fame” come nella Grande guerra, quando gli Alleati tagliarono la Germania fuori dalle forniture essenziali, ostacolando lo sforzo bellico e affamando la popolazione. Insomma, sostiene Mulder, le sanzioni non fermarono ma anzi accelerarono “la disintegrazione politica ed economica” dell’Europa tra le due guerre. Piuttosto che impedire a Hitler di innescare il conflitto, hanno incoraggiato l’aggressione tedesca come mezzo per raggiungere l’autosufficienza economica. Nonostante le somiglianze, tuttavia, la situazione attuale è molto diversa.

Ingredienti di successo...

Il Washington post ha stilato una lista di 13 volte in cui le sanzioni sembrano aver funzionato. Oltre ai casi citati del 1921 e 1925, sono annoverate quelle degli Stati Uniti all’Olanda nel 1948, in sostegno della lotta per l'indipendenza dell'Indonesia, quelle dell’Urss contro la Finlandia nel 1958, per forzare la caduta di un premier che non piaceva al Cremlino, quelle statunitensi contro lo Sri Lanka nel 1961, per colpire un governo socialista che aveva preso di mira le multinazionali Usa, e ancora quelle statunitensi contro India (1965), Corea del Sud (1975) e Taiwan (1976), in opposizione alle politiche agricole nel primo caso, all'acquisto di centrali nucleari nel secondo e per fermare lo sviluppo dell'atomica nel terzo. Ci sono poi quelle del Sudafrica contro il Lesotho nel 1982 e un’altra ondata di sanzioni americane contro El Salvador (1987), Malawi (1992) e Guatemala (1993), per questioni legate al mancato rispetto di diritti civili e umani, per finire con quelle di Atene contro l’Albania nel 1994, per chiedere la liberazione di cittadini di origine greca. In questi casi, tuttavia, le restrizioni non erano direttamente collegate ad eventi militari come l’invasione russa dell’Ucraina.

In generale, alcuni elementi possono portare le sanzioni ad avere successo: dovrebbero puntare a causare il maggior danno possibile nel breve periodo e mirare a coinvolgere quanti più Paesi e organizzazioni possibile (meglio se alleati dello Stato bersaglio). Va inoltre ricordato che la loro efficienza è maggiore per obiettivi specifici e minore per quelli più strutturali (come un cambio di regime). Infine, serve pazienza: le sanzioni contro la Rhodesia (oggi Zimbabwe) durarono oltre un decennio, quelle contro il Sudafrica circa 30 anni.

...e fallimenti storici

Ma ci sono anche molti esempi di fallimenti più e meno plateali. Il New Yorker ne elenca diversi, riportando che in media questo genere di strumento di politica estera funziona 4 volte su 10: una stima più generosa di quella di Mulder, a indicare come la valutazione dell’efficacia sia tutt’altro che oggettiva. Cuba, Iran, Vietnam, Siria: sono alcuni dei casi in cui le sanzioni sono state inefficaci per raggiungere lo scopo sperato da chi le imponeva, in questi casi sempre gli Stati Uniti.

Uno dei fallimenti peggiori fu l’Iraq, che dimostrò come i dittatori possono ignorare le sanzioni nonostante le pesanti ripercussioni che hanno sul proprio popolo. Saddam Hussein non rispettò le ingiunzioni dell’Onu dopo l’invasione del Kuwait nel 1990, né osservò il cessate il fuoco dopo l’intervento americano. Le pesanti sanzioni contro Baghdad portarono alla malnutrizione dei bambini iracheni e al collasso dell’economia, ma Hussein rimase al potere fino al 2003.

Stesso copione per la Corea del Nord, investita da sanzioni ed embarghi fin dagli anni Cinquanta. L’unico risultato è stato l’aumento della bellicosità di Pyongyang: il regime dittatoriale più isolato del mondo dispone ora di missili balistici a lungo raggio e di testate nucleari, e non sembra per nulla sul punto di crollare.

Vecchi difetti

Il difetto principale, spiega il New Yorker, è rappresentato dalle esenzioni, che forniscono di fatto delle “ancore di salvataggio” per i bersagli delle sanzioni. Di solito sono esentati i beni umanitari (cibo, medicinali, materiale educativo), ma tutto il resto è a discrezione di chi impone le sanzioni. Nel caso del Sudafrica furono esentati diamanti, oro e carbone, tutte materie di cui l'Occidente aveva bisogno,come oggi ha bisogno di gas e petrolio russi.

Oggi le sanzioni europee contro la Russia risparmiano la sfera energetica, la principale fonte d’entrate per Mosca. Ma, anche se l’Occidente dovesse chiudere con i combustibili russi, altri Paesi continuerebbero ad acquistarli: e l’aumento verticale dei prezzi energetici assicurerebbe comunque dei profitti al Cremlino.

Inoltre, come dimostra il “modello Iran” tanto sbandierato da Washington, l’efficacia di questi strumenti coercitivi dipende anche dalla coerenza nel portarli avanti di chi li utilizza. Siglato nel 2015, l’accordo sul nucleare di Teheran, pe rimpedire lo sviluppo di armi nucleari, è stato sconfessato solo tre anni dopo dall’allora presidente Usa Donald Trump, che introdusse nuove sanzioni sulla Repubblica islamica. Per tutta risposta, l’Iran riprese l’arricchimento dell’uranio.

La tempesta perfetta?

Per Mulder, come detto, la situazione attuale è gravida di effetti epocali. A suo avviso la Russia subirà un grave shock finanziario, che porterà un’impennata dell’inflazione e miseria generalizzata. Ma non finirà qui. “L’isolamento economico della Russia avrà ripercussioni drammatiche per l’economia mondiale”, sostiene lo studioso, poiché Mosca è il principale fornitore globale di diverse materie prime essenziali.

A differenza delle sanzioni contro Paesi come il Venezuela e l’Iran, che si sono riflesse su settori specifici del mercato, quelle contro la Russia “costringeranno certamente a dolorosi aggiustamenti” le economie tutto il mondo. Le banche centrali dovranno correre ai ripari per non far crollare i mercati finanziari, e la prospettiva di shock alimentari e di materie prime sarà reale, come quella di una recessione globale. Se, poi, verranno colpiti i settori energetici strategici, le conseguenze saranno ancora maggiori.

Secondo Mulder, sarà “una tempesta che cambierà la natura della globalizzazione stessa”, soprattutto se lo stigma verso Mosca si radicherà anche nel settore privato, come avvenuto con Teheran. Perché non vadano fuori controllo, conclude, le sanzioni dovrebbero essere progettate con estrema attenzione, indicando chiaramente come raggiungere la de-escalation e includendo condizioni realistiche per la loro revoca.

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