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Giovedì, 28 Marzo 2024
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The French Dispatch, recensione: C’è troppo Wes Anderson nel nuovo film di Wes Anderson

25 anni dopo il suo esordio alla regia con Un Colpo da Dilettanti, Wes Anderson, 7 volte nominato agli Oscar e incredibilmente mai premiato con una statuetta, torna al cinema con The French Dispatch, film che ha inaugurato l’ultimo Festival di Cannes, da dove è poi tornato a casa a mani vuote.

Una lettera d'amore nei confronti dei giornalisti,  quella scritta e diretta dal regista texano, ambientata nella sede di una rivista in una città francese del XX secolo. Un’opera contraddistinta dal cast monumentale e da uno stile “wesandersoniano” che straborda con il passare dei minuti, finendo per tramutarsi in limite.

La trama

Siamo nella redazione del French Dispatch, rivista statunitense che ha sede nella città francese di Ennui - sur - Blasé. L’amato direttore Arthur Howitzer, Jr., nato in Kansas, è appena morto, con tutti i giornalisti che si ritrovano per scriverne il necrologio. Nel ricordare il compianto direttore, Anderson dà letteralmente forma a quattro articoli della rivista, firmati dalle sue principali penne: un diario di viaggio dei quartieri più malfamati della città, firmato dal Cronista in Bicicletta; la storia di un pittore squilibrato rinchiuso in carcere, della sua guardia e musa, e degli ingordi mercanti d’arte che vogliono le sue opere;  una cronaca d’amore e morte sulle barricate all'apice della rivolta studentesca; e infine una storia di droghe, rapimenti e alta cucina tra sparatorie e malavitosi.

Cosa funziona e cosa non funziona

Un insieme di storie brevi, un film a capitoli nato e pensato per celebrare il giornalismo di qualità, l'iconico The New Yorker e l’amata Francia. Con The French Dispatch Wes Anderson realizza sublimi quadri in costante movimento,  cornici che racchiudono storie e memorie, invenzioni e continui intrecci narrativi, mentre il suo stile fuoriesce dallo schermo. La famosa estetica del regista è qui realizzata con cura maniacale, tra bianco e nero e colori pastello, scenografie di impianto teatrale, accessori a pioggia e quell’immancabile simmetria che è facilmente riscontrabile in qualsiasi inquadratura, ma Anderson eccede in abbondanza, finendo per appesantire un’opera che tolti i primi due ‘episodi’ si accartoccia  sul proprio ricercato ingegno e nella propria ostentata e ossessiva creatività, finendo paradossalmente per annoiare. E neanche poco.

A mancare, in The French Dispatch, è l’anima, il cuore, nonché una reale trama, perché così unicamente interessato a sbalordire, ad impreziosire quella redazione costruita come una casa delle bambole tra fantasiose invenzioni visive, fiumi di parole e schizzi di design, da non riuscire a parlare realmente allo spettatore.  Diretto in modo sublime, The French Dispatch è puro orgasmo per gli occhi che eccelle nei mille particolari e nelle sue infinite sfumature, come se fosse un piccolo scrigno contenente gemme preziose. Ma una volta abituati all’abbagliante luccichio, per quanto qualsiasi scena meriterebbe uno studio approfondito frame dopo frame, rimane l’esercizio di stile fine a sé stesso, l’opera che solo Wes Anderson avrebbe potuto pensare e realizzare in questo modo. Con tutte le conseguenze del caso.

Perché dietro quelle frenetiche e audaci invenzioni riecheggia la freddezza di uno script che finisce persino per appiattire i propri incredibili attori, figurine su un album ricco, decor e ambizioso. Ma pur sempre figurine. Su tutti troneggiano Benicio Del Toro e Jeffrey Wright, ma nell’infinito cast trovano spazio anche  Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri, Mathieu Amalric, Stephen Park, Owen Wilson, Liev Schreiber, Elisabeth Moss, Edward Norton, Willem Dafoe, Lois Smith, Saoirse Ronan, Christoph Waltz, Cécile de France, Guillaume Gallienne, Jason Schwartzman, Tony Revolori, Rupert Friend, Henry Winkler, Bob Balaban e Hippolyte Girardot. 

Un numero impressionate di celebrità che si fanno faticosamente spazio sgomitando tra una storia e l’altra, senza mai davvero lasciare il segno e con “Il Capolavoro di Cemento” miglior episodio su tutti, davanti al brevissimo “tour di Sazerac”, all’intricatissimo “La Sala da Pranzo Privata del Commissario di Polizia” e al pedante “ Revisioni a un Manifesto”. Visivamente e stilisticamente ineccepibile, per non dire straordinario, The French Dispatch paga la propria sfacciata vanità, finendo per specchiarsi al cospetto di uno schermo che trasuda l’ego e la cinematografia del suo regista.

Voto: 6

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