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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Alimentazione: ecco la piramide per valutare il grado di sostenibilità del cibo

Quanta acqua, suolo fertile o mare sono serviti per produrre quell'alimento? Quanta C02 è stata immessa nell'aria? Sono questi i paramatri alla base della piramide che permette di capire quali sono i cibi amici dell'ambiente

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La piramide alimentare è una rappresentazione grafica della salubrità degli alimenti di cui l’uomo si nutre. Alla base ci sono i cibi che possiamo mangiare in quantità, senza pensare a grassi e calorie superflui: ovvero frutta e ortaggi. Man mano che si sale le pareti della piramide si restringono, suggerendo un consumo minore dei cibi rappresentati: se  patate, riso, legumi, pane pasta, sono ancora definibili cibi il cui largo consumo, entro certi limiti, può risultare salutare, a partire dall’olio e dai latticini bisogna iniziare a fare attenzione. La zona rossa, il vertice della piramide, inizia con pesce, uova formaggi, biscotti e carni bianche, e culmina con le carni rosse e i dolci che decisamente vanno consumati con moderazione. Nell’anno dell’Expo dedicato al cibo però, di alimentazione non si parla più soltanto in termini di sanità, ma anche di sostenibilità ambientale. 

Per valutare il grado di sostenibilità di quello che mangiamo può tornare utile uno studio presentato, circa tre anni fa, dalla Fondazione Barilla. Gli esperti messi all’opera dalla multinazionale hanno elaborato un modello chiamato “Doppia piramide alimentare - ambientale” che si esplicita visivamente in due triangoli affiancati e contrapposti. Il primo triangolo è la classica piramide alimentare prima descritta e mostra l’impatto dei cibi sulla nostra salute; il secondo, con la punta rivolta in basso, rappresenta invece l’impatto degli stessi alimenti sull’ambiente: da quelli meno incidenti a quelli che più richiedono risorse per essere prodotti, lavorati, confezionati e portati sui mercati. In realtà, molte categorie alimentari, trovano una corrispondenza nelle due piramidi in un rapporto che sembra direttamente proporzionale: molti dei cibi più “leggeri” per il nostro metabolismo (frutta, verdura, cereali, patate) lo sono anche per le risorse del pianeta. Viceversa, secondo gli studi del Barilla Centrer for Food and Nutrition, gli alimenti più carichi di grassi e calorie (carni, latticini, dolci) sono anche quelli più costosi da produrre in termini ecologici. 
Non mancano le eccezioni: ad esempio i biscotti sono considerati “nocivi” alla salute se consumati in grandi quantità, ma risultano abbastanza eco compatibili da figurare nella parte bassa della piramide ambientale. Viceversa, l’olio è in “zona verde” per i valori nutrizionali ma in “zona rossa” per quelli ambientali.

Per realizzare questo modello si è tenuto conto principalmente di tre parametri: il consumo d’acqua, la produzione di CO2 e l’impronta ecologica, necessari per produrre quantità paragonabili dei cibi rappresentati. L’impronta ecologica è la quantità di suolo fertile o di mare necessaria a produrre un dato quantitativo di cibo (ad esempio un chilo di arance) e anche a smaltire le emissioni di gas serra conseguenti a tale produzione; il tutto espresso in metri quadrati. Per fare degli esempi, sempre secondo i dati forniti dal centro studi di Barilla, per un chilo di pesce occorre impegnare 71 metri quadrati di pianeta, mentre per un chilo di manzo ben 108 metri quadri. All’estremo opposto ci sono le verdure e la frutta: per un chilo di mele bastano tre metri quadrati; per un chilo di carote appena un metro quadrato. La doppia piramide, comunque, è stata anche criticata per alcune scelte nei parametri usati per calcolare l’impatto ambientale delle produzioni. È stato fatto rilevare, ad esempio, che il consumo di risorse per produrre la carne non dovrebbe rimanere solo a carico del prodotto edibile, cioè la bistecca venduta dal macellaio o le costolette al supermercato, ma andrebbe “alleggerito” considerando  gli altri prodotti “collaterali” di un allevamento ovino, bovino o suino: pelli per l’abbigliamento, lana per il tessile, letami per l’agricoltura, farine animali riutilizzate nei mangimi, e così via. Altra critica è l’eccessiva semplificazione: può essere vero che un campo di piselli consumi meno energie di una stalla, ma solo se i piselli verranno poi acquistati freschi, altrimenti nel conto dovrebbero finire anche i costi per il congelamento e la conservazione del prodotto surgelato. 

La doppia piramide alimentare – ambientale rappresenta comunque un buono spunto di riflessione sulle nostre abitudini alimentari. Non a caso la Fondazione Barilla sta partecipando attivamente ai lavori per la stesura della “Carta di Milano”, ovvero le linee guida per una gestione eco compatibile della produzione mondiale di cibo che l’Expo di Milano pubblicherà nei prossimi mesi, destinandola ai governi e alle strutture sovrannazionali che indirizzano le future politiche dell’alimentazione.

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