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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Greenpeace: è allarme inquinamento ad alta quota, anche sui Monti Sibillini

Sostanze chimiche impiegate nell’abbigliamento per rendere i capi impermeabili sono state trovate nei luoghi più remoti del pianeta. Le concentrazioni maggiori tra Umbria e Marche. "È paradossale pensare che aziende che dipendono dalla natura per il loro business rilascino nell’ambiente sostanze chimiche", commenta Ungherese

Sostanze chimiche pericolose e persistenti, usate anche nella produzione di abbigliamento outdoor, lasciano tracce nei luoghi più remoti e apparentemente incontaminati del globo. Lo rivela "Impronte nella neve”, un rapporto di Greenpeace pubblicato oggi sulla diffusione nell’ambiente dei PFC, composti poli e per-florurati impiegati in numerosi processi industriali.

Fra maggio e giugno otto squadre di attivisti di Greenpeace hanno intrapreso spedizioni in altrettante aree montane e remote di tre continenti, per prelevare campioni di acqua e neve che sono stati poi analizzati in laboratorio al fine di verificare la presenza dei pericolosi PFC. Le concentrazioni maggiori sono state trovate nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, ma anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero. Le altre spedizioni sono state portate a termine nella Patagonia cilena, in Cina, Russia, Turchia e nei Paesi scandinavi.

"Abbiamo trovato tracce di Pfc nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine", afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. "Preoccupa che questi inquinanti pericolosi e persistenti si trovino persino nei luoghi più remoti del pianeta. Dei diciassette composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben quattro hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni di neve raccolti presso il lago di Pilato, tra cui il PFOS (Perfluorottano sulfonato) già soggetto a restrizioni nell’ambito della Convenzione di Stoccolma".

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I Pfc sono impiegati in molti processi industriali per la produzione di beni di consumo: il settore dell’abbigliamento outdoor li usa nelle finiture impermeabilizzanti e antimacchia. Una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente, restando nella forma originaria per diversi anni e disperdendosi così su tutto il globo. Alcuni PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.

"È paradossale pensare che aziende che dipendono dalla natura per il loro business rilascino volontariamente nell’ambiente sostanze chimiche pericolose", commenta Ungherese. "Le aziende outdoor devono dare l’esempio e impegnarsi per un ambiente più pulito assumendo un impegno credibile e a breve termine per eliminare completamente i PFC dai processi produttivi". Tra le altre cose, alcune piccole aziende specializzate nella produzione per l’outdoor, come Fjällräven, Paramo, Pyua, Rotauf e R'ADYS, producono già intere collezioni di abbigliamento idrorepellente PFC-free. Sono invece i marchi leader del settore a mostrare scarso senso di responsabilità".

Gli attivisti di Greenpeace in azione

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