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Giovedì, 28 Marzo 2024
L'intervista

Alex Schwazer: "Ai miei figli racconterò tutto. I colleghi? Solidarietà in privato, hanno paura di esporsi"

Gli anni bui, gli errori, la fatica di ricominciare e una vicenda giudiziaria che ha messo fine a una carriera fenomenale. Ma soprattutto la rinascita grazie a cui oggi non sente il bisogno di nessuna rivincita

Quando hai davanti un atleta te ne accorgi. Nessun atteggiamento da divo e lo sguardo dritto che prova a guardare sempre oltre. Alex Schwazer - nonostante il mondo dello sport sia stato non solo ingeneroso ma anche crudele con lui, come è ben spiegato nella docuserie di Netflix che lo vede protagonista - è un grande atleta. E sarà sempre un atleta, come ha detto fiero in questa intervista. Non importa se la squalifica del 2016, arrivata dopo una positività al doping molto dubbia per cui il tribunale di Bolzano, cinque anni dopo, lo ha assolto per non aver commesso il fatto - al contrario di quello sportivo - ha di fatto messo fine alla sua carriera agonistica. Schwazer, oggi, non ha nessuna rivincita da volersi prendere. 

È forse questo il lato più bello della sua rinascita dopo una tempesta durata anni. La serenità. La consapevolezza di aver pagato per gli errori commessi, l'onestà di essersene assunto tutte le responsabilità, il coraggio di accettare ciò che non può cambiare nonostante tutta la fatica e l'obiettivo che non è più quello di fare il miglior tempo, ma di viverselo. 

Con la serie Netflix fai luce sulla vicenda che ti ha coinvolto e poi anche travolto. Volevi una rivincita, un riscatto che nello sport non è arrivato, oppure lo hai fatto perché sentivi il bisogno di raccontarti in prima persona?
"In realtà nessuna di queste cose. È stato bello raccontare un arco temporale molto ampio, andare nei dettagli, raccontare particolari che di solito non trovano spazio. Volevo andare a fondo, senza altri scopi. Questo per me è stato l'obiettivo principale. Nessuna rivincita".

Ti sei messo totalmente a nudo. La paura di non essere abbastanza dopo la vittoria olimpica a Pechino, nel 2008, gli anni bui arrivati dopo, il doping, l'accanimento che c'è stato nei tuoi confronti fino all'esclusione a Rio. C'è qualcosa che ti fa male più del resto e che ancora fai fatica a ripercorrere?
"Fatica a ripercorrere no, è passato molto tempo e ho metabolizzato tutto. Ovviamente tutto quello che comprende l'esclusione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, nel 2016, è ancora molto doloroso per me. Ho faticato tanto per fare le gare, prepararmi bene, sono arrivato fino a lì e sono ritornato a casa con la squalifica. Parlarne nella docuserie è stata sicuramente la cosa più difficile, molto più dolorosa del 2012, perché lì avevo le mie colpe. La squalifica del 2016 è stata drammatica".

Anche quegli anni però sono stati molto complicati, parliamo del 2011 e 2012. Hai rivelato di aver pensato anche al suicidio e di non averlo fatto per tua madre. 
"Non ho mai pensato a un gesto estremo, questa cosa è stata fraintesa. Ho troppo rispetto della vita e non farei mai niente del genere. Sono stati momenti molto difficili, quello sì. Quando hai la nausea di fare una cosa tutti i giorni, nel mio caso era la marcia, e la fatica, ti infili in un tunnel dove almeno io non sono più riuscito a uscirne".

Carolina Kostner, che ho intervistato tre mesi fa, disse che non vi eravate più sentiti dalla fine della vostra storia e che per lei era un capitolo chiuso. Vederla nella serie è stata una sorpresa. Anche per te?
"È stata una sorpresa anche per me. Ho apprezzato la sua partecipazione. Per un periodo della mia vita e della sua siamo stati entrambi importanti, io per lei e lei per me, quindi sicuramente è stato un bel gesto aver accettato".

Vi siete incontrati?
"Ci siamo sentiti quando lei doveva fare la sua intervista. Da anni però abbiamo una vita diversa, io ho la mia famiglia e lei la sua. Non sento la necessità di tornare a parlare di cose che ormai sono passate da parecchio tempo".

