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Venerdì, 19 Aprile 2024

La recensione

Giulio Zoppello

Giornalista

Città in fiamme è un crime esistenziale post 11 settembre

New York, 2003, Central Park. Città in fiamme comincia qui, sotto l’effige di Apple Tv+ e di conseguenza, al netto di qualche recente scivolone come Ghosted, garanzia di qualità, sia nella forma che nel contenuto. Tratto da un romanzo di Garth Risk Hallberg che fece molto discutere, unisce atmosfere tipiche del giallo al dramma esistenziale. Merita assolutamente la vostra attenzione, in virtù di una capacità unica di parlarci di uno specifico momento della storia americana, del donarci personaggi tormentati, complessi, di rivendicare la sua autorialità narrativa a metà tra dramma borghese ed indie. 

City on Fire: la trama

Charlie (Wyatt Oleff) è un ragazzo insicuro, timido che si divide tra solitudine e le sedute con l'analista, per lui quasi più un tormento che un sollievo. Ha perso il padre due anni prima, a causa degli attentati dell’11 settembre, ma la sua fragilità trova una parziale compensazione nell’imprevedibile legame che sviluppa con Samantha (Chase Sui Wonders), una sua coetanea molto ribelle, appassionata di eventi musicali, che lo porta nel sottobosco musicale della città. In particolare, è fan di una band capitanata da Nicky (Max Milner) che a si muove a metà tra anarchia bohemienne, volontà di rivalsa no Global ed eversione modaiola, cercando di rivendicare la centralità dell'identità artistica e culturale della città. Arte che ha nel contraddittorio e tormentato William (Nico Tortorella), rampollo tossicodipendente di una dinastia potente della città, il perfetto esempio di contraddizione e spreco. Neppure il fidanzato Mercer (Xavier Clyde) riesce ad allontanarlo dai suoi vizi. William ha una sorella, Regan (Jemima Kirke) con cui non si parla da 15 anni, e che sta per affrontare una tempesta giudiziaria non da nulla, che porterà a galla segreti circa l'origine della loro straordinaria fortuna. Deve anche affrontare la separazione dal marito Keith (Ashley Zuckerman), che l’ha tradita proprio con Samantha. Ma quando quest'ultima finisce in coma con un proiettile ficcato in testa, senza che i detective Parsa (Omid Abtahi) e McFadden (Kathleen Munroe) riescono a capire perché, il suo mondo e quello degli altri, subisce un'improvvisa metamorfosi, alla fine del quale nulla sarà più come prima.

Una New York dominata da disperazione e solitudine 

Città in fiamme​ è un prodotto seriale di grande caratura ed energia, lo è innanzitutto per ciò che riguarda l'aspetto estetico, con una fotografia bellissima che si abbina in modo perfetto ad una regia, il cui intento è quello di darci uno sguardo intimo sugli abitanti di una New York ancora atrocemente ferita dal terrorismo.  Il tutto è funzionale ad un racconto in cui domina l'oppressione, l'ansia, il senso di colpa e la volontà di ricominciare anche egoisticamente, la decadenza a soprattutto il mistero. Perché Samantha è stata attaccata? C’è un colpevole? Oppure è stata una mera fatalità? Perché i suoi amici musicisti stanno incendiando case, seminando fiamme e cenere nelle baracche di quella città ferita? Che cosa deve fare Regan con il marito, con i figli, ma soprattutto con l’impero di famiglia che si sta sgretolando? Emerge soprattutto un grande racconto sui sentimenti, intesi non come condivisi, ma nella loro dimensione essenzialmente individuale. Non conta, non così tanto, ciò che si sviluppa a livello relazionale, ma ciò che si intuisce a livello reattivo, come tutti loro reagiscono a quell’evento traumatico, a cosa cambierà nelle loro vite, quasi come una manifestazione della Teoria del Caos. Il tutto grazie ad una scrittura che alla verosimiglianza, mischia in modo perfetto le atmosfere del giallo con quello del dramma personale, anche generazionale, seguendo l’indie di quegli anni. Sì, perché Città in fiamme​ diventa anche il racconto di ciò che era il mondo di inizio millennio, ma non vi è una ricostruzione d'epoca particolarmente fedele, quanto una volontà di creare una linea tra oggi e passato, di parlarci di cosa succedeva alle persone in quel momento. 

Il crime che si unisce alla metafora storica

L’11 settembre è sullo sfondo e allo stesso tempo davanti a noi, Città in fiamme​ è innegabile che ci parli metaforicamente e non di cosa creò quell’attentato storicamente e socialmente. Diventa anche e soprattutto un racconto sulla generazione millennial. Samantha, i suoi amici ipocritamente goderecci e rivoluzionari da tempo libero, sono depositari di tutto ciò che rimane dell'epoca della contestazione dei padri, diventata il credono No Global che fu infine trucidato a Toronto e soprattutto a Genova. Non accettano ciò che gli è stato dato, con le grandi dinastie che chiuse nelle loro corti di Bisanzio che fanno intrighi, cercano di accaparrarsi ricchezze, di evitare di saldare il conto con la giustizia ed i propri peccati. Nessuno è veramente cattivo qui però, nessuno è neppure veramente buono, ciò che emerge è soprattutto il quadro di una società ipocrita, ma basta un soffio di vento a farla cadere, a distruggerne le certezze. Nessuna redenzione, esiste solo lo sgomento verso la mancanza di controllo della propria esistenza, mentre intanto la polizia cerca di capire chi è quella ragazza, chi poteva volerle fare del male. Città in fiamme​ tiene sempre alto il ritmo, l'attenzione, anche perché nega un iter lineare, dona pochissime certezze, mentre intanto si accumulano metafore su metafore, si distrugge anche il mito della Grande Mela come fucina artistica imprescindibile. Intanto ecco che ci parla dell’adolescenza come caos totale, di cosa significava esserlo prima dell'era digitale. Brucia la città, bruciano le vite di chi vi è dentro, stritolato in una solitudine in cui la famiglia, solitamente cardine inespugnabile, viene completamente messo in discussione, distrutto nelle sue fondamenta. La verità è che la sua identità rimane sfumata ma proprio in tale impalpabilità vi è il segreto del suo essere qualcosa di completamente diverso da ciò che ci è stato offerto dal mercato televisivo ultimamente, la sua unicità, che di certo sà non poter essere gradita a tutti.

Voto: 7

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