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Giovedì, 18 Aprile 2024

Il commento

Marianna Ciarlante

Giornalista

La riflessione sul giornalismo di Ficarra e Picone su Netflix dovrebbe farci fare un esame di coscienza

Nella serie Netflix di Ficarra e Picone, Incastrati, c'è un personaggio che, forse, è uno dei più interessanti della storia e, senza dubbio, il mezzo usato per lanciare una riflessione sul giornalismo tra le più potenti e profonde dell'intera serie che è un vero e proprio schiaffo morale all'intero mondo della comunicazione. Stiamo parlando del personaggio di Sergione, il giornalista locale interpretato dal comico Sergio Friscia che è sempre in prima fila per raccontare di morti, omicidi, drammi e tutto l'amaro della cronaca nera siciliana. Un personaggio secondario che fa solo da sfondo a una storia più ampia di rapimenti, equivoci, uccisioni e giochi di potere ma che, nel suo piccolo, è in grado di farci riflettere molto su quanto il giornalismo sia cambiato e quanto oggi creare notizia sembra essere più importante che darla. 

La recensione di Incastrati 2

Nella seconda stagione di Incastrati, appena debuttata sulla piattaforma di streaming, il giornalista Sergione, un grande appassionato di questo mestiere e sempre pronto a dare al suo pubblico un piglio personale e d'impatto sui fatti che accadono nella sua città, dovrà avere a che fare con un antagonista, una sorta di "assalitore" al sensazionalismo, un giornalista apparentemente brillante che fa di tutto per accaparrarsi l'esclusiva e la testimonianza più originale ma che manipola la verità a favore di numeri e, di conseguenza, di guadagni. Così, con una gag divertente e intrisa di una sottilissima ironia, due primi uomini che non vogliono perdere il loro posto da "re della giungla" danno luogo a una profondissima riflessione sul giornalismo che dovrebbe aprire gli occhi non solo ai lettori ma anche a chi, come noi, di questo mestiere vive e si nutre ogni giorno. 

C'è chi diventa giornalista per passione, chi per egocentrismo, chi sceglie di raccontare storie perché figlio d'arte o chi perché ama troppo le parole per lasciare che non diventino le proprie compagne di vita. Che sia per una ragione o per un'altra, diventare giornalisti equivale a diventare narratori di storie. Storie di uomini e donne reali, storie di fatti realmente accaduti e non racconti romanzati a favore di like.  Ma se la società contemporanea sembra spingersi sempre più verso una rappresentazione romanzata del sé che modella perfino la verità mostrandola in una sua versione distorta, quanto rischia, anche la notizia, di cadere in questo stesso tranello? Quanto rischia, una notizia vera, di assumere, anch'essa le sembianze di un'apparente verità soprattutto se "spinta" per diventare più appetibile e remunerativa? È possibile mantenere veridicità e onestà in un modo di raccontare che, con l'avvento dei social, è diventato sempre più fondato su principi di apparenza e manipolazione della realtà? Queste sono le domande esistenziali a cui ci spinge la nuova serie Netflix Incastrati 2 che, nel suo piccolo, apre un dibattito molto importante e scoperchia un vaso di Pandora già socchiuso da diversi anni che ci spingerà, ben presto, a dover fare i conti con le amare conseguenze della fuoriuscita del suo contenuto.

Quale sarà, allora, il futuro del giornalismo? Verrà inglobato dal mondo dei social per scomparire definitivamente come mestiere perché alla portata di tutti? Si abbandonerà il racconto della verità per assecondare le esigenze sensazionalistiche del pubblico? Si svenderà sempre di più prendendo le sembianze del mondo che lo circonda come accade con quello che in linguistica viene chiamato fenomeno dell'assimilazione per cui un suono assume in parte o del tutto i tratti del suono che gli sta accanto? 

Che il giornalismo sia cambiato negli anni è certo ma quale piega prenderà in futuro? Per ora non possiamo fare altro che immaginare cosa potrebbe accadere e se ciò che ci piove in mente non ci piace più di tanto allora cerchiamo di fare di tutto per difendere, già da ora, l'identità di questo mestiere che viene spesso messo alla gogna ma che per chi lo svolge è una vocazione, un dono, se non una ragione di vita. 

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