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Giovedì, 25 Aprile 2024
agricoltura

Filiera sporca: dal campo allo scaffale, ecco i veri responsabili dello sfruttamento

Nell'anno dell'Expo le associazioni Terra! Onlus, da Sud e il sito Terrelibere hanno realizzato un'indagine per ricostruire, passo dopo passo, la filiera che porta le arance sulle nostre tavole. E', infatti, proprio nelle zone grigie che si annida l'origine del problema ed è sempre lì che si trova la soluzione

Ghetti, lavoro minorile, condizioni abitative da bidonville africana. Tendopoli dove si muore di freddo. Violenza contro le donne. Sfruttamento selvaggio e caporalato. Sono queste le condizioni in cui lavorano i raccoglitori di arance, pomodoro o uva. Decine di inchieste, documentari, reportage, hanno raccontato cosa succede nei campi a Rosarno, Castel Volturno, Nardò, Cuneo, Saluzzo, etc etc. Purtroppo però, nonostante questo non è cambiato molto e ogni anno nel periodo della raccolta il problema si ripete. Nell'anno dell'Expo le associazioni Terra! Onlus, da Sud e il sito Terrelibere hanno realizzato un'indagine che oltre a mettere in luce il già noto sfruttamento degli invisibili fa molto di più; va oltre, cercando di trovare la causa da cui tutto ha origine: la poca trasparenza della filiera. L'indagine #Filierasporca, presentata questa mattina alla Camera, prova a ricostruire tutti i passaggi, dal campo allo scaffale e ad evidenziarne le falle al fine di dimostrare che non si può “nutrire il pianeta” sfruttando il lavoro e l’agricoltura. 

"Fino a quando continueremo a guardare esclusivamente ai campi dello sfruttamento, alle tendopoli, fino a quando le telecamere non mostreranno dove vanno a finire i prodotti raccolti, fino a quando cioè non creeremo una connessione netta tra il campo e la tavola, tra il bracciante e il consumatore che mangia il prodotto raccolto, sarà difficile trovare la soluzione a un problema complesso come questo. Quanti sono i consumatori che sarebbero disposti a comprare un’arancia, un pomodoro, una bottiglia di vino, un succo, una conserva, sapendo che vengono dallo sfruttamento e dalla schiavitù? Probabilmente nessuno. Ma nessuno al momento è in grado di sapere se quello che sta mangiando è frutto di questo sfruttamento, se è sporco", si legge nel rapporto. 

COSA FARE PER RENDERE LA FILIERA TRASPARENTE. "L’indicazione dell’origine del prodotto è un’indicazione necessaria ma non sufficiente a garantire l'eticità allo stesso. È necessario fare in modo che le singole imprese abbiano l’obbligo di rendere trasparenti i fornitori dell’intera filiera attraverso l’istituzione di un albo pubblico". E' infatti nella filiera che sta il problema; che mancano i controlli e si violano le regole. Anche le multinazionali sembrano essere disposte a collaborare: "Coca-Cola ha risposto alle nostre sollecitazioni  - dichiara Fabio Ciconte, presidente di TerraOnlus - e ci ha indicato i nomi dei propri fornitori di succo d’arancia in Italia; è un fatto importante che dimostra che, se c’è la volontà, allora la filiera può essere trasparente". 

BaraccopoliCatania-2LA FILIERA DELLE ARANCE AD OGGI. E' stata scelta tra tante proprio "perchè è fatta di innumerevoli passaggi, quasi mai trasparenti, in cui convivono il bracciante agricolo sfruttato e la multinazionale, la grande distribuzione e la criminalità organizzata", spiega il rapporto. 