Nella serie c'è una dichiarazione di Federica Pellegrini, rilasciata dopo la notizia della tua seconda positività al doping, in cui auspica la radiazione. L'hai più sentita o ti ha mai chiesto scusa?
"Federica Pellegrini l'ho incontrata solo una volta in vita mia, alla premiazione delle Olimpiadi del 2008, che abbiamo vinto entrambi, poi non l'ho mai più vista e onestamente non ho dato tanto peso a questa dichiarazione. Si può dire una cosa di getto, senza conoscere dettagli e particolari. All'epoca non ho sentito la necessità di contattarla per far luce su alcune cose e ancora meno la sento oggi".

Ci sono stati colleghi che ti hanno mostrato solidarietà in questi anni o magari proprio dopo la docuserie?
"Sì, ci sono stati ma c'è una grande ipocrisia a livello pubblico e di media. Sono solidarietà che arrivano in privato perché tutti hanno troppa paura di esporsi. Questo già prima della serie su Netflix".

La seconda positività è stata una doccia gelata e Donati, il tuo allenatore, non ha mai dubitato della tua innocenza. Hai mai avuto paura che potesse non crederti?
"Dopo quella notizia con la testa ero talmente tanto non so neanche io dove che non ho fatto nessun tipo di ragionamento razionale, come questo che hai fatto tu. Ero talmente concentrato a chiedermi perché, come potesse essere successa una cosa del genere, che non avevo spazio per farmi altre domande".

Lo sport a certi livelli è solitudine?
"Lo sport può essere solitudine non soltanto a certi livelli. Un runner che fa la maratona per se stesso lo fa perché gli piace correre, avere l'obiettivo, e si allena da solo. È una cosa che fa parte di certi sport, ti godi l'allenamento e la fatica stessa. La solitudine diventa un problema quando inizi a soffrire la fatica, allora è un peso". 

Oggi alleni podisti dilettanti. Che consigli dai ai tuoi atleti?
"Gli dico sempre che la corsa per loro è un hobby e tale deve restare. Hanno tutti una certa età, lavorano, a volte fare meno è fare di più, anzi meglio di fare di più. Se uno vuole fare una gara la fa, se non vuole farla non la fa. Questo è l'importante e dovrebbe essere così per tutti". 

Hai due figli piccoli, un maschio e una femmina. Come gli racconterai la tua carriera sportiva?
"Si va sicuramente a pezzettoni, o a pezzettini. La grande, che ha 6 anni, già da tempo mi chiede, ha delle curiosità. Sono sicuro che con il passare degli anni, man mano che diventeranno più grandi, saranno sempre più curiosi e io sarò contento di raccontargli le cose belle ma anche le cose brutte, perché nella vita anche quelle servono".

Della tua vita privata sei molto geloso, non hai social...
"Non è solo questione di vita privata. Faccio fatica a capire l'atteggiamento di dover mostrare quotidianamente tutto quello che uno fa, è un concetto che davvero non capisco. Io faccio le cose per me, al lavoro per gli atleti che seguo, in famiglia per mia moglie e i bimbi, poi basta. Non ho bisogno di dimostrare altro ad altre persone. Questo è il motivo principale per cui non sono sui social, non mi piace mostrare cose secondo me banali per avere un po' di attenzione in più".

La squalifica termina a luglio 2024, troppo tardi per le qualificazioni alle Olimpiadi di Parigi. Un altro colpo basso o hai imparato a pararli?
"Ho imparato a pararli bene i colpi. Uno lotta finché può lottare e lotta per le cose che si possono cambiare. Le cose che non si possono cambiare si devono accettare e basta". 

Hai accettato che la tua carriera agonistica sia finita così? Hai 38 anni e il tempo per un atleta è una ghigliottina. 
"Secondo me non è una questione di dover per forza primeggiare. Sono sicuro che se mi viene voglia di fare una gara di corsa o di bicicletta a cinquant'anni la faccio. Sono un agonista e sarò sempre un agonista. E sempre un atleta. Ovviamente come tutti gli sportivi hai un arco temporale dove puoi stare al top, gli anni dopo puoi mantenere un ottimo livello e a un certo punto si cala, ma è normale, non è un problema. Io non mi definisco solo se faccio la prestazione meglio di tutti, mi definisco se posso fare la mia attività, nel mio tempo libero, e se sto bene. Questo per me conta".

Esiste una rivincita dopo tutto questo?
"Io non sono il tipo da rivincita. Se mi riesce una cosa bene ed è perché sono sereno e la voglio io insieme alle persone che mi sono vicino, come la mia famiglia, l'avvocato Brandstaetter, Giulia Mancini (la sua manager, ndr), gente che mi segue da tanti anni. Questo mi dà forza. Non faccio mai le cose contro qualcuno o per dimostrare qualcosa, è una grandissima perdita di tempo".

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