C'è un'anomalia nell'universo di Star Wars: Andor, la serie figlia del film Rogue One, nel senso che ne è il prequel. Creata da Tony Gilroy, Andor apre orizzonti prima impensabili sul cosa raccontare della Galassia lontana lontana. E, soprattutto, in che modo. 

Il punto è tanto semplice quanto straniante: non ci sono la Forza, né i Jedi, né i Sith, né le spade laser. Andor spiazza - così come fece Rogue One - tanto il neofita quanto l'appassionato di Star Wars. 

È una serie matura, politica, feroce. Racconta la dittatura e le angherie dell'Impero, mostra le violenze e l'orrore, espone spietatezza e morali flessibili e ci guida tra i vagiti di una Ribellione che è ancora Resistenza e che nasce come principio newtoniano di reazione al soffocante dominio imperiale e alla nazificazione. 

Andor viaggia nella polvere e nella rabbia che Star Wars, fino a ora, aveva solo accennato di sfuggita e le misura sulle persone e sulle loro vite. Sviscerare il piccolo per raccontare il grande. E Cassian Andor (Diego Luna) non è un eroe nel senso classico del termine: è umano, profondamente umano. La serie parte da un tragico “incidente” (e qui facciamo un piccolo spoiler) -: Cassian, pieno di debiti e travolto dalle bugie, non ha una missione “divina” da compiere, vuole solo sopravvivere alla caccia all'uomo che si scatena dopo che ha ucciso due imperiali mentre cercava di ritrovare la sorella perduta. Il resto è affidato alla penna di Gilroy - autore de L'avvocato del diavolo, la saga di Jason Bourne, Michael Clayton e Armageddon prima di mettere le mani su Rogue One - che nel sistema di archi narrativi della serie, tre episodi alla volta, inserisce un paio di classici del cinema: la grande rapina, che segna un primo e sfumato passo verso la presa di coscienza, e - ma questa non la spoileriamo - l'avventura carceraria.

Voto: 8,5