I vari stadi della filiera punto per punto. Al primo stadio abbiamo gli operatori della grande distribuzione e le grandi aziende; quindi grandi e medi commercianti; infine medi e piccoli produttori; all’ultimo livello i braccianti, quasi sempre migranti. Le informazioni sono scarse o nulle. Non sappiamo dove va a finire il pomodoro di Foggia o se l’aranciata che stiamo bevendo è prodotta con le arance di Rosarno. Né tantomeno se questi prodotti sono stati raccolti in condizioni di lavoro soggette a grave sfruttamento. Le etichette sono opache. Le nuove norme approvate di recente non prevedono l’obbligo di indicare neppure lo stabilimento che ha confezionato i prodotti. In questo modo i consumatori non hanno strumenti per essere informati sull’eticità dei prodotti che consumano. I passaggi sono tanti e molti dei quali gestiti e diretti dai grandi commercianti locali, in cui si acquista il frutto pendente, si organizzano le squadre di raccolta, si prendono accordi con le aziende di trasporto e si fanno affari con la GDO e le multinazionali. Passaggi in cui ogni singolo anello deve guadagnare, fino a far lievitare il costo di un kg di arance a 2.10 euro in un supermercato di Roma, di cui solo 0,03/0,06 euro vanno al bracciante agricolo.

Il prezzo giusto. I diritti costano di più? No. Dal diario di bordo del viaggio fatto a Catania da Antonello Mangano di Terrelibere.org:

Zero e sessantacinque centesimi al mercato storico della Pescheria, 1,33 al supermercato nel centro di Catania, 2,10 a Roma. È il prezzo di un chilo di arance. In questi numeri c’è tutto il problema. Troppi intermediari. Trasporto inefficiente. Impresa mafiosa. Ma in questi numeri c’è anche la soluzione. Cioè il margine per togliere alla rendita parassitaria e dare il giusto a chi lavora. Senza che il consumatore paghi un centesimo di più

LE CONDIZIONI SANITARIE NEI CAMPI ITALIANI. Spiega Giulia Bari di Medici per i diritti umani (Medu) che a bordo di un camper ha visitato tutti i campi e realizzato il dossier Terraingiusta: "Nel Lazio e nella California d'Italia le condizioni di salute dei lavoratori dei campi non sono terribili perché vivono nelle case quindi hanno solo problemi fisici legati al lavoro che è duro. In Calabria e Puglia la situazione è molto diversa: abbiamo riscontrato patologie rilevanti perché i braccianti vivono nelle baracche e cucinano e si lavano con la stessa acqua; arrivano sani e si ammalano qui. I lavoratori non dovevo assolutamente dormire nelle tende. Non si capisce perché non si possano riqualificare edifici pubblici e insieme al contributo dei privati, dei datori di lavoro creare delle situazioni diverse". 
 

Campo migranti Rosarno 2014 © Medici per i Diritti Umani

"Quando si vede una baraccopoli e le condizioni di sfruttamento presenti al suo interno vengono fuori due domande: dov'è il sindacato? E dov'è la politica?

DI CHI SONO LE RESPONSABILITA'. Antonello Mangano, che ha curato l'indagine, spiega: “Il cuore della filiera è un ceto di intermediari che accumula ricchezza, organizza le raccolte usando i caporali, determina il prezzo. Impoverisce i piccoli produttori e acquista i loro terreni. Causa la povertà dei migranti e nega un’accoglienza dignitosa”. Sono loro i veri “invisibili” che i media spesso dimenticano di raccontare.

"La Flai Cgil -  spiega Eugenio Siracusa - ha cercato di fare un lavoro di comprensione di chi subisce il caporalato. Ha scoperto che la criminalità organizzata gestisce l'arrivo dei lavoratori (principalmente dalla Russia): sbarcano a Brescia o a Fiumicino e quando arrivano trovano un calvario; gli viene tolto il passaporto e smettono di essere padroni di se stessi". "È difficile per un sindacalista far capire che in Italia ci sono dei diritti - prosegue - Per cercare di far diventare gli invisibili visibili li abbiamo portati sotto la prefettura a Latina e abbiamo anche raccolto e mostrato alle Polizia tutta una serie di contratti falsi per far vedere allo Stato quello che non si vede". "Non sono solo i contratti falsi o la gestione criminale dei lavorati migranti a creare lo sfruttamento; c'è dell'altro - aggiunge Eugenio Siracusa - a questo si aggiungono le responsabilità delle aziende agricole che sempre più spesso stipulano con il bracciante un contratto grigio, dichiarando un numero di ore di lavoro inferiore rispetto alla realtà per pagarli molto meno: nell'agropontino, ma anche a Maccarese, un lavoratore nei campi guadagna tre euro l'ora quando il contratto nazionale prevede un pagamento minimo di 8 euro l'ora. Le aziende sane chiedono a noi (sindacato) di denunciare le aziende scorrette da qui sorge un altro problema e tutto quello che abbiamo raccontato nel suo insieme giustifica anche il nome filiera marcia". Se questo non bastasse "la grande distruzione compra attraverso le organizzazioni di produttori (Op) e questo determina che i controlli si fermino lì mentre i problemi stanno anche oltre l'op, nelle singole aziende agricole", continua il sindacalista.

Le organizzazioni dei produttori, "nate per rafforzare il ruolo dei piccoli agricoltori e aumentare il loro potere contrattuale nella commercializzazione, spesso sono diventate strumenti per le truffe oppure entità di fatto controllate dai grandi commercianti", affermano gli autori nel dossier #Filierasporca. Le O.P. hanno avuto un ruolo importante nella più nota tra le truffe degli agrumi, “arance di carta”. Nel 2007, molti produttori conferivano quote di prodotto ma ne dichiaravano molte di più. Si calcola che in quell’anno 75 milioni di euro sono stati indebitamente percepiti in Calabria. Mentre un fiume di denaro arrivava anche su Rosarno, i braccianti africani percepivano lo stesso salario di sempre e vivevano in un posto da incubo, la Cartiera, una fabbrica abbandonata con il tetto sfondato. "Ovviamente O.P. non è sinonimo di imbroglio. Moltissime di queste aziende sono serie e costituiscono una reale risposta ai problemi che stiamo sollevando. Ma resta la sensazione di un generale fallimento o almeno un depotenziamento di uno strumento nato per altri fini", continua il dossier.

IL MODELLO DI FILIERA AUSPICATO: TRASPARENTE E CORTA. Ridurre le aree di opacità è necessario perché è proprio lì che si annida lo sfruttamento, in quelle zone grigie che nessuno riesce a tracciare: tutti i passaggi devono essere fatti alla luce del sole rendendo così antieconomico lo sfruttamento perché più facilmente rintracciabile, dagli organi preposti e dai consumatori stessi. Per farlo è necessario adottare misure legislative che prevedano un’etichettatura trasparente che fornisca indicazioni non solo sull’origine del prodotto ma anche sui singoli fornitori (quali fornitori, quanti passaggi lungo la filiera). Un’etichetta narrante che accompagni il consumatore verso una scelta consapevole. Secondo i risultati della consultazione pubblicata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il 70% dei cittadini si dice favorevole a una etichettatura trasparente per conoscere l’origine dei prodotti alimentari per questioni etiche (utilizzo di lavoro irregolare, lavoro sotto-pagato, ecc.). Un dato importante che misura l’attenzione dei cittadini rispetto al tema dello sfruttamento del lavoro. 

Per risolvere il problema gli autori dello studio sostengono, infine, che sia necessario "valorizzare il patrimonio agricolo di questo Paese come opportunità per i giovani e per un’agricoltura sana e sostenibile, dove la filiera corta, il rapporto tra campagna e città diventano elementi principali di un nuovo modello di agricoltura. Un modello in cui lo Stato, sia esso amministrazione comunale o nazionale, valorizza un patrimonio comune, sostiene i giovani e produce cibo di qualità. E invece ci stiamo dirigendo verso un modello in cui da una parte si vende il patrimonio pubblico fingendo che sia un incentivo per i giovani in agricoltura, dall’altra si valorizza il modello del cibo spazzatura, della grande distribuzione, dove i piccoli contadini spariscono lasciando spazio alla monocultura". 

Qualcosa comunque si inizia a muovere: "dopo otto anni che ripetiamo le stesse cose si è aperto un tavolo con la prefettura. Nei giorni scorsi si è siglato un protocollo tra le associazioni e la prefettura che ha permesso di dare dei permessi di soggiorno ai lavoratori che denunciano il caporalato", dichiara il sindacalista Flai Cgil Siracusa.

Rimane però molto da fare per questo Fabio Ciconte lancia un appello: "chiediamo alle imprese e alle istituzioni un impegno attraverso la responsabilità solidale delle aziende, che devono rispondere per quanto avviene anche nei livelli inferiori della filiera” 

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