Nessuno tocchi Fedez. Il cancro e le parole per dirlo
Nei giorni in cui si dibatte di come la malattia non sia piu un tabù (cosa effettiva e sacrosanta) e prima di celebrare questa conquista, ci sono due premesse da fare. La prima è che nelle corsie degli ospedali in cui la malattia si combatte, del dibattito mediatico che c'è attorno se ne fregano su larga scala, perché hanno banalmente altro da fare: qui a regnare è il pragmatismo di esami ed (attesissimi) esiti. La seconda è che c'è da fare un importante distinguo tra "tabù" e "tabù". Ovvero, che se la malattia è stata "tabù" fino ad oggi, questo non è avvenuto per quelle vergogne a cui è legato l'abuso della parola "tabù" in questi tempi di pigre battaglie sociali ai tempi dei social media, ma per qualcosa di diverso che è più assimilabile al pudore. Anzi al terrore. E che oggi incontra una nuova narrazione solo, e solamente, grazie all'evoluzione della ricerca. Ma, prima di andare per ordine nelle cose, partiamo dalla fine, che è sintesi del tutto. Ovvero da Gianluca Vialli che ha, appunto, abbattuto l'ultimo tabù ancora in piedi: l'idea della morte.
La malattia, dicevamo, non è più un tabù. Plaudono tutti oggi a Fedez, a Vialli, a Sinisa Mihajlovic, che hanno trovato il "coraggio" - così è stato battezzato, dimenticando che c'è anche un fattore di costrinzione nel caso dei personaggi pubblici - di raccontare i problemi di salute in prima persona. Lo sottolineano tutti: dai giornalisti alla gente comune. Ma, appunto, se oggi tutto questo può accadere, è solo perché, di pari passo, è sempre meno "tabù" anche la sopravvivenza. E' un dettaglio da sottolineare nel rispetto di ogni sensibilità. Nel rispetto di chi, in questi tempi di sovraesposizione di sé, decidesse di chiudersi ancora nel massimo riserbo del proprio dolore. Qualora forse qualcuno, magari fermo a un tempo passato, abbia ancora bisogno di quelle perifrasi che hanno a lungo caratterizzato il linguaggio. "Il brutto male", "il male incurabile", "è scomparso a seguito di una lunga malattia".
Sì perché solo oggi, finalmente, esistono molti modi per dire cancro. E anche per non dirlo, appunto. E sono tutti giusti. Da chi si definisce un "guerriero", in barba ai lagnosi che li accusano di retorica, a chi mescola il racconto del tumore al pancreas con lo swipe up alla nuova linea di rossetti come sta facendo Chiara Ferragni per Fedez, in barba ai lagnosi del politicamente corretto. Perché - vi entri in testa - nessuno ha il diritto di dibattere su come un paziente racconta il proprio percorso, anche quando lui ci piace meno degli altri ("Siamo classisti anche con le cartelle cliniche", ha sottolineato la giornalista Guia Soncini, in merito alle non polemiche sulla condivisione del dolore di Alessandro Baricco e Michela Murgia). Nessuno di coloro che è seduto sul suo divano di casa anziché sulla sala di attesa successiva alla risonanza, s'intende. Nessuno deve permettersi di toccare Fedez.
Di guerrieri, battaglie e arsenali terapeutici. È tutto giusto (in barba a chi si lagna della retorica)
E' nel giusto anche chi sostiene tutt'ora la narrazione del "guerriero", appunto. Chi si sente tale nonostante in questi anni certe metafore belliche siano finite nel mirino del dibattito sui linguaggi (ma, come dicevamo, qui qualcuno se ne frega dei dibattiti). E' nel giusto se la similitudine del proprio percorso aiuta nell'accrescere la consapevolezza. "Si vede che questa malattia è molto coraggiosa per tornare ad affrontare uno come me, se non gli è bastata la prima lezione gliene daremo un'altra", ha detto Mihajlovic. Guai a contraddirlo.
Al tempo stesso però, è nel giusto anche chi ritiene che certe metafore siano sbagliate, perché foriere di sensi di colpa ed inadeguatezza. Vincere. Lottare. Battaglie. Arsenale terapeutico. Perdere. E allora quelli che non ce l'hanno fatta, anzi quelli che sono morti (via le perifrasi), hanno lottato meno o sono stati meno forti degli altri? Emblematico l'addio delle Iene a Nadia Toffa, tre anni fa: "Forse ora qualcuno potrebbe pensare che hai perso, ma chi ha vissuto come te, NON PERDE MAI", si leggeva nel commiato della produzione. Eppure la stessa mamma Margherita la definiva la sua "guerriera". Ognuno sceglie per sé, appunto.
La morte secondo Gianluca Vialli
E' nel giusto anche Gianluca Vialli, che ritiene appunto che "se mi mettessi a lottare col cancro, ne uscirei devastato". Lo dice in "Una semplice domanda", show alla ricerca della felicità in onda su Netflix, in cui per la prima volta - televisivamente parlando - vengono poste domande che contemplano l'idea della morte come risposta. Devastanti le domande, appunto, schiette al punto da pungere l'anima nel bel mezzo del petto, ma straordinariamente preziose le risposte, precedute da un emblematico "adesso che so che probabilmente non morirò più di vecchiaia". Sì perché qui si parla proprio di ciò che sarà dopo. Di lasciti. "Non so cosa ci sarà dall'altra parte - spiega Vialli - In un certo senso sono eccitato". E ancora: "Credo sia un privilegio sapere che c'è una scadenza. Questo ti permette di avere il tempo di fare tutte quelle cose che se tu dici buonanotte e muori nel sonno, restano incompiute. Di sistemare le cose. Io so di avere il dovere di comportarmi in un certo modo perché non so quanto ancora vivrò. Sento di avere meno tempo per poter essere un buon padre, cerco di dire ai miei genitori che gli voglio bene". Non c'è fisica commozione, un bel niente di patetico. C'è solo Cattelan che, ad un certo punto, si tocca il naso perché preso in contropiede rispetto a tanta lucidità. Una testimonianza votata alla verità. Senza filtri.
Stupisce quell'accento al "privilegio", se si pensa alla bufera mediatica che si tirò addosso Nadia Toffa, quando parlò della malattia come "un dono" nel suo libro "Fiorire d'Inverno" ("Vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, una opportunità", scriveva per la precisione). E stupisce che all'epoca qualcuno si permise di arrivare ad accusarla di "spettacolarizzazione del tumore", quando era il suo modo per provare a dargli un senso. Nessuno oggi si permetterebbe di farlo. I tempi sono cambiati, appunto. Toffa fu solo la prima. Quelli che oggi accusano Fedez di non tenere privacy sul proprio tumore sono perlopiù troll (provocatori, ndr), per gli hater ormai non c'è più tempo. Ah, Fedez per parlare della malattia ha scelto il termine "avventura".
Da TikTok a Twitter: (anche) le persone comuni raccontano il cancro
Del resto nessuno si permetterebbe di accusare di mancata privacy Marta Pellizzi, vittima di quattro tumori cerebrali che le hanno portato via la vista e che la costringono a vivere tra lancinanti dolori. Nessuno lo farebbe quando domanda ai suoi oltre ventimila follower di Twitter: "Chissà come appaio per davvero mi chiedo. Da quando ho perso la vista sono colma di sfuocate immagini di bambina, non di adulta". "Sei bella, Marta", è la risposta di qualcuno. "Galante. Grazie".
E' pieno di "grazie", detti e contraccambiati, anche il profilo di Alice Manfrini, 23 anni, studentessa malata di sarcoma di un Ewing scoperto nel giorno successivo all'ultimo esame sostenuto in Economia e Commercio. Qui, nel suo spazio di TikTok, si parla di tutorial per indossare turbanti, di prevezione e si sorride, perché "sdrammatizzare is the way", scrive. "Se le mie parole possono aiutare qualcuno, a me fa piacere", ci ha detto nel raccontare la sua storia. "Basta che una sola persona tragga giovamento", ha fatto eco Fedez, milioni di follower più in là, alla vigilia della condivisione della sua "avventura".
"Non ci sono fiori senza pioggia". La storia di Alice Manfrini, 23 anni, che racconta il cancro a ventimila persone
@alicemanfrini Buon 1’ gennaio 🤡
♬ צליל מקורי - SADE
Lo straordinario cinismo di Vittorio Feltri
Di tutt'altro, straordinario cinismo è invece Vittorio Feltri, che riesce ad essere per l'appunto cinico anche nel parlare di quel "cancro alle tette" scoperto tempo fa "pur non avendo le tette" grazie all'aiuto di chirurghe che sono tali "oltre che bone". "Non sono capace di consolarti caro Fedez", ha scritto in una lettera indirizzata al rapper, "però ti segnalo che del mio tumore me ne sbatto i coglioni. Brutta frase, ma vera. Finché starò al mondo litigherò con chiunque, perfino col cancro. Dammi retta, non piangere, fai a pugni con la sfiga, avrai ragione tu". Proprio per confortare il cantante, Feltri ha raccontato pubblicamente i suoi problemi di salute, fino a quel momento vissuti nella riservatezza: "Perché mai dovrei dichiararlo a bassa voce, in fin dei conti la mia non è una malattia venerea".
Nella foto in basso, Gianluca Vialli ed Alessandro Cattelan in "Una semplice domanda